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martedì 4 aprile 2017

Goodbye, Kings - Vento

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale, Vanessa Van Basten
Da quando Argonauta Records si è affacciata sul mondo della musica, parecchie band meritevoli di attenzione sono venute a galla ed i Goodbye, Kings (GK) sono sicuramente una tra queste. Originari di Milano, il sestetto ha esordito nel 2014 con l'autoproduzione 'Au Cabaret Vert', importante meta raggiunta tramite un primo EP e una demo, che lasciavano già intendere che non ci troviamo di fronte ad un progetto banale. I GK sono un piccolo esercito votato al post rock e non solo, pur dovendo confrontarsi con una scena italiana ed internazionale assai attive, riescono a distinguersi con uno stile raffinato e trascendentale che ricorda i Godspeed You! Black Emperor ed i King Crimson. "How Do Dandelions Die" è la prima traccia di 'Vento' e grazie ad uno sviluppo in crescendo con grosse reminiscenze prog, ammalia l'ascoltatore con suoni perfettamente bilanciati ed atmosfere eteree. Il lieve soffio del vento iniziale ci colloca al di fuori della nostra reale posizione, sopra una nuda scogliera a picco sull'oceano calmo del mattina, mentre il tocco leggero sulle corde di chitarra fanno riemergere ricordi lontani come un grande cetaceo che torna in superficie accompagnato dallo sbuffo liberatorio. Gli accordi distorti di chitarra sopraggiungono lentamente per dare man forte ad una struttura ripetitiva ed ipnotica. In "Shurhuq" si progredisce di livello, e l'opera diviene un ensemble minimalista dove il pianoforte diviene il protagonista della sua stasi, colma di tristezza ed in cerca di un pertugio di salvezza. La naturale continuazione sfocia in "The Tri-state Tornado", con basso e batteria che si fondono in un grande ed unico battito che accelera per lasciare poi spazio alle chitarre. Queste proseguono nella ripetizione ciclica del loro riff per poi calare, tornando al battito di apertura che scema nella chiusura del piano. Molto bello il duetto finale tra quest'ultimo e la chitarra pulita. La magnum opus è probabilmente "The Bird Whose Wings Made the Wind", una canzone di ben quindici minuti che riassume il concept dell'album. Ritornano le folate di vento, una timida chitarra si fa spazio tra la forza della natura e vince grazie alla sua caparbietà, come una goccia che scava nella dura roccia grazie allo scorrere del tempo. Tutto è semplice, emozionale fino al midollo, una lunga sonata che s'innalza progressivamente scavando nel nostro io primordiale. La seconda parte si arricchisce della sezione ritmica fatta dal basso che coesiste visceralmente con la grancassa adibita a cuore pulsante dell'intera struttura. L'incursione delle chitarre, distorte e volutamente distanti, aggiunge grinta in forma eterea ed effimera, una sorta di sogno iperrealistico che la mente dell'ascoltatore forgia a suo piacimento fino alla conclusione in fade out che affida la chiusura alle sferzate del vento. "12 Horses" è il brano più carico, l'incipit è potente e spazza via le precedenti introduzioni shoegaze per lasciar spazio al furore imbrigliato nell'animo dell'esercito battente bandiera meneghina. Il tono si abbassa, il piano duetta con melodie rovesciate dal delay delle chitarre, generando una ritmica complessa e impossibile da solfeggiare, ma poi il tutto si distende con brevi sprazzi lineari. Se 'Vento' è appunto un concept album incentrato su questo elemento naturale, il brano in questione è sicuramente la sua rappresentazione in termini di potenza ed energia. In generale l'album ricorda i passati Vanessa Van Basten, un duo genovese che ha lasciato un segno indelebile nell'undergound italiano, di cui i GK hanno saputo far tesoro degli insegnamenti. Un lavoro semplice, dal grande impatto sonoro ed emotivo, eseguito con passione ed estrema cura nell'uso dei suoni. Da vedere in concerto, sicuramente un'esperienza unica da assaporare sospesi tra sogno e realtà. (Michele Montanari)

