Cerca nel blog

giovedì 29 giugno 2017

LOOKING FOR NEW REVIEWERS IN GLAM, HARD ROCK AND ALTERNATIVE ROCK. 
PLEASE WRITE TO: thepitofthedamned@gmail.com

Framheim - Demo 2017

#PER CHI AMA: Black Old School, Burzum
Interessante sapere che il moniker della band di quest'oggi sia anche il nome della base antartica posta dall'esploratore Roald Amundsen sulla Barriera di Ross nel 1911, come punto di partenza per la conquista dell'Antartide. È forse un interesse storico al limite del morboso quindi a portare i nostri a definire il proprio sound quale "Polar Black Metal". Sicuramente, l'approccio musicale proposto dai Framheim è glaciale, testimoniato non solo a livello lirico ma anche da quel vento sferzante che apre "Lu Fredd", opening track in grado di palesare fin da subito le influenze ancestrali della band italica, che ci riconducono direttamente ai primordi del black, quello che vedeva nelle cavalcate soniche di Burzum un prototipo da seguire, con quei contrasti fra un rozzo e minimalista riffing e quelle parti più atmosferiche guidate da un uso massiccio di sintetizzatori, in grado di rendere la proposta in un qualche modo affascinante. I Framheim seguono quel filone, forti di una registrazione casalinga che sprigiona un mood atavico che farà certamente la gioia di coloro che rimpiangono gli anni '90. Heliogabalus e F. imbastiscono la loro architettura sonora in ugual modo anche in "San Giuseppe Due" (il motoveliero italiano della storica spedizione in Antartide), poggiando su delle chitarre in tremolo picking accompagnate da una furente batteria e con le screaming vocals in sottofondo che fanno percepire appena la loro presenza. Riascoltando l'EP, non ho potuto che apprezzare inoltre il tentativo dei nostri di proporre una forma più primitiva del black metal moderno espresso dai Progenie Terrestre Pura, attraverso il loro sound desolante e al contempo atmosferico. Chiaro, con sole due tracce non è cosi semplice fornire un giudizio strutturato, ma per lo meno è sufficiente per farsi un'idea iniziale di quello che sono e forse diverranno i Framheim. (Francesco Scarci)

(Xenoglossy Productions - 2017)
Voto: 65

https://framheimblackmetal.bandcamp.com/releases

mercoledì 28 giugno 2017

Antipathic - Autonomous Mechanical Extermination

#PER CHI AMA: Slam Brutal Death, Osiah
Un tre tracce piuttosto stringato quello dei brutal deathsters italo-americani Antipathic, ensemble che raccoglie la performance di due musicisti provenienti dagli statunitensi Human Repugnance e dai nostrani Zora. Comunque i sei minuti a disposizione del duo formato da Tato e Chris, lascia intravedere ottime sonorità estreme, con gli elementi tipici del genere brutal americano, ma con qualche deviazione al tema. Nella opener ad esempio, "Apparatus", accanto alle ritmiche tiratissime e al classico cantato in pig squeal, i nostri si lasciano andare per alcuni secondi ad un rallentamento da brivido in stile Disembowelment. La registrazione è corposa e bombastica, mentre la ritmica in "Molecular Deviations" assomiglia piuttosto ad una mitragliata affidata ad un M60, dove i proiettili sembrano i vocalizzi isterici del bravo Tato. Ultima è la title track, anche la traccia più lunga, visto che occupa metà tempo dell'EP: l'inizio raccoglie rumori di battaglia, poi si scatena il riffing vetriolico, a sprazzi molto ritmato con la timbrica maialesca del frontman a completare la prima battaglia targata Antipathic. Da monitorare. (Francesco Scarci)

