Cerca nel blog

lunedì 8 gennaio 2018

From Oceans To Autumn - Ether/Return To Earth

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale, Russian Circle, Isis, Explosions in the Sky
Il post metal è un genere che non può essere delimitato in maniera definita proprio perché le strutture e i suoni propri del metal sono presi e mescolati come colori su una tavolozza atti a creare un dipinto totalmente nuovo. I From Ocean to Autumn (FOTA) hanno preso alla lettera questa caratteristica e il risultato è un disco fortemente atmosferico, carico di emotività e variegato nella composizione. Si parla in realtà di un doppio cd, per un totale di dodici brani e un milione di scenari diversi. Rieccheggiano nelle tracce le influenze di band come Earth, Explosions in the Sky, Russian Circle e personalmente mi è parso di scorgere alcuni elementi del capolavoro 'Panopticon' degli ISIS. Siamo davanti ad un lavoro totalmente strumentale che però non risulta mancare di nessuna componente musicale, i brani sono sostenuti e decisi e a volte sembra addirittura di sentirla una voce, lontana e lamentosa come se arrivasse da dietro le nuvole. Il disco si chiama 'Ether/Return to Earth' ma più che un ritorno sembra proprio una partenza, il lancio di una navicella spaziale diretta verso il pianeta abitabile più vicino alla Terra. Dalla navicella si vede la galassia che è infinita e spettacolare, le stelle sono così da far perdere il senso di sé che dolcemente si prende una pausa e si siede ad ammirare la magnificenza del cosmo. L’orchestralità è forse il maggiore punto di forza del disco, ove si susseguono, negli oltre 100 minuti di musica, un turbinio di ambienti e incastri strumentali come a voler replicare tutte le combinazioni possibili del dialogo tra i vari strumenti. L’esperienza d’ascolto è qualcosa che estranea ed eleva, non c’è niente da capire ne da risolvere, le emozioni sono trasmesse in modo diretto ed immediato, tutto ciò che è richiesto all’ascoltatore è la pazienza di osservare l’evolversi della musica. È come assistere alla formazione di una stella all’interno di una nebulosa, con la materia che si addensa lentamente e gli atomi collidono su se stessi generando energia e calore. Una menzione particolare va a “Medium”, brano diviso in due parti: i primi tre minuti sono densi di suoni sospesi a mezz’aria senza ritmica che però entra incalzante nella seconda parte accompagnata dal crepitare di valvole e dall’ululato dei feedback in un climax sonico terapeutico e rilassante. La song riassume le migliori caratteristiche della musica degli FOTA apprezzabili anche per esteso negli epici brani "Quintessence/Core" e "Stratus/Vapor" che insieme superano la mezz’ora di ascolto. 'Ether/Return to Earth' nella sua grazia eterea rifulge di luce propria e può illuminare la mente vessata dal grigiore della realtà quotidiana in un lavoro completo, chiaro nella sua identità e incredibilmente ricco di atmosfere. Consigliato a tutti gli appassionati di musica sperimentale. (Matteo Baldi)

Культура Курения / Regnmoln - Split album

#PER CHI AMA: Post Punk/Black Depressive, An Autumn For Crippled Children
Dalla glaciale Siberia ecco arrivare il quartetto dei Культура Курения (da tradurre in Cultura Fumante), dalla Svezia invece, la one-man-band dei Regnmoln, per uno split album all'insegna del post black depressive, sotto l'egida della cinese Pest Productions. Due i brani a disposizione della band di Novosibirsk per dimostrare di che pasta sono fatti: "Конфискатор" si presenta come un freddo e malinconico esempio di black mid-tempo, spruzzato di reminiscenze shoegaze e di una mefistofelica aura post rock, che si riflette nella splendida voce in screaming del vocalist Andrey Stashkevich. Ne esce una traccia sghemba, che nel finale vive la sua progressione post black tra cristallini suoni disarmonici e harsh vocals. La seconda, "2015 Холодных Зим", mette in mostra ancora le capacità della band russa nel sapersi districare tra sonorità black e post-punk malinconiche che ammiccano alle prime uscite degli olandesi An Autumn For Crippled Children, tra sonorità intimiste, sfuriate black, break acustici e cambi di tempo magistrali. Ben fatto direi. Mi avvicino a questo punto alla proposta del musicista svedese e la prima cosa che si palesa nelle mie orecchie, è una registrazione a dir poco casalinga, un vero peccato in quanto rende decisamente più difficile godere appieno di un sound che, se proposto con tutti i sacri crismi, poteva regalare maggiori soddisfazioni. Mi abbandono comunque al furente depressive black dell'enigmatico mastermind scandinavo che si diletta in "Kött Och Blod" nel proporre un suono rozzo, ma comunque efficace e pregno di melodia, complici le chitarre in tremolo picking, tra sfuriate black e momenti di calma apparente che proseguono anche nella successiva "Infektioner", song angosciante e non solo per quel suo suono troppo ovattato, ma anche per un mood malinconico che ne contraddistingue i primi 90 secondi, prima che il frontman si lanci in un'arrembante cavalcata di cosmic black, che si pone esattamente a metà strada tra Dissection e Darkspace, proponendo taglienti chitarre in un contesto rarefatto. "Tomma Ord" è l'ultima traccia dall'intro acustico e dalla progressione black mid-tempo. Alla fine, lo split Культура Курения / Regnmoln non è altro che un modo interessante per farsi una cultura di due intriganti band dell'underground europeo. Ma, se solo il nostro amico svedese avesse registrato pensando ad una resa acustica migliore, il mio giudizio finale sarebbe stato nettamente diverso. (Francesco Scarci)