(Argonauta Records - 2016)
Voto: 75

https://goodbyekings.bandcamp.com/

It's Everyone Else – Heaven is an Empty Room

#PER CHI AMA: Industrial/Digital Hardcore/Electro Noise
A fine novembre del 2016, la Noise Appeal Records ha fatto uscire l'album di debutto del duo sloveno degli It's Everyone Else. Un lavoro ritmicamente intenso, carico di violenza selvaggia e distruttiva, liberatoria, debitore e seguace delle traiettorie sonore già tracciate dai vari Prodigy, Skinny Puppy e Atari Teenage Riot, un frammento di potente saggio di musica dal gusto inequivocabilmente industrial, elettronico quanto basta per accostarlo al digital hardcore ma con sconfinamenti nell'alternative punk, complice certe geniali trovate che hanno reso famose band del calibro dei Chumbawamba, con vocals maschili e femminili che si alternano nell'imitare lo stile di Pixies e Rage Against the Machine oltre ai già citati precedenti gruppi. L'industrial non se la passa molto bene ultimamente e considerate le poche idee innovative, riusciamo ad individuare un'alta dose di creatività nel duo di Ljubljana, l'originalità non è proprio di casa ma le lezioni lasciate dai maestri del genere hanno dato buoni frutti in questo box di circa mezz'ora, dove il calderone di suoni rievoca spettri e vette musicali di tutto rispetto. Il disco vola velocissimo con i suoi dieci brani intrisi nel silicone e rivestiti di lattice; il tocco perverso, estremo e ribelle si nota fin dalla prima nota e genera nell'ascoltatore una buona sensazione di familiarità col genere ed allo stesso tempo di curiosità che lo porta a seguire uno dopo l'altro lo sviluppo delle canzoni. La voce di Pika Golob dona un tocco di glamour trasversale ed oscuro con il suo canto sofferente e di scuola alternative punk alla Kim Gordon mentre Lucijan Prelog spinge sull'acceleratore, focalizzandosi sulla falsariga del punk più indie, combattivo ed estremo che ricorda i gruppi già citati di Zack de la Rocha e Alec Empire. La presenza costante di atmosfere sinistre e oppressive, la prevalenza scenica del noise e la variabile EBM, rendono ancora più accattivante la figura del duo di Ljubljana, ed è per questo motivo che brani come "The Truth About Mirrors" e "Sleep is So Cruel" diventano canzoni memorabili che alimentati da brani lampo come la rumorosissima "Nineteenninetyfive" o l'allucinata e isolazionista "Lone", completano un ottimo manifesto di elettronica d'assalto futurista che anche dopo infiniti ascolti riserva ancora delle nuove sorprese sonore. La scelta dei suoni, la produzione più che buona e una copertina che ingloba il sinistro, nero disagio che avevamo già apprezzato in 'Adore' degli Smashing Pumpkins ampliano a dismisura la potenza di fuoco di questa coppia di killer armati di sintetizzatori, coinvolgendo e trascinando chi ascolta con la stessa energia di una band hardcore. Saranno difficili da accettare per la massa, magari anche un po' derivativi, ma questo album è un vero carico di materiale infiammabile, dinamite pronta ad esplodere nelle vostre orecchie! Sottovalutarli sarebbe un grave errore, disco consigliato, da ascoltare ad alto volume, altissimo volume! (Bob Stoner)

lunedì 3 aprile 2017

Arcane Existence - The Dark Curse

#FOR FANS OF: Melodic Black/Death Metal, Thulcandra, Paimonia
Formed just in 2016, California-based melodic black/death metallers Arcane Existence have been taking their influences and running it through the deep lows and emotional highs as they adapt a storyline involving the TV show ‘Once Upon a Time.’ As for the music itself, the group displays a rather adept and profound mixture of stylish symphonic elements within the melodic black/death realm. The fiery tremolo riffing is generally tight and up-tempo, raging along with a galloping pace which generates a rather fun and frantic charge here while engaging the blistering symphonics here. That is far more impactful throughout the album, going for grandiose elements that are far more dynamic than the majority of the riff-work featured here not only in terms of featuring the melodic flurries but also focusing on the massive orchestral sounds when placed alongside these engaging tremolo patterns. It tends to get a little overloaded with the symphonics to the detriment of the riff-work, especially in ‘Reshaping History’ and ‘Bleeding Through’ which showcase this quite effectively. On the other side of the spectrum, ‘Welcome to Storybrooke,’ ‘The Dark One’ and ‘Magic’ offer more traditional elements that make for a strongly balanced and engaging first step that comes off far better than expected for a debut. (Don Anelli)