martedì 27 giugno 2017

Left Sun - S/t

#PER CHI AMA: Prog Rock, A Perfect Circle, Porcupine Tree
I Left Sun hanno debuttato per la Ethereal Sound Works con il loro disco omonimo nel 2016, anche se il loro self-titled non rappresenta però il debutto assoluto per il cantante/chitarrista portoghese Flavio da Silva, già sulla scena progressive metal con il suo precedente progetto Oblique Rain. Il disco graficamente si presenta in maniera molto sobria, satinato in nero con il logo bianco della band al centro, all’interno anche il cd è monocromatico, ad eccezione di quella che sembra una mezzaluna grigia che ricorda vagamente le lune degli A Perfect Circle; il booklet infine è anch’esso totalmente nero e reca la scritta “fear is digging deeper”. Una scelta sicuramente studiata ma che, pur conferendo un’aria professionale al disco, penalizza l’immaginario che con una copertina più “parlante”, avrebbe preparato meglio l’ascoltatore alla musica dei nostri, peraltro davvero di ottima caratura. Tuttavia il caption proposto fa pensare. La paura è scavare più a fondo, nulla di più vero, chi oggi ha il coraggio di andare oltre la superficie e tuffarsi nel subconscio più oscuro? Magari proprio i Left Sun. Premiamo play e ci immergiamo nel primo pezzo, "Water Under the Bridge". Un intro di arpeggi sospesi sull’orlo di un buco nero si apre su uno sciabordare di accordi dissonanti che anticipano una strofa che richiama il suono di un vecchio carillon che offre anch’esso l’effetto di essere sospesi sul bordo di una cascata, “all things pass” dice la voce di Flavio, a richiamare il titolo del brano e a ricordarci che la vita è troppo corta per non lasciar andare. Subito dopo la voce s'inerpica su un ritornello decisamente aggressivo e grattato senza mai sfociare su suoni troppo disperati, rimanendo sobrio ma perentorio e deciso. Il pezzo prosegue con mille e una ambientazioni che comprendono grossi riff di chitarra e parti strumentali caleidoscopiche. L’intenzione è sicuramente prog, a richiamare lo stile dei Porcupine Tree ma anche le tecniche sonore degli A Perfect Circle, come giustamente suggerito dalla grafica del disco. Ci troviamo davanti ad un lavoro forse più variegato e osato di ciò che siamo abituati a sentire nel prog, si passa da scenografie prettamente "toolliane" a stacchi di assoli che ricordano gli ambienti dei Pink Floyd, fino ad arrivare a stanze arredate con santini della madonna del Guadalupe e che fanno pensare vagamente a ritmi che si sentono in 'Abraxas' di Santana. Il disco in toto è pervaso totalmente di queste sonorità e le canzoni scorrono senza intoppi lasciando una piacevole reminiscenza di musica del passato ma dal sapore nuovo, esotico ed energico. Da notare l’interlude a metà album che contiene vocalizzi, virtuosismi chitarristici e soluzioni ritmiche sospese nel vuoto oltre che interventi di fiati a richiamare ancora una volta i dischi che ci hanno cresciuto, uno su tutti 'The Wall'. In conclusione, questo disco dei Left Sun ci offre uno spettacolare viaggio nell’inconscio, passando attraverso ogni tipo di scenario fantastico e convincendoci ancora una volta, che il rock non è per niente morto, sta benissimo, scalcia, urla e irrompe prepotente nell’anima. (Matteo Baldi)

(Ethereal Sound Works - 2016)
Voto: 75

https://www.facebook.com/LeftSunOfficial/?ref=br_rs

The Pit Tips

Francesco Scarci

White Ward - Futility Report
Kynesis - Pandora
Sorrow Plagues - Homecoming

---
Don Anelli

Deathinition - Online
Lectern - Precept of Delator
Marche Funebre - Lebavoid

---
Matteo Baldi

Pelican - Australasia
Sumac - What one becomes
Oranssi Pazuzu - Värähtelijä

---
Kent

Offthesky & Pleq - A Thousand Fields
Valery Gergiev & London Symphony Orchestra - Prokofiev: The Complete Symphonies
Darkspace - Dark Space I

---
Five_Nails

Suffocation - ...of the Dark Light
Canvas Solaris - Sublimation
Nephilim's Howl - Through the Marrow of Human Suffering

---
Michele Montanari

Elder - Reflections of a Floating World
Dynatron - The Rigel Axiom
Steak - No God To Save