Lord Shades - The Uprising of Namwell

#FOR FANS OF: Symph Death/Black
Lord Shades is a French band founded in 2001. Initially, it was a one man project, managed by the current singer and bass player Alex that was the mastermind behind the band´s music, sometimes accompanied by occasional collaborators. Such situation lasted during the demo era, and as soon as the band started to release full albums, new members were added to the band´s line-up. This four-piece line-up has been rather stable during the release of their three albums. 
 
'The Uprising of Namwell' is their last one which closes the trilogy of works based on a fictional universe created by the band members. The storyline of those works covers three different worlds. Firë-Enmek, the land of mortals and a land of suffering, Namwell which is a land of bliss and harmony and Meldral-Nok, a cursed land where only chaos and fire prevail. In this last chapter the main character, Lord Shades, has turned to the dark side and though he has become an evil creature, he is still haunted by almost forgotten memories of his previous life. This is by far the darkest and most chaotic chapter of the trilogy and the concept behind the new album. Taking into account this background, it can guess that the music included in this release must be something dark and epic, but in this occasion variety plays a major role. This is not a standard extreme metal album with an interesting concept behind, mainly because Lord Shades tries to combine different styles, like black, death and symphonic metal, even with certain thrash metal influences to make this complex trilogy a reality. The mixture makes this album an interesting beast, that requires a certain amount of listenings before fully appreciating it. Each song has its peculiar touch, and this can be confusing if you don’t listen to it with an open mind. Anyway, 'The Uprising of Namwell' has a general darker tone than the usual conceptual album with an epic story behind. The last part of this trilogy shows a dark world hit by violence and cruelty, so don´t expect “happy” epic arrangements. A good example of this idea would be the track “Woe to the (Vae Solis)”, which has the aforementioned dark and even decadent atmosphere. This doesn´t mean that this album lacks of beautiful arrangements, because this track is a good example of how Lord Shades successfully introduces atmospheric touches (female vocals and symphonic arrangements), which are a clear contrast to the general tone of track. This gives an extra point of unexpectedness, which is always great. On the other hand, songs like “The Revenge of Namwell” and “Nightly Visions" have a clear stronger tone with a massive death metal influence and they are probably the heaviest tracks of this conceptual work. Regarding the arrangements, the release is very rich in details and the range is quite wide. Those arrangements are usually symphonic-esque, but at certain times they can have a clear folk/ritual tone as it happens with “The Awakening”, which sounds quite close to Middle-East traditional folk music. At the end, the best way to understand the richness and diversity included here, is to check out the long and epic closing track, “A New Dawn”. This song sums up all the Lord Shades efforts in creating an authentic sonic representation of Namwell´s dark universe. 
 
In conclusion, 'The Uprising of Namwell' is a truly ambitious album, both conceptually and musically. The album itself is quite demanding due to its length and complexity, but its worth of it if you like conceptual albums with a wide range of musical influences. Lord Shades has managed to create a worthwhile closure to their epic trilogy. (Alain González Artola)