domenica 2 aprile 2017

Chaos Being - S/t

#PER CHI AMA: Stoner Rock/Grunge, ultimi Metallica, Cathedral
I Metallica con i primi tre album hanno fatto scuola a decine, forse centinaia di band, cresciute a pane e 'Master of Puppets'. Poi si sa, i quattro cavalieri di Frisco hanno imboccato una via diversa, più alternativa e contaminata da altre sonorità. Chi come il sottoscritto pensava che un album come 'St. Anger' non avrebbe mai rappresentato fonte di influenza per le generazioni a venire, dovrà ricredersi. Basti ascoltare infatti "Don't Understand", traccia numero due (dopo l'intro) del debut album dei milanesi Chaos Being, per capire come il quartetto meneghino abbia nelle proprie corde gli ultimi insegnamenti di James Hetfield e compagni. Parlo qui di un utilizzo di chitarre e soprattutto batteria che evocano inequivocabilmente uno degli album più controversi dei The Four Horsemen, anche se l'impostazione vocale ricorda quella del James di 'Kill'em All'. A chi pensa che la traccia sia una mera scopiazzatura degli illustri colleghi statunitensi, si ascolti il finale quasi western di questa coinvolgente song. Quando con curiosità mi avvio all'ascolto di "Sway", ecco che lo scenario cambia, si fa più mutevole, rimbalzando tra lo stoner dei Cathedral, una vena punk ed un hard rock di zeppeliana memoria, con la voce del buon Riccardo che emula sempre quello del frontman dei Metallica. Con "Oblivious" entriamo nei meandri di un suono più psichedelico che strizza l'occhiolino addirittura a sonorità grunge, anche se il suono non è proprio pulitissimo e c'è ancora da fare qualche aggiustamento. "J" colpisce per le sue chitarre in preda a una dose di LSD, ad un suono più compassato e ad un chorus assai catchy. Un riffing più thrash oriented apre "Listless" e qui riemergono le influenze dei Metallica nella loro versione di coverizzatori all'epoca di 'Garage Inc.', un po' rock, un po' thrashettoni, un po' punk. Cosi si muovono i nostri, ripercorrendo la strada aperta da Diamond Head, Blitzkrieg, Misfits e Black Sabbath. Siamo arrivati nel frattempo alla title track, una song strana che abbina la schiettezza di un suono dritto, a dei cori un po' difformi e ad una successiva fase assai ritmata che si chiude in un epilogo punk, chiaro no? Nel finale, la classica outro che chiude un album dai suoni controversi, sulla strada dei loro maestri... (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 65

Ottone Pesante - Brassphemy Set in Stone

#PER CHI AMA: Heavy Metal Sperimentale
All’epoca dell’omonimo EP del 2015, gli Ottone Pesante non mi avevano fatto propriamente impazzire. Lavoro sicuramente riuscito ma troppo pieno di interrogativi, soprattutto rispetto ad una loro reale evoluzione. A queste domande risponde oggi questo primo album, in cui Paolo Raineri (tromba) e Francesco Bucci (trombone) cambiano compagno di viaggio (Beppe Mondini alla batteria al posto di Simone Cavina) e alzano la posta in gioco, fugando ogni dubbio sulla credibilità del progetto. Nonostante la formazione possa far pensare a qualcosa di assimilabile alle atmosfere jazz core di delle creature più estreme di John Zorn, in questi 33 minuti di ' Brassphemy Set in Stone' non c’è nemmeno un secondo in cui venga lasciato spazio all’improvvisazione. Raineri e Bucci (già apprezzati come sezione fiati dei Calibro 35) si dimostrano grandi fan del metal più estremo e sfoderano una serie di riff granitici per tromba e trombone che si rifanno in modo più o meno esplicito a grandi classici quali Slayer, In Flames, Meshuggah, e se qualcuno si sta domandando quale possa essere la portata distruttiva di un metal suonato senza nemmeno uno strumento a corda, è invitato ad ascoltare l’incipit di “Brutal” o il doom ultradilatato di “Trombstone”. Lasciato per strada per quanto possibile quel retrogusto balcanico che sporcava qua e là l’EP d’esordio, qui i tre Ottone Pesante sfornano composizioni serrate, potenti e sempre più complicate dal punto di vista tecnico, procedendo compatti e col fragore provocato da un esercito ben più numeroso. Registrato in presa diretta da Tommaso Colliva (Calibro 35) e affidato alle sapienti mani di SoloMacello, 'Brassphemy Set in Stone' è un disco valido, e riguardo ai dubbi su quanto possa durare in realtà un gioco del genere, preferiamo farci sorprendere una secondo volta. Talento, passione e potenza primordiale ottenuta senza usare nemmeno un po’ di corrente elettrica. (Mauro Catena)