15 Freaks - Stuntman

#PER CHI AMA: Heavy/Hard Rock, Iron Maiden
Welcome back to Ethereal Sound Works, ovvero l'etichetta portoghese che mette il Pozzo dei Dannati in cima alle testate musicali a cui spedire gli album delle proprie band. Nel nutrito roster della casa discografica lusitana, oggi abbiamo i 15 Freaks, un quintetto fondato nel 2012 e che ha il quartier generale a Sintra, una delle città più belle del Portogallo poiché caratterizzata da lussuosi e stravaganti palazzi colorati costruiti su verdi colline, e atti ad ospitare la nobiltà. Capirete perché il fu Lord Byron la definì il giardino dell'Eden. Ma come sappiamo le anime tormentate degli artisti non trovano mai pace, che vivano nel sobborgo più triste di qualche austera città dell'est Europa o a ridosso di una spiaggia dalla sabbia abbagliante e acque cristalline. Questo dimostra come l'uomo cerchi in tutti i modi di raccontare la propria verità, scavare nel profondo dei sentimenti, gridando e mettendo in musica le ingiustizie a cui siamo sottoposti ogni giorno. Dopo un po' di elucubrazioni mentali torniamo alla band, nata più di quattro anni fa, ma che solo alla fine dell'anno scorso è riuscita a dare alla luce l'EP di debutto, questo 'Stuntman' appunto. Le tracce sono cinque e sono il prodotto di musicisti che hanno divorato la musica di Iron Maiden, Led Zeppelin, The Cult, Aerosmith e quant'altro, quindi quando ascolti tanto buon hard rock, che cosa può nascere durante le sessioni in sala prove? Lascio a voi l'ovvia risposta e passiamo in rassegna le canzoni: "Time Flies" è una song costruita su riff orecchiabili, ritmica trascinante e tutti gli orpelli del genere, come assoli e cantato potente. La title track cambia registro e mette una marcia in più alla band, che dopo un pieno di adrenalina ad alto numero di ottani, decolla e si lancia in picchiata. Le chitarre sono ben suonate, il suono convince e si amalgama bene con la tumultuosa sezione ritmica ed il basso pulsante. Un tuffo nel passato che ti fa venir voglia di prendere il gilet in pelle e rispolverare la vecchia Harley riposta in garage. Quasi cinque minuti di hard rock che si concludono con un finale in stile live con la classica gran rullata. "15 Freaks" è l'omonima traccia dal groove assai orecchiabile, con quel tanto di hair metal e glam che si intrufola nel cervello e si attacca al vostro tronco celebrale per restarvi a lungo. Ben fatti anche gli arrangiamenti che a fine ritornello danno un tono oscuro al sound, mostrando le altre sfaccettature del brano e della musica prodotta dalla band portoghese. "Crazy Randy" sembra uscita direttamente da un side project degli Iron Maiden, con una progressione strumentale ed un cantato che si avvicinano molto alla band di Steve Harris e soci. La canzone è anche la più lunga dell'EP e qui la band infonde tutto il proprio bagaglio artistico, dando fondo al repertorio di assoli e riff senza bisogno di alcun break per sostenere una traccia corposa e solida. I 15 Freaks non vincono sicuramente il premio come miglior band innovativa, ma dimostra tuttavia che l'attitudine ad un genere che tanto ha dato alla musica, regala sempre grandi emozioni. Speriamo solo che i nostri possano ricevere le soddisfazioni che si meritano. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2016)
Voto: 70