Fabulae Dramatis - Solar Time’s Fables

#PER CHI AMA: Prog Avantgarde
Riffoni articolati, vocals curatissime, groove e tanta sperimentazione. Potremmo riassumere con queste poche parole 'Solar Time’s Fables', l’ultimo album in studio dei Fabulae Dramatis. Si comincia dall’opener (e singolo) “Agni’s Dinasty”, con la sua ritmica trascinante, la quale passa in rassegna tutte le qualità e peculiarità del sestetto belga, a partire dai bei fraseggi chitarristici. Elemento interessante il continuo interscambio fra i 4 (!) vocalist, dal growl al canto lirico delle voci femminili, che si articolano in innumerevoli intrecci. Arriviamo a percepire una notevole interpretazione vocale, soprattutto nella terza traccia “Heresy”, dove il contrasto vocale maschile-femminile (ad opera di Hamlet e Isabel Restrepo) è accentuato da vere e proprie parti recitate più che cantate. Brano particolare anche strutturalmente, presenta un insolito riff in levare che assume, nella parte centrale, quasi un carattere da ballad, a dispetto dell’introduzione. Da segnalare anche il brano “Sirius Wind”, con l’originale intervento del sax sostenuto da un groove drum-bass, a tratti orientaleggiante. Tante idee e sfumature curate emergono da tutti i pezzi del disco, dai cori e dalle percussioni etniche in “Coatlicue Serpent Skirt” all’elettronica di “Nok Terracottas” o i sitar della strumentale “Forest”. Tutto sempre condito dai pregevoli ricami vocali delle due componenti sudamericane della band, Isabel Restrepo e Isadora Cortina. “Roble Para El Corazon” è il coronamento di questa influenza latina delle due musiciste: trattasi di un vero e proprio tango, con tanto di fisarmonica e violino, rinforzato poi dalla corazza metal della band, che si destreggia bene su queste ritmiche decisamente insolite. Ciò che emerge da questa seconda fatica del “variegato” ensemble, sono sicuramente le numerose idee che riempiono le loro particolari composizioni. Metal e non solo, perché dalla solida base prog, si delineano quelle sfumature e quegli elementi peculiari che animano ogni brano, respirando anche climi “esotici”, rispetto alla fedele spiaggia metallica. Ai Fabulae Dramatis bisogna poi riconoscere il merito di notevole impegno e di grande professionalità, come si può evincere non appena prendiamo in mano il booklet: studiato, preciso e particolareggiato, proprio come il disco stesso. Ascolto consigliato a chi non disdegna un po’ di avant-garde per colazione. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

sabato 23 dicembre 2017

La Colpa - Mea Maxima Culpa

#PER CHI AMA: Black/Doom/Drone Sperimentale
Tre anni or sono, alcune anime travagliate cercarono rifugio in un angusto e tetro sottoscala per potersi riunire in segreto ed espiare i propri peccati. Gli incontri divennero assidui, a conferma che il processo di penitenza dava i suoi frutti e fu così che La Colpa prese vita. Ogni volta il cerchio si stringeva per una preghiera senza tempo e senza dio, guidata dal desiderio di trascendere il dolore che perseguita l'anima e il debole corpo che la ospita. L'orazione prendeva forma, prima un suono, poi un altro, poche parole che diventavano sempre più potenti fino a strappare il mal di vivere per riversarlo in un otre colmo di terra ("Soil"). In principio era il metallo che batteva come la pioggia su una squallida tettoia, mentre una voce inumana alitava il suo mantra accompagnato da profonde note a scandire il tempo. Esplosione, suoni distorti e graffianti, grevi di dolore che accelerano la loro corsa verso le profondità recondite del freddo terreno che li chiama a se per il lungo riposo. All'improvviso tutto tace, la supplica viene zittita perché l'espiazione non è completa e il rifiuto innesca una furia inaudita che va scemando e si spegne. Poi è la volta della rassegnazione, quella nera dove mille lacrime roteano ad una velocità incalcolabile mentre trafiggono l'inutile gabbia di carne ed ossa del corpo umano. Le cicatrici ("Scars") sono l'unico segno postumo dello scempio perpetrato, mentre il tempo rallenta e lascia spazio a pensieri, incubi ed urla. Meritiamo il nostro nefando destino, intrappolati e senza speranza, perchè siamo morti e null'altro importa. La strada è ancora lunga, ma si intravede la fine, finalmente la morte dell'anima che cancellerà il dolore, dove i muri di suoni si stringono sempre più per soffocare e stritolare. Rimangono solo frammenti ("Fragments") di una risata beffarda che non ci appartiene, riflessa in un falso specchio che preferisco rompere per estirpare ogni singolo dente e non poter ridere. (Michele Montanari)

(Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 75

https://lacolpa666.bandcamp.com/album/mea-maxima-culpa

Drudkh/Paysage d'Hiver - Somewhere Sadness Wanders/Schnee IV

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Shadows lengthen earlier each day as changing leaves and gradually falling temperatures accompany the arrival of another Drudkh split to sate an autumnal appetite. This year the Kharkiv crew has chosen to collaborate with Paysage d'Hiver, a Swiss bedroom black metal band whose French name translates to 'Winter Landscape'. As Drudkh continues to discover new open spaces ensconced within the confines of dense forests, Paysage d'Hiver is swept up in the gusts of a dark and stormy night as Tobias Möckl, under the pseudonym Wintherr, fruitlessly searches for shelter in the relentless cavalcade of chaos.