(B.R.ASS, SoloMacello, Toomi Labs - 2016)
Voto: 75

https://ottonepesante.bandcamp.com/album/brassphemy-set-in-stone

venerdì 31 marzo 2017

Dinosaur Jr. - Give a Glimpse of What Yer Not

#PER CHI AMA: Psych Rock
Se ancora non vi siete stufati, ritroverete quel ruvido fuzz-chitarrismo ormai giurassico (junior) e quell'inconfondibile melanconismo rauco alt-prepensionistico da nonno freak (poco) carino e (evidentemente non) disoccupato. Il songwriting di J Mascis è tuttora fervido di consolidate ed elementari melodie domestiche eppure moderatamente avvincenti (dappertutto, ma soprattutto nelle iniziali furbette "Going Down" e "Tiny") e passaggi chitarristici tra il buono ("Be a Part") e l'ottimo ("I Walk for Miles"). Insolitamente all'altezza i due contributi del riottoso gregario Lou Barlow (soprattutto "Love is..."). Se ancora, dopo tutti questi anni, il vostro morbido cuoricino di flanella fa tum-tum quando passano in radio i figliocci prodighi Dave Grohl e Morgan Shaun, allora ascoltatevi questo disco e poi sparatevi tutta la prima serie di Friends in DVD. Probabilmente non vi ricordavate che Lisa Kudrow fosse così carina, nella prima stagione. (Alberto Calorosi)

(Jagjaguwar - 2016)
Voto: 75

http://www.dinosaurjr.com/

giovedì 30 marzo 2017

Apostasy - Devilution

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Black, Dimmu Borgir, Emperor
C’è poco da fare, da sempre i gruppi capaci di suonare black sinfonico, con una certa classe, si contano oramai sulle dita di una mano e di certo gli Apostasy non fanno parte di questa elite. Devo ammettere però, che la band svedese s’impegna non poco per conquistare l’attenzione del pubblico che, come me, acclama a gran voce il ritorno di un genere reso sicuramente celebre da 'Enthrone Darkness Triumphant' dei Dimmu Borgir, ma che in precedenza, aveva visto come maggiori esponenti gli Emperor. Che dire degli Apostasy? È una band che nonostante il discreto esordio del 2003, 'Cell 666', col secondo lavoro datato 2005 si mostra ancora acerba e con idee un po’ troppo scontate e stra-abusate. A parte qualche raro momento, in cui i nostri riescono a catalizzare maggiormente l’attenzione, e dove emergono anche vampiresche influenze alla Cradle of Filth, 'Devilution' si assesta su livelli di sufficienza risicata. Positiva la prova del cantante, mai piatto nella sua performance, in grado di spaziare dal growl allo scream per concludere con una voce più filtrata in stile The Kovenant/Arcturus negli ultimi pezzi dell’album, che mostrano una vena sonora leggermente più avantgarde, che strizza l’occhiolino alle già citate band norvegesi. Banali alcuni passaggi di tastiera, salvabile la ritmica, mai troppo ammiccante nei confronti dell’ascoltatore, qualche discreto assolo fanno di 'Devilution' un album che sta nel mazzo. In complesso, si tratta di un cd che vive di alti e bassi che, alla fine, non è del tutto da buttare. (Francesco Scarci)