https://www.facebook.com/15Freaks/

lunedì 26 giugno 2017

Debeli Precjednik / Mašinko - Godina Majmuna / Majmun Godine

#PER CHI AMA: Post Punk/Hardcore
La Moonlee Records, già etichetta dei conosciuti Repetitor e di altre ottime band slovene/croate, collabora da tempo con i Debeli Precjednik/Fat Prezident (DP), band punk rock/hardcore, attiva dal lontano 1994. Da allora la band è sempre stata costantemente attiva, con circa nove tra album ed EP, rimanendo sempre fedele alle sue origini (il cantato è molto spesso in croato) ma che strizza l'occhio al punk della West Coast, quello alla Bad Religion per capirci. Il quintetto è la prova vivente che se suoni e credi in quello fai, la sacra fiamma del rock alimenterà la tua musa per sempre, o per lo meno per un bel pezzo. I DP sono a pieno titolo la miglior band dell'area balcanica, con alle spalle centinaia di concerti, e tornano dopo un paio di anni di pausa con questo split insieme ai Mašinko, altra band croata d'indubbio talento. Quest'ultimi nascono nel 2010 e la line-up è composta da sei elementi che prediligono il punk rock scanzonato ed ironico che ha lo scopo di entrare subito in testa e rimanerci a lungo. La copertina dello split è una bellissima rappresentazione grafica della nostra società, vista come un treno a vapore carico di scimmie che viaggia su binari pieni di rifiuti, il tutto capeggiato da un grasso capitalista in completo che ghigna soddisfatto. Il cd all'interno contiene dodici tracce, sei per band, quindi trattamento equo per le parti in questione anche se con una visibilità ben diversa. "Surrender Now" dei DP è la prima traccia che ci catapulta immediatamente sulle coste della California con un sound perfetto per il genere: la song è veloce come ci si aspetta e scivola giù facilmente come una birretta fresca in una giornata afosa. La struttura è la classica ripetizione strofa/ritornello con tanta energia e groove, mentre il cantante ha la timbrica che calza a pennello, squillante per quasi tutto il brano, ma verso la fine mostra quanto possa essere graffiante e potente. Il breve assolo di chitarra funge da bridge per cui si arriva presto alla fine ed è chiaro perché la band riscuota tanto successo ai concerti. Immaginatevi un live nelle verdi terre dell'est dove il pubblico balla e scalcia come fosse su una dorata spiaggia americana. Passiamo a "Zbogom Svi" e la band torna a cantare in croato, il che si presta benissimo al genere per sua cadenza e inflessione, mentre i musicisti aumentando ancora di più i bpm ed insieme a cori e riff di chitarra e basso, confezionano un altro brano assai godibile. Ma i DP non sono solo dei ragazzacci dallo sguardo beffardo e malizioso, infatti si sono anche messi in gioco con una brano profondo e introspettivo come "Subotom Kićo, Nedjeljom Slabinac (Crimson remix)" fatto di chitarra acustica, pianoforte e violini. Lontanamente può richiamare i lenti dei Green Day, ma il quintetto riesce nell'impresa e noi non possiamo che dire grazie. Dopo i brani dei DP tocca ai Mašinko che come detto, sono più grezzi e cacciaroni, infatti i sei brani grondano punk rock vecchia scuola, tanto che loro stessi dicono di dovere molto ai grandi Atheist Rap che hanno gettato il seme punk in Serbia già negli anni ottanta. "Srkijev San 21" apre le danze e lo fa con stile: il brano sembra registrato live con tanto di pubblico che acclama la band prima che i musicisti inizino con l'attacco. Le ritmiche sono già sentite come i riff, ma il tutto è ben arrangiato con suoni ruvidi al punto giusto; bravo peraltro il cantante che dimostra la sua esperienza e di dimena tra i velocissimi riff con disinvoltura. "041" riprende le fila e come un filo conduttore ci porta sempre più in profondità nel mondo dei Mašinko, veri animali da palco che vivono il punk rock come vuole la tradizione. Brani serrati, veloci e quasi sempre sotto i tre minuti di esecuzione. Arriviamo alla penultima traccia e ci imbattiamo in "Monumentalna" che probabilmente rappresenta l'opera magna della band. Dopo i suoi primi centottanta secondi cala di tono e permette al sestetto di lanciarsi poi in una nuova folle corsa con tanto di assolo di chitarra. Non finisce qui e con un breve break in stile folk, si ritorna al tema iniziale per portare il tutto a conclusione. 'Godina Majmuna / Majmun Godine' alla fine è uno split interessante che mette insieme due band simili, ma non troppo, ci regala così uno spaccato dei Balcani e della sua ricca scena punk rock/hardcore, lasciando lustrini e poser ad altre scene musicali sparse nel mondo. Qua si suona e si suda ancora come trent'anni fa, rispetto! (Michele Montanari)