Drudkh's contributions in “All Shades of Silence” and “The Night Walks Towards Her Throne” bring the stellar consistency expected from this Ukrainian black metal mainstay. Through Drudkh's twenty-one minutes in the spotlight stand tireless thicket sentries at the edge of the woods while waves of blaring melodies purify the lands within of the faint of heart. After wandering overgrown trails with intricate and labyrinthine harmonies, “All Shades of Silence” finds solace in a clandestine grotto watching night fall as the stars wink over the trickles of little waterfalls. These quiet introspective moments remind one of melancholic memories while the little escape becomes a prison of past regrets. As day returns the air becomes exasperated and ominous while the whirling harmonies quit their quiet getaway, refreshed and ready for another ambling adventure.

“The Night Walks Towards Her Throne” has the classic intensely hammering Drudkh tone reminiscent of those days when 'Forgotten Legends' and 'Autumn Aurora' rolled their lengthy repetitious rounds behind quick guitar slices and scattered shrill sound waves against garage walls. The professional production quality greatly enhances the impact of this song with prominent double bass kicking and enough distance between the distorted guitars to escape the black metal blend and soar across the gorgeous vista created by its second progression. A wail of guitars is joined by blast beating as it clambers into a whirl of drawn out vocals in a gorgeous turn of the eternal treble wheel. This reverberating harmony encapsulates the infusion of reverential folk tones into the sharp soundscape of black metal in a gorgeous cycle that longs to last an aeon. Drudkh is a band that never fails to impress and throughout these hypnotizing songs comes the foreboding knuckle-cracking chill that signals another adieu to warming sun and green grass.

Swelling in a breathy fashion bookended by quiet acoustic guitars and heaving winds, Paysage d'Hiver summons a blizzard of intensity where waves of distortion ebb and flow as the foreground is held up by sharp snaps of a snare center. Wailing lead guitar melodiously howls at the confining rhythm guitar and vocals give a gravely scream behind the higher leads in “Schnee IV”. Typifying the dreary, exhausting, and forlorn hope of an inescapable structure, Wintherr seeks inspiration from the likes of Darkthrone and Burzum to conjure this tempest. The guitars are winds of chaos with whispers of melody hidden in the maelstrom through seven minutes of a single structure before a riff change from the lead guitar attempts to scream its way out of the whirl of degradation. The crisp hail of mechanical drumming sets a stoic standard and inundates the air with flurries of momentary fills between hypnotic passages, compounding on each other and engulfing the landscape in this ferocious blizzard.

Drudkh's delicate autumnal passages beautifully flow into the harsh scarcity of Wintherr's savage storm creating a complimentary split that delightfully accompanies the atmosphere of this most precious time of year. With Drudkh's prolific discography and Paysage d'Hiver's experience, this professional presentation is keen to highlight the drastic changes endured throughout these unforgiving seasons. (Five_ Nails)