(Black Mark Production - 2005)
Voto: 60

https://www.facebook.com/apostasysweden

mercoledì 29 marzo 2017

Coprofago - Unorthodox Creative Criteria

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Death, Cynic, Atheist, Meshuggah
Quest’album è pazzesco, peccato solo sia stato l'ultimo vagito dei Coprofago, prima dello scioglimento nel 2005 (si sono riformati però nel 2014, per cui attendo fiducioso). Con il loro terzo lavoro i quattro cileni si confermano una band di fuoriclasse. Avevo già apprezzato i nostri con il precedente 'Genesis', datato 2000 e, non avendo più sentito parlare di loro, li avevo dati per sciolti. Invece, dopo un lustro ecco arrivare questo spettacolare 'Unorthodox Creative Criteria', platter capace di fondere un death supertecnico, in pieno “Florida style“, con un sound che indubbiamente si rifà ai Meshuggah e al loro malatissimo 'Destroy, Erase, Improve', ma non solo: la cosa che rende veramente notevole il terzo disco dei Coprofago non è tanto l’accostamento ai gods svedesi, ma l’abilità nell’inserire ammalianti inserti jazz/fusion, in grado di far accapponare la pelle, come solo i migliori dischi jazz del passato erano in grado di fare. Qui c’è una grandissimi abilità compositiva, che si accompagna ad una eccelsa tecnica individuale e ad un buon gusto per le melodie. L’unico neo che rimane al quartetto sudamericano, è l’inappropriato, quanto mai ridicolo moniker, che a mio avviso tende a sminuire il valore della band, anche perché, il nome, abbastanza fuorviante, è associabile a qualche grottesca death gore band. Ottimamente prodotti, i Coprofago potevano essere pronti a spodestare dal trono i maestri del genere grazie alla loro classe, ai pesanti riffs sincopati, alle voci vetrioliche, ad un incredibile basso slappato, ad una batteria ipertecnica e a momenti psichedelici di rara bellezza. Se avevate nostalgia dei tecnicismi degli Atheist, dei momenti jazz alla Cynic, se non siete ad oggi sazi della follia dei Meshuggah o vi manca la brutalità melodica dei Death, bene allora 'Unorthodox Creative Criteria' non deve mancare nella vostra collezione. Precauzioni per l’uso: l’album è di difficile presa, servono diversi passaggi nel vostro stereo, per poter essere digerito, ma dopo, ve lo garantisco, non ne potrete più fare a meno... (S)Co(i)nvolgenti (Francesco Scarci)

(Sekhmet Records - 2005)
Voto: 80

https://www.facebook.com/OFFICIALCOPROFAGO/

lunedì 27 marzo 2017

Adamennon - Le Nove Ombre del Caos

#PER CHI AMA: Colonne Sonore/Psichedelia, Goblin
Abito a Como ormai da parecchi anni ed ignoravo completamente l'esistenza di questa band, gli Adamennon. Non certo gli ultimi arrivati poi, visto che il "titolare" della band (trattasi di una quasi one man band) è in giro dal 2006 e in questi undici anni ha fatto uscire parecchi lavori, split e quant'altro, frutto di collaborazioni con vari artisti. Eccomi quindi fare la conoscenza con Mr. Adamennon e con il nuovo album 'Le Nove Ombre del Caos', Colonna Sonora Originale di un ipotetico film mai girato. Il titolo, per quanto mi riguarda, ma lo sarà anche la tastiera introduttiva, è un manifesto programmatico dell'artista lariano, un inno ai Goblin, un tributo a Dario Argento e a tutta la filmografia horror italiana degli anni '70. Avrete pertanto intuito che ci troviamo di fronte a malsane atmosfere ambient, paurose come i film dell'allucinato Dario, quelli però più a sfondo psicologico direi, come 'L'Uccello dalle Piume di Cristallo' o 'Il Gatto a Nove Code', per cui c'è anche una simbologia ricorrente nel numero nove con l'album di quest'oggi. E allora immergetevi insieme a me nelle terrificanti ambientazioni di "Un Sospiro nel Profondo Nero", dove il richiamo alla band di Claudio Simonetti è davvero importante. Con la successiva "Il Felino dallo Sguardo che Arde", le orchestrazioni da chiesa si fanno più forti e si accompagnano a voci corali e recitative, mentre la musica viene guidata dall'angosciante incedere di un magniloquente organo. Delicati tocchi di un nostalgico pianoforte aprono "Il Museo delle Anime Perse", una traccia che subisce un'evoluzione quasi inattesa: la song infatti, pur mantenendo intatto il suo pattern tastieristico, dà maggior spazio alla batteria e soprattutto ad uno screaming tipicamente black. Tra il grottesco e il faceto, ecco arrivare "La Giostra del Folle", un carillon maledetto che però suona molto simile ad una traccia contenuta nell'ultimo album dei Thee Maldoror Kollective, ormai datato 2014. Molto più convincente e soprattutto assai più roboante, "Dalle Fauci al Ventre della Bestia Nera", grazie ad un sound grosso, corposo, avvolgente, drammatico, malinconico, ipnotico e lisergico, in quella che forse è la canzone che più mi ha coinvolto dell'intero album. Il lato B del cd (è riportato cosi sul digipack) apre con la litanica "Incontro e Scontro con la Paura", una song che induce fenomeni paranoici a livello cerebrale, forse a causa di una certa ridondanza sonora, a cui si aggiungono voci pulite in background che si mischiano ad urla disumane. Si scivola lentamente verso la fine del disco con un'altra song dal flusso un po' ubriacante, "La Sconfitta al Pozzo di Sangue", fatta di suoni sbilenchi e urla dannate in sottofondo. L'ultimo atto, tralasciando la pianistica "La Caduta nel Perpetuo Oblio", è affidata alla lunghissima e sacrale "Il Risveglio Nella Morte Universale/Le Nove Ombre del Caos", cantata in latino e italiano, in una sorta di celebrazione ritualistica davvero suggestiva e solenne, affidata quasi interamente ai tastieroni del mastermind comasco e alle vocals del compagno di ventura Maximilian Bloch, responsabile dei synth, del pianoforte e delle voci corali del disco. La seconda parte del brano raccoglie poi influenze ed interferenze drone per un finale delirante, una degna conclusione di un disco sperimentale da godere spaventati, nella penombra della propria casa. (Francesco Scarci)