domenica 25 giugno 2017

Steam Morrisler - Odds & Ends

#PER CHI AMA: Glam Rock, Motley Crue, Aerosmith
Un'altra band arriva da oltralpe, dalla sempre più prolifica terra dei nostri cugini galletti. Si tratta questa volta dei Steam Morrisler a proporci il loro EP di debutto, 'Odds & Ends', che include quattro pezzi all'insegna di un rock che sa tingersi di pop ma anche di stoner psichedelico. Se la opener "Red Voodoo Babe" riesce a strizzare l'occhiolino ad un certo rock'n roll anni '70 che chiama in causa gli Aerosmith, riletti ovviamente in una chiave contemporanea, la successiva e mia preferita "Under Acid Elephants", mette in scena i riferimenti psych stoner del quartetto di Parigi. Pur non proponendo certo musica originalissima, gli Steam Morrisler hanno da offrire una proposta godibilissima che in questa seconda song evoca, nel suo azzeccatissimo andamento tribale, anche un che degli Alice in Chains. "Hoodoo Tale (How The Devil May Care)" è una traccia dall'andamento strano: inizia fiabescamente quasi fosse la colonna sonora di "Fantasilandia", per poi muoversi con un andamento un po' psicotico tra voci pazzoidi, sonorità imprevedibili, stacchi rock'n roll e riffoni più pesanti. A chiudere il dischetto arriva "Heroin Jenny", forse il brano meno azzeccato dei quattro, che ricorda quanto i nostri siano anche legati al glam rock americano di Motley Crue e soci. Lavoro divertente per una ventina di minuti votati al rock'n roll. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 65

http://www.steammorrisler.com/

Kynesis - Pandora

#PER CHI AMA: Experimental Post Metal
Il roster dell'Argonauta Records si arricchisce di un'altra interessantissima band, peraltro italiana, e solo per questo non posso che esserne felice. I Kynesis arrivano da Torino, e sono un quintetto che con 'Pandora' arriva alla loro seconda fatica. Ipotizzo che i testi vertano sull'omonimo mito, purtroppo non sono disponibili; per quanto riguarda il genere proposto, direi che un primo riferimento potrebbe vagamente ricondurre al post metal, però c'è qualcosa nella musica dei nostri che mi spinge altrove, ma non ho ancora ben realizzato dove esattamente. L'ascolto di "Risveglio", opening track della prima parte dedicata all'inconsapevolezza, strizza sicuramente l'occhiolino a sonorità post, vuoi per la profondità delle chitarre o per le desolanti aperture malinconiche, ma le derive in cui la band va incontro, non sono propriamente quelle di Neurosis o Isis, almeno in questo punto. Se proprio dovessi scegliere un nome di riferimento, citerei i Cult of Luna, ma credo sia piuttosto dettato dalla presenza di Magnus Lindberg alla consolle anziché per una reale influenza della band svedese. Anzi ne sono fermamente convinto, ascoltando e riascoltando il cd, i Kynesis mostrano infatti una personalità ben definita che lungo le otto tracce di questo lavoro, ha modo di convogliare verso lidi progressivi, dark ed alternativi (penso a Tool e Deftones a tal proposito), non disdegnando tuttavia qualche rarissima accelerazione in territori post black. Ascoltando la seconda traccia, "Insidia", non si può rimanere insensibili agli innumerevoli umori messi in scena dall'ensemble piemontese, che si configurano attraverso cambi di tempo e d'atmosfera, ma anche dal modo di cantare del vocalist Ivan Di Vincenzo. Nella traccia troviamo alla fine un po' di tutto, addirittura echi di un suono mediterraneo che chiama in causa anche gli In Tormentata Quiete. E andando avanti nell'ascolto di 'Pandora' non si può rimanere che affascinati da un sound in continua progressione, capace di regalare sempre più spunti di originalità. Notevoli le divagazioni noise droniche di "Tentazione", un brano in stile Infection Code, che aveva in realtà aperto con una vena punk. La voce di Ivan di certo contribuisce a creare un po' di disordine cosmico tra urla sempre intellegibili ma quasi soffocate, ed un cantato pulito più meditativo. Un intermezzo ci accompagna alla seconda parte del disco dedicato alla perseveranza e aperto da "Illusione", una traccia che sin dall'inizio si rivela ombrosa, con il frontman che nella sua veste più decadente, ha modo di gridare in ogni modo, pulito, sporco, gutturale e soffocato, e presenta poi un riffing qui davvero volto al post metal, anche se privo di una vera linearità. Forse nell'elevata imprevedibilità della band giace il reale punto di forza del quartetto italico e ad una capacità di mettere in scena svariate idee, anche solo attraverso il suono di un improvvisato dung-chen, la tromba telescopica tibetana simile al suono del didgeridoo ("Cenere"), accompagnato da un parlato freddo e angosciante, da una ritmica tanto minimalista quanto eterea e suggestiva, e da un cantato, sempre in lingua madre, che forse qui trova il suo punto più alto, sia in chiave pulita che urlata. Le chitarre nel frattempo brandiscono riff più esasperati anche se poi è l'egregio lavoro ai synth ad impreziosire la performance dei nostri che quando pestano sull'acceleratore, sanno anche far male, ma che a mio avviso risultano poi più efficaci (e ribadirei originali) nelle parti più cerebrali. Vuoi per il titolo, ma "Catarsi" esplora quei territori darkeggianti che menzionavo poco sopra, con il basso che gioca un ruolo importante nell'equilibrio di una song che vive ancora una volta di saliscendi umorali che ci accompagneranno fino all'epilogo finale, "Sospiro", l'ultimo atto di un disco entusiasmante che vive il suo ultimo sorprendente slancio, con una song in bilico tra shoegaze e post rock, in cui compare anche una voce femminile, ma non aspettatevi nessuna voce eterea, ricordatevi che i Kynesis sono fatti a modo loro, dannatamente originali e... Sublimi! (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2017)
Voto: 80