venerdì 22 dicembre 2017

Kera - Hysteresis

#PER CHI AMA: Death Progressive, Meshuggah, Opeth, Death
Album di debutto per i transalpini Kera questo 'Hysteresis', che conferma come la Francia sia diventato un territorio di artisti dotati di una creatività fuori dal comune. No, non sto già incensando questo lavoro, faccio pure e semplici constatazioni in base al numero di uscite discografiche di elevata qualità che ogni giorno escono dal paese dei nostri cugini. Ma non divaghiamo e torniamo ai Kera, quintetto di Parigi, che ha all'attivo un EP omonimo uscito nel 2015. Il genere dei nostri è un death progressive che dopo una breve overture, irrompe con "Harbinger of Doom", una traccia che si muove su ritmi sincopati, che potrebbero strizzare l'occhiolino ai Meshuggah, cosi come pure ai Death, ma che in realtà non lo fanno fino in fondo. Questo perchè dai solchi di questo lavoro, escono sonorità diverse che provano a mischiare la veemenza del death poliritmico forgiato dai gods svedesi con la tecnica sopraffina di altre divinità, i Dream Theater, in un sorprendente sound in grado di fondere rabbia, melodia, tecnicismi e ancora death, hardcore e progressive. La proposta corrotta da varie influenze, si traduce anche nell'utilizzo di vocals sia growl che pulite, qui decisamente meno convincenti. Quello che invece convince e non poco, è l'apparato solistico che delizia le orecchie con assoli deliziosi e fantasiosi, cosi come in aperture acustiche (spettacolari a tal proposito, gli ultimi tre minuti di "Silence") che suggeriscono gli ultimi Opeth quale punto di contatto con i nostri anche se in realtà sono gli anni settanta ad aver sospinto la voglia di stupire di questi musicisti. Con "Sanity Fails" si torna a far male con un approccio votato ancora a Chuck Schuldiner e compagni, con un altro pezzo dritto verso il bersaglio che trova modo di rompere il suo disarmonico incedere, solo attraverso un altro spettacolare assolo. Si arriva cosi alla semi-acustica (nella prima metà) "Epiphany of a Lunatic", in cui sembra aver a che fare con un'altra band, un altro genere, altri musicisti, un altro cantante, prima che si torni a pestare sull'acceleratore, dimenticandosi di quelle soffuse melodie che avevano deliziato in apertura di brano. Poi ci si può solo accomodare in poltrona e lasciarsi stupire dalle scale ritmiche su cui si arrampicano i nostri, in un climax ascendente ricco in emotività e sorprendenti divagazioni che sembrano uscire dalla chitarra del buon Carlos Santana, in una miscela di rock, blues e fusion, tenendo sempre ben presenti le radici estreme della band. Con "Sirens" si torna sui ritmi sincopati "death-meshugghiani" iniziali, in un altro vortice sonoro in cui a mettersi in luce oltre all'onnipresente apparato percussivo, anche un ottimo basso, in una sequenza impressionante di stop'n go e schitarrate elettriche da lasciare a bocca aperta. C'è ancora tempo e modo per lasciarsi impressionare da questo ensemble francese: mancano infatti a rapporto "Delusion", "Compos Mentis" e "Silence (Slight Return)". Se la prima non mi convince più che altro per la performance vocale urlata o meglio strozzata in gola di Ryan Salahou, o per dei cori non proprio azzeccatissimi, non si possono certo sollevare grosse obiezioni alla seconda in fatto di irruenza, melodia e comparto solistico, un po' meno per via della voce, che probabilmente rappresenta a questo punto, l'elemento debole dell'ensemble francese. Non tradiscono infatti gli assoli, sempre ficcanti e travolgenti. Il disco dopo quasi 50 minuti, giunge alla conclusione con un'ultima perla di rock semi-acustico che paga decisamente dazio a Mikael Åkerfeldt e soci con un'altra preziosa performance di death carico di groove. Ben fatto, non c'è che dire. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Moonspell - 1755
Xanthochroid - Of Erthe and Axen Act II
Nailed to Obscurity - King Delusion

---
Five_Nails

Shroud Ritual - Five Suns
Festival of Mutilation - Gods of Infernal Desolation 
Oak Pantheon - From a Whisper

---
Alejandro "Morgoth" Valenzuela


Arafel - For Battles One Fought
Skagos - Anarchic
Voices - London 


---  
Felix Sale
 
Mass Hypnosia - Toxiferous Cyanide 
Pathogen - Ashes of Eternity 
Amaranhig - Bagong Katay

Runespell - Unhallowed Blood Oath

#FOR FANS OF: Black/Doom, Agalloch
Hearkening to those halcyon days of black metal's second wave an economical black and white cover captures a solitary figure with a corpse painted face standing twixt the exposed rootage of ancient and shadowy timbers. Nightwolf's neck cranes and his visage upturns towards the sky as though studying the intricate emblem blazoned in the canopy. Axes, spears, and a sword peek out from behind an ornately embellished shield as starkly slashing typeface accentuates the moniker its pointed protrusions conceal. Runespell is somewhere in this vast visual valance of lo-fi ridiculousness intermixed with individual enterprise. This accumulation of stylo swipes and copious colorless cuts completes the busy banner below as a howling wolf, backed by a distant mountain range, presides over the top. With such an eye for detail and a scandalous show of more is more this presentation can easily come to calamity. However intense and overt, the appearance of this cover comes together as astutely brimming with reference and reverence while the sound behind the image strays into acres of Agalloch aesthetic despite imprisonment in a dusty and dingy Australian bush.

'Unhallowed Blood Oath' has a strong start with “Oblivion Winds”, a rather tepid middle section, and comes back with a vengeance in “White Death's Wings” and “All Thrones Perish”. The beginning and end play very closely to Agalloch's atmosphere and attitude, so much so that they have trouble taking flight to glimpse the extent of their own realms of conquest and instead dance through sure and charted jet streams. “Oblivion Winds” creates a gale of diminishing tremolos that weep over wide landscapes and tear through trees. This opus of an opening then slows down with a piano riff in the background, urging the ivories to wail in synchronicity with guitars before rising into a fiddler's melody.

“Bloodlust & Vengeance” sounds like the soundtrack to a cavalry charge across a windswept plain as shining sabres fell fleeing fodder. On a high sea of grass lowlanders fertilize the soil as claymores sever arms from torsos and carve regiments in twain. The under produced echoing vocals dart out from behind a wall of tremolo that should be far more satisfying to the black metal tuned ear. However authenticity is lacking. The high strung bloodlust contorts into a vengeance that fails to hit the expected blistering, almost atonal, shrieking apex so desired after a downpour of harmonies freezes into the tendrils of a river of blood. These apogees find their thunder in a double bass gallop but the snare and cymbal are immobile sentinels in spite of every attempt made by these guitar gusts to breathe some life into their low-end compliment. For a song as ambitiously titled as “Bloodlust & Vengeance” there is no payoff, no cathartic release, there is only a feel of frustrated fortissississimo.