domenica 26 marzo 2017

The Pit Tips

Francesco Scarci

Gloson - Grimen
Rosk - Miasma
Mord'A'Stigmata - Hope
 

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Michele Montanari

Mothership - High Strangeness
Mood - Out Loud
Trentemøller - Fixion
 

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Don Anelli

Daemoniac - Spawn of the Fallen
Aborted Fetus - The Art of Divine Torture
Hellion Prime - Hellion Prime
 

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Kent

The Denver Gentlemen - Introducing... The Denver Gentlemen
William Basinski - A Shadow In Time
Slim Cessna's Auto Club - Unentitled
 

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Five_Nails

Allegaeon - Proponent for Sentience
Altar of Betelgeuse - Among the Ruins
Pelican - Ataraxia/Taraxis

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Caspian Yurisich

Wytch Hazel - Prelude
Warbringer - Waking into Nightmares
Grouper - Dragging a Dead Deer up a Hill

Winterkyla - Uppland

#PER CHI AMA: Epic Black, Windir, Dispatched
L'Uppland è una provincia della Svezia, collocata nella regione dello Svealand, che include peraltro la capitale Stoccolma. Il titolo di questo EP di debutto vuole essere verosimilmente un tributo alla terra d'origine del mastermind che sta dietro a questa nuova band svedese, i Winterkyla. Le informazioni disponibili sul nostro nuovo eroe sono però assai limitate: si sa solo che Requiem è colui che governa questa gelida creatura nordica (il significato del monicker dovrebbe essere infatti raffreddamento invernale) e che ci propone, nelle cinque tracce contenute in 'Uppland', un black per lo più atmosferico. Si parte però con il sound rock progressive di "Frystad", il che farà storcere il naso a coloro che, poco sopra, avevano letto di una proposta all'insegna del black. Siate fiduciosi, perché superato l'impatto iniziale, peraltro assai piacevole, il factotum scandinavo si lancia con "At the Mountains of Madness" con una proposta che a livello di melodie sembra richiamare i Windir, mentre quel suo cantato nevrotico, mi ha ricordato i Dispatched. La canzone però è assai eclettica e si passa da un inizio assai tirato ad una seconda parte più compassata, che lascia intravedere spiragli di grande potenzialità che per ora rimangono non del tutto espressi, ma che se esplorati adeguatamente, potrebbero anche far gridare al miracolo. La terza parte della song riprende quella furia iniziale, che viene stemperata dall'interludio militaresco della terza track. "Winter in Bloom" ha un'introduzione carica di suspense, con un approccio molto vicino alla colonna sonora di un qualche film giallo; poi partono le galoppate in tremolo picking, i blast beat e le screaming vocals, in quella che è la traccia più violenta del disco. Ancora keys minimalistiche in apertura della title track, ultima song del dischetto (che dura comunque la bellezza di 27 minuti), accompagnate da una chitarra che disegna una trama che non definirei proprio lineare ma che mostra un carattere quasi sperimentale, in una traccia dove il cantato, forse il punto debole dei nostri, è fortunatamente messo da parte. I Winterkyla alla fine sembrano avere buone idee che se convogliate nella giusta direzione potrebbero rivelarsi addirittura originali. Come assaggio comunque 'Uppland' non è affatto male; ora, se volete il cd, fate presto, c'erano 50 copie e una l'ho già presa io. (Francesco Scarci)