https://kynesisband.bandcamp.com/album/pandora-2

sabato 24 giugno 2017

Scream Of The Soul - Children of Yesterday

#PER CHI AMA: Hard Rock
Puntualmente la prolifera Ethereal Sound Works ci recapita materiale delle sue band e dall'ultimo stock estraiamo dalla busta il lavoro di debutto degli Scream Of The Soul (SOTS), band hard rock portoghese. La band in realtà è uscita con un EP parecchi anni fa, probabilmente molte cose sono cambiate da allora e considerano probabilmente questo album come l'inizio di un nuovo progetto. I brani contenuti nel jewel case, dalla grafica semplice e disegnata a mano, sono sette, in un perfetto mix di sonorità anni '70/80 con influenze moderne, soprattutto nei suoni di chitarra. Queste strizzano l'occhio a qualche decade più in là, introducendo fraseggi metal, prog e pure un po' grunge. Pur avendo un ruolo fondamentale come vuole il rock, anche basso e batteria non sono da meno, con ritmiche incalzanti senza tanti fronzoli che conquistano subito per il groove. La voce del frontman nonché chitarrista, ha la timbrica giusta, squillante e potente, ed in più viene usata sapientemente lasciando spazio agli strumenti quando è il momento dell'assolo o del classico stacco. D'obbligo l'uso della lingua inglese e anche qui niente da dire, pronuncia impeccabile. Ultimo, ma assolutamente non meno importante, è sua maestà l'hammond, l'organo che ha profondamente cambiato il rock e che in 'Children of Yesterday' ci trasporta negli anni che hanno segnato la storia del rock. Difficile dire se sia il vero originale oppure un'ottima emulazione digitale, sta di fatto che il risultato è pressoché perfetto e noi comuni mortali possiamo solo che apprezzarne il suono. "Oblivious Waters" apre le danze con tanta grinta e voglia di riscatto, veloce e grondante di groove in stile Judas Priest con un missaggio che predilige la voce, ma che permette di gustare tutti gli strumenti. Una traccia veloce e relativamente breve che si ferma ai blocchi con uno stacco di tastiere a dare pochi secondi di respiro per poi ripartire. Il batterista trova molto spazio con i suoi fill classici ed ottimamente eseguiti, con un sapiente uso dei fusti per dare profondità e potenza nei punti giusti, sempre in perfetta sintonia con il basso. Niente assoli per la chitarra in questa prima traccia, infatti tutto il groove viene dai riff che trainano la melodia e amalgamano alla perfezione la struttura del pezzo. Visto che abbiamo già decantato le lodi del mastro hammond, "Brothers in Heart" lo vede elemento portante di questa ballata con il suo tono vibrante, come il testo del brano. Il mixing lo lascia purtroppo in secondo piano per far spazio alle chitarre, ma alla fine il risultato è abbastanza bilanciato e regala forti emozioni. In questi sei minuti abbondanti i SOTS si destreggiano su diversi livelli di intensità, confermando la taratura degli artisti presenti nella line-up. Grande prova del vocalist che riesce nell'intento di completare l'opera dei suoi colleghi, ossia trasmettere all'ascoltatore ogni singola sfumatura di un brano così complesso a livello emotivo. Dopo il momento introspettivo, il quartetto riprende in mano le redini e si getta a capofitto in "Spectrum", un brano prettamente hard rock fatto di palm mute e assoli che appagano il cuore di tutti i nostalgici del genere. L'hammond qui lascia spazio a tappeti di tastiere che perdono smalto, avremmo voluto qualcosa di più personale e meno banale per dare un tocco particolare ad una composizione più che classica. Alla fine di un disco del genere non si può che rimanere soddisfatti, se si ascolta una band come i SOTS è perché si cerca potenza e melodia fuse in un album fatto con cuore e passione. Ottima la prova dei nostri amici portoghesi che hanno saputo essere fedeli a se stessi facendo quello che gli riesce meglio, ovvero scrivere e suonare ottimo rock. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2016)
Voto: 75