This is where Nightwolf sticks to what is safe rather than goes out on a limb to personalize his music. The presentation of this album has all the trappings of an individual black metaller. Yet the music follows the flock so stolidly that it cannot even envision the extent of the paddock in which it is confined. “As Old Gates Unfurl” is a replicated experiment in atmosphere with a mixture of acoustic distance and that nearly atonal drawn-out chanting Norse vocal that Agalloch so readily employed throughout its storied career. This momentary peace aims the celestial gaze at you before “Heaven In Blood” makes you digest some Venom. Still, this deepest, darkest descent doesn't do more than try to sound evil with a chorus that indistinctly growls as it stumbles into the most mainstream notions of black metal, employing the stereotype rather than playing the style.

A noticeable change in production occurs when a far lower fidelity announces the shrill guitar harmony of “White Death's Wings”. Each instrument calls to the other from distant peaks atop their howling riffs, aligning the intricate notation through celestial curvature in Celtic concert. Here is where beautality arrives and the album reaches its memorable moments. The fury from before was tepid yet this new concentration of will and power finally brings the personality necessary to propel this album from its most average doldrums.

With its lead guitars trumpeting atop a dim and flickering background of dreary harmony “All Thrones Perish” brings long echoing vocal harmonies to fill the middle range as small guitar licks play in folksy candor to the frantic cadence of black metal's hurry. The combination grows with the addition of another guitar, flourishing with a tertiary tangle that wraps the growing vine to passionately penetrate the earth. These first three minutes harness the emotionally exhausting atmosphere of “As Embers Dress the Sky” and with a name like “All Thrones Perish” this rhythm seems to longingly call out in reverence to the now defunct Agalloch with its bass and percussion combination employed in unmistakable mimicry.

Though Nightwolf finds moments to eloquently call forth the fervent and expressive themes expected in a modern black metal release while simultaneously strolling through his own fiefdom of the Australian bush, the majority of this album is forgettable and bland. 'Unhallowed Blood Oath' plays as though a love letter written by a fan who dipped his toe into the black lake rather than as the result of a black metal musician bringing himself into the fold. With sycophantic and reverential tones that fail to personalize the space, despite a keen knowledge of each ingredient necessary for success, the proximity to Agalloch and gushing worship outweigh the aptitude for exploration needed to make this album anything more than an appetizer before venturing back into the likes of 'Ashes Against the Grain'. Befitting of the album's title, this blood oath need not be honored as another average Australian aimlessly appreciates the already accomplished and aggravatingly avoids anything atypical. (Five_Nails)

NØEN - Caraibi

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Post Grunge, Nirvana
I NØEN vengono da una terra unica al mondo per la sua amena ed essenziale bellezza, dove dominano il paesaggio vigne a perdita d’occhio ed il sangue di antiche battaglie impregna ancora il terreno. È questa l’atmosfera che ha ispirato 'Caraibi', un disco d’esordio pieno di malinconia e rabbia, una prova che il rock può ancora regalare emozioni e fare bene all’anima. Sembra proprio sia questo ciò che il frontman Mattia Leoni vuole trasmettere nei suoi testi. Si tratta di sfoghi, pensieri, idee che non trovano manifestazione perché non esprimibili in un discorso oppure che non hanno la forza di rendersi reali perché troppo fragili nella loro pura magnificenza. Una difesa è quella dei NØEN, un fortino costruito con mattoni, sacchi di sabbia e lamiera, materiale preso in prestito da band come i Nirvana, gli Interpol e i Joy Division, impreziosito da una poetica che richiama i Verdena e il primo Vasco Brondi. 'Caraibi' inizia con “Hotel”, personalmente mio pezzo preferito dell’opera, un’implorazione ma anche uno sfogo di energie che esibisce la sua necessarietà con fierezza. La batteria di Federico Zocca è costante ed insistente, le chitarre sono dilatate in lunghissimi accordi distorti ed il basso di Stefano Melchiori sostiene con forza la struttura del pezzo, decorata con rugginosi sintetizzatori sottocutanei. Il giro armonico a tratti pare rassicurante a tratti pare invece sospeso, ne risulta uno strano effetto di trance e assuefazione. Completa lo scenario l’appassionata linea vocale con le sue distese e trascinate parole che sembrano tracciare delle lunghe scie bianche nel cielo. Un verso fra tutti “Fammi male, prova a insistere”. I brani scorrono piacevolmente grazie anche alla coproduzione di Enrico Bellaro, determinante nel suo ruolo di stregone del suono: i synth, gli effetti vocali e le scelte di arrangiamento, riescono ad esaltare la varietà delle composizioni aggiungendo sempre un elemento interessante ad ogni traccia. Due pezzi in particolare mi hanno colpito, “Mai’s” e “Vento”, dove le chitarre si scatenano e la rabbia esce prepotente. L’influenza dei Verdena è importante, i ragazzi avranno sicuramente ascoltato e amato 'Il Suicidio del Samurai', come, d’altronde, chi scrive. Ma solo di rabbia non si tratta, in “Mai’s” è apprezzabile una raffinata vena blues, opera di Davide Marotta (già membro della band stoner veronese Atomic Mold) che ha contribuito ai brani con le sue pirotecniche evoluzioni chitarristiche. A ben guardare, altri musicisti hanno partecipato alle registrazioni, in particolare Massimo Manticò alla chitarra in “Sola” ed Elena Ciccarelli al violino nello struggente pezzo di chiusura “Contro le Onde” che, come un paracadute, addolcisce la fine dei veementi assalti e dei tersi pomeriggi assolati di 'Caraibi'. I NØEN ci hanno regalato un disco d'esordio originale ed essenziale, seppur si percepisca una parte di personalità ancora nascosta che la band non ha ancora espresso e che sta cercando in tutti i modi di far emergere. Si vedono le potenzialità per riuscire a produrre musica ancor più particolare ed io sono certo che le verdeggianti valli di Sona con il loro retaggio di guerra, religione e storia, saprà guidare i ragazzi verso mete soniche lontane ed inesplorate. Nel mentre, ringraziamo per l’ottimo 'Caraibi' che consiglio di godersi in un momento di relax, a lume di candela ed abbinato ad una bozza di Custoza. (Matteo Baldi)