https://screamofthesoul.bandcamp.com/

venerdì 23 giugno 2017

Lectern - Precept of Delator

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal
Italian brutal death metallers Lectern have stayed true to their roots and kept their steadfast tradition to mixing a brutal variation of the Floridian variety of death metal with a much harsher, more Satanic bent to their music that makes it more devastating. The main feature to be found here is the rather sharp, brutal riff-work, managing to work through a strong series of rhythm patterns that showcase a tight foundation with short rhythms and deep, churning grooves. That the vast majority of tracks in this section are built around a thrashing mindset means that they’re fast, vicious and really exploit the fine precision displayed throughout here as the up-tempo tracks and short rhythms give this a distinctly Floridian feel utilizing those similar tactics in their work. This one though adds on a far more blistering and twisting series of riffing over that which adds a frank brutality to the rhythms in this, and given that the riffing still adds a rather old-school vibe to the material is a fine touch. For the most part, it doesn’t have much wrong here beyond the need for repeating the same riff-work and arrangements at the varying tempos, but that’s overlooked with efforts like opener ‘Gergal Profaner,’ ‘Fluent Bilocation’ and ‘Distil Shambles’ all frequently showcase. The longer efforts like ‘Palpation of Sacramentarian’ and ‘Pellucid’ also offer more a traditional old-school death metal feel, but on the whole are more than enjoyable enough throughout here to give this one a lot to really like here for brutal and old-school death metal fans. (Don Anelli)

giovedì 22 giugno 2017

Comity - A Long, Eternal Fall

#PER CHI AMA: Crust Black/Post Hardcore
Caos e disagio. Sono queste le sensazioni ad emergere dopo l'ascolto di 'A Long, Eternal Fall' (A.L.E.F.), ultima fatica dei francesi Comity. La band parigina, attiva dal 1996, propone in sintesi un estreme rock sperimentale. Il lavoro in questione affonda le proprie radici nel metal estremo incorporando tuttavia numerose altre influenze, echi prog, rallentamenti doom e contaminazioni post rock (solo per citare le principali). A livello sonoro ci si trova davanti ad un buon prodotto, il sound ruvido e crudo dona al lavoro in questione una piacevole dimensione live, purtroppo va anche riscontrato che la voce di Thomas risulta eccessivamente penalizzata dalla differenza di volume, resta infatti troppo "sotto" al resto degli strumenti. Dal punto di vista tecnico-compositivo si nota subito una buona padronanza degli strumenti ed un invidiabile cultura musicale, ottime credenziali per esprimere appieno le proprie potenzialità. Le 8 tracce di 'A.L.E.F.' dipingono un'atmosfera malata, con l'intero album che risulta permeato da una costante sensazione di disagio e angoscia (sembra veramente di cadere da un'altezza vertiginosa senza arrivare mai al momento dell'impatto). Complice un ottimo uso delle dissonanze e un gran lavoro delle chitarre di François e Yann che dimostrano di essere a proprio agio e di saper esprimere una grande quantità di idee attingendo agli stili più disparati. Il drumming di Nico fa da degno contraltare, spaziando da tempi serrati tipici del metal estremo a soluzioni talmente inusuali da riuscire a stupire, il tutto condito da cambi di misura schizofrenici. Tuttavia 'A.L.E.F.' è un lavoro difficilmente assimilabile, se da una parte riesce a passare una certa emozionalità, dall'altra va riscontrata una certa amusicalità. Gli otto pezzi in questione mancando infatti di struttura logica, rendendone talvolta assai difficile l'ascolto. In sintesi, un lavoro che offre moltissimi spunti interessanti ma che obbliga a pensare. Consigliato a chi è curioso, ha una buona apertura mentale ed una buona dose di pazienza. (Zekimmortal)

mercoledì 21 giugno 2017

Nagaarum - Homo Maleficus

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, Thy Catafalque
Della serie one mand band crescono, trasferiamoci quest'oggi in Ungheria, a Veszprém per l'esattezza, dove vive tal Nagaarum, che negli ultimi sei anni ha fatto uscire una cosa come 14 album. Prolifico il ragazzo, soprattutto se stiamo parlando di produzioni di una certa rilevanza, almeno gli ultimi cinque lavori che ho avuto modo di ascoltare. E allora 'Homo Maleficus', che arriva a distanza di un anno dai due lavori usciti nel 2016, si fa notare per i suoi contenuti black sperimentali. Tralasciando il bruttissimo artwork di copertina che mal si adatta alle sonorità del mastermind magiaro, muoviamoci all'ascolto di questa release, che si apre con i suoni insani di "A Befalazott", una traccia che miscela un black mid-tempo con il suono in tremolo picking delle chitarre, che contribuiscono a generare un certo mood malinconico. Le harsh vocals si alternano alle voci pulite, mentre un'intrigante linea melodica di sottofondo può evocare quanto fatto recentemente da un'altra geniale band ungherese, i Thy Catafalque. Sebbene le chitarre mostrino una ruvidezza di fondo nel loro incedere, ciò che impreziosisce la performance del musicista è una continua ricercatezza di un effetto, un'atmosfera particolare che sappia essere un po' inquietante in taluni momenti (e penso a "Az Elvhű", song post black doom, meritevole soprattutto nella seconda metà), oppure che offra una melodia vincente che sovrasti la furia generata dal black ("Vassal Nevelt", vera top song del cd) o ancora che sappia creare delle atmosfere lugubri e psichedeliche al tempo stesso, quasi surreali ("Cipelők"). Aggiungerei poi che la peculiarità di Nagaarum sta anche nell'iniziare un brano in un modo e concluderlo in maniera totalmente diversa, generando pertanto la percezione di aver gustato in 5-6 minuti, tutte le catartiche suggestioni sonore dell'artista ungherese. A tal proposito penso anche agli sperimentalismi di "Mens Dominium" o al doom dronico iniziale di " Dolgunk Végeztével", una song irrequieta, irrazionale, tribale, con dei vocalizzi stralunati cosi come con la sua ritmica che si muove tra punk, thrash, psych, industrial, avantgarde, black, doom e quant'altro, sorprendendo ancora una volta per un eclettismo sonoro che trova pochi eguali nella scena odierna. Dieci minuti di questo tipo lasciano addosso la sensazione di trovarsi sotto l'effetto di una qualche sostanza psicotropa, di essere avvinghiati da un senso di paranoia, di vedere ragni mostruosi che si muovono sul soffitto o vedere ombre minacciose laddove non ve ne dovrebbe essere traccia. La complessità musicale di questo 'Homo Maleficus' ha un che di portentoso ed entusiasmante. Si giunge ahimè al capolinea con l'ultima "Kolontár", cinque minuti di sonorità al rallentatore capaci di produrre quell'ultimo stato di angoscia che via via si trasformerà in quiete. Gran bell'album (ma mezzo punto in meno per la cover), ora fate come me, andatevi a riscoprire i precedenti lavori. (Francesco Scarci)

(Grimm Distribution/NGC Prod. - 2017)
Voto: 75

https://nagaarum.bandcamp.com/