(Röcken Records - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/noenbandvr/

giovedì 21 dicembre 2017

Clouds Taste Satanic – The Glitter of Infinite Hell

#PER CHI AMA: Stoner/Doom/Space Rock
Avere la genialità dalla propria parte non è cosa che appartiene a tutte le bands. I Clouds Taste Satanic ne sono intrisi fin dal loro esordio, geniali e unici lo sono infatti sempre stati, release dopo release. Non sbagliano un colpo i nostri e con questa nuova lunga uscita, 'The Glitter of Infinite Hell, si confermano splendidi sia nei contenuti sonori quanto nel proporre il solito, spettacolare e caratteristico artwork. Il quartetto di New york ci delizia così di un'altra chicca galattica, proveniente dagli inferi e diretta verso lo spazio più profondo ed infinito. Doom, stoner e space rock strumentale spinto all'ennesima potenza, senza plagio né contagio ma una semplice interpretazione originale di un genere musicale ampio e vario, in un suono unico e riconoscibile tra i tanti cloni che trascinano di diritto i Cloud Taste Satanic all'ingresso dell'Olimpo dell'impero psichedelico pesante. In questo lavoro infatti, la psichedelia è resa ancor più intrigante, misteriosa e carica di tensione, in un flusso continuo di stati emotivi che s'intrecciano tra allucinazione e ansia, un viaggio infernale sempre sorretto da un'angoscia che dilata le pupille e agita il sangue di chi ascolta. "Greed", "Treachery", "Violence" e "Wrath", quattro brani incredibili, tutti della durata colossale che si aggira intorno ai 18 minuti. 'The Glitter of Infinite Hell' supera per intensità e bellezza anche il suo, seppur ottimo, predecessore. Musica strumentale che macina rimasugli rock degli anni settanta e li mescola allo space e allo stoner attuale con costruzioni cinematografiche e un'attitudine doom, difficile da spiegare, ma assai facile da adorare, in un rituale che si ravviva ad ogni uscita, caratterizzato da chitarre mastodontiche, cavalcate e mid tempo infiniti, e un lavoro alle sei corde davvero esagerato. Tutti i fantasmi dei miti che hanno fatto grande la musica del deserto e del destino, si presentano all'altare dei Clouds Taste Satanic ad applaudire una costruzione musicale che li evoca, li elogia ma non li copia, anzi li riveste di nuovo e costruisce un nuovo credibile ponte tra passato e futuro, un collegamento fatto con le note e le intuizioni originali di questi quattro musicisti provenienti dalla Grande Mela, in un concetto sonoro che è sinonimo di ottime produzioni e tanta originalità, pur mantenendosi fedele al proprio genere. Dimenticate tutto il resto e fatevi rapire da questa nuova creatura demoniaca, il diavolo vi piacerà come non mai! (Bob Stoner)

Celtefog - A Faded Wisdom

#PER CHI AMA: Epic Black, Vintersorg, Negura Bunget
Esattamente un anno fa, proprio in questo periodo, scrivevo di 'Sounds of the Olden Days', secondo lavoro dei greci Celtefog. A distanza di poco più di 365 giorni, eccomi alle prese con il nuovo EP del sodalizio di Alexandria, passato da status di one-man-band a vera e propria compagine a cinque membri. Quindi, cosa di meglio che una nuova breve prova a testimoniare lo stato di forma di Archon e compagni? 'A Faded Wisdom' è un mini cd di tre pezzi, per poco più di 20 minuti di musica che si aprono con la tribalità e l'eterea voce di una gentil donzella, che ha il merito di dare il via alle danze con "An Ode to Wisdom", in cui forte è inevitabilmente il richiamo alla scena ellenica, pur mantenendo inalterato quello spirito etnico in stile Negura Bunget, che già avevo evidenziato lo scorso anno. Il sound è fosco, malinconico ed enigmatico, per almeno metà brano, prima dello scatenarsi di una ritmica di matrice Rotting Christ, su cui si stagliano le arcigne vocals del frontman, accompagnate dai soavi vocalizzi della brava Hildr Valkyrie e di un chorus che sembra invece strizzare l'occhiolino a Vintersorg. La tempesta va a placarsi e lascia al frinire dei grilli, l'ingresso a "My Inner Winter", un pezzo dall'aura oscura, ma dalla ritmica definitivamente black, con chitarre taglienti di scuola svedese che sul finire invece vireranno verso un più melodico epic folk. In chiusura, ecco una traccia strumentale (fatto salvo per un paio di urlacci), "She", pezzo piuttosto ritmato che, coniugato con una produzione in generale assai fredda, regala gli ultimi cinque minuti di un black atmosferico, dominato in sottofondo dal suono della tempesta. Alla fine, 'A Faded Wisdom' è un dischetto carino, che ingannerà l'attesa per un po' per il nuovo full length dei Celtefog. (Francesco Scarci)

(Celtic Fog Productions - 2017)
Voto: 70

https://celtefog.bandcamp.com/album/a-faded-wisdom

martedì 19 dicembre 2017

Gut Scrapers – Getting Through

#PER CHI AMA: Hard Rock
Devo ammettere che questi Gut Scrapers mi piacciano molto nonostante ci abbia messo un bel po' ad inquadrarli. Con buona soddisfazione, dico che è stato divertente scoprirli nei particolari e capire quanta passione ci sia dietro questa loro proposta. Partiamo subito col dire che se vi aspettate qualcosa di nuovo, avete sbagliato cd, ma pensare alla solita zuppa riscaldata devota ad un banale rock'n roll, alla fine è ancor più sbagliato. La band di Nimes rispolvera in grande stile il culto vero del rock in varie salse, dall'hard'n roll al blues fino allo sleeze con un tocco di grunge e di roccioso metal style da classifica, facendolo in grande stile e con una propria personale, piacevole interpretazione. Il gruppo suona molto bene, si esprime come se gli Screaming Trees volessero imitare Slash, come se Alice Cooper giocasse con i brani storici dello street metal o degli Aerosmith ed è oltremodo interessante vedere come tra gli ispiratori della band ci siano anche i gloriosi Tesla. Così, l'assemblamento da guerra è pronto e pesca in tutti i settori del rock d'annata e in quello moderno, con il tiro sonoro che strizza l'occhio all'ultimo Ozzy e vede riaffiorire splendide chitarre vintage a stelle e strisce rieccheggianti il riff capolavoro di 'Wanted Dead or Alive' del buon vecchio Bon Jovi nelle tracce più melodiche, mentre assoli incandescenti e coretti alla Motley Crue aiutano a sostenere l'alto tasso adrenalinico dei brani cantati da un Thierry Pitarch in splendida forma, che fa il verso ad Alice Cooper, quanto all'oscuro crooner rock, Mark Lanegan. Il tutto condito con quella verve elettrica alla Dogs d'Amour o ai The Quireboys, rockers consumati, di strada, vissuti, che respirano polvere e trasudano energia senza mai dimenticare il concetto di libertà interiore nei confronti di una società decadente, concetti ben espressi nei testi di questo secondo lavoro della band transalpina uscito per Brennus Music e lanciato dalla Dooweet Agency. Esperienza, passione, qualità, una bomba pronta ad esplodere ed essere contagiosa, ottima nella sua proposta musicale quanto nel suo fumettistico artwork di copertina. Un album coinvolgente con brani decisamente trascinanti. Ascoltatevi "Thankful", "Ahead", "Ride" e provate a dire il contrario! Consigliato! (Bob Stoner)

(Brennus Music/Dooweet Agency - 2017)
Voto: 75

https://gutscrapers.bandcamp.com/album/getting-through