giovedì 23 marzo 2017

God's Empire - S/t

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Post, The Gathering, Tool
È sorprendente come due individui, appartenenti a due generi fondamentalmente distanti anni luce tra loro, si siano incontrati dando vita ad un terzo genere, che con i due precedenti non centra ancora una volta assolutamente nulla (o quasi). Stiamo parlando dei francesi God's Empire, duo formato dal chitarrista Jérôme Colombelli (membro di Uneven Structure e di Cult Of Occult, altre due band agli antipodi, una djent e l'altra al limite del funeral doom) e Anne-Sophie Remy (Room Me), una vocalist cresciuta ispirandosi a Patti Smith e PJ Harvey. Questo è il loro EP omonimo uscito da poco autoprodotto, che consta di cinque tracce che strizzano l'occhiolino al versante più alternative della musica rock. Lo si evince già dall'opener "Pleasure" e dal suo rifferama cosi nevrotico che chiama in causa Tool e Deftones, che poco convince però a livello di batteria, sul finire un po' troppo caotica e che mal si inserisce nel contesto musicale creato. L'inizio di "Nightmare" non può non far pensare ai System of a Down, anche se poi l'incedere si fa più cupo e minaccioso, con in primo piano un riffing tosto e ritmato e la voce di Anne-Sophie convincente, ma che lascia ancora intravedere ampi margini di miglioramento. In "Mirrors" si palesa a livello della sei corde un retaggio djent proveniente dagli Uneven Structure, anche se poi quando la vocalist prende la scena, il volume della chitarra sembra abbassarsi, per dare modo ai vocalizzi di Anne-Sophie di elevarsi su tutto il resto, mentre nei cori torna ad irrobustirsi la porzione ritmica dei nostri. "Coma" apre timidamente con la voce di Anne-Sophie che sembra rievocare quella di Anneke Van Giersbergen, ex front-woman dei The Gathering, nei pezzi più malinconici della band olandese; ed è proprio in questa veste più calda che la performance della cantante transalpina si fa ancor più convincente, cosi come la song, decisamente più malinconica delle precedenti. Seppur i due non inventino nulla di che, alla fine è il pezzo che preferisco, perché riesce a bilanciare perfettamente l'aspetto più atmosferico e decadente dei nostri con un riffing a tratti votato al post rock e in altri frangenti, assai più tensivo. Si arriva alla traccia più lunga del disco, "Dark Passenger", ove sono ancora atmosfere rilassate a governarne l'andamento di un brano che, complice una chitarra in tremolo picking, risulterà mostrare un carattere nostalgico e tormentato. Insomma una prima prova quella dei God's Empire che tra luci ed ombre, riesce a mostrare una certa personalità, volubile, eclettica, a tratti indomabile, che comunque potrà convincere quella fetta di fan più aperta a sonorità alternative volte a varie forme di contaminazioni. (Francesco Scarci)

Bathsheba - Servus

#PER CHI AMA: Doom Progressive/Post Black
La recensione di oggi la inizierei partendo dalla terza traccia del disco, "Manifest", song che esprime tutte le potenzialità di questo combo proveniente dal Belgio, dedito ad una raffinata forma di doom, guidato dalla suadente voce di Michelle Nocon. Ma torniamo al brano numero tre di 'Servus', vero manifesto di quella che è la proposta del quartetto di Genk. Il suono dei nostri si mostra drammatico e di certo ispirato ai grandi maestri del passato, Black Sabbath e Saint Vitus in testa, senza scordarci anche Candlemass e Cathedral. Il pezzo, nei suoi oltre 10 minuti, mette in mostra tecnica, l'amore dei nostri per sonorità lente e pesanti ispirate ai seventies, ma soprattutto uno spiccato senso melodico che si esplica attraverso uno splendido assolo "strappamutande" di oltre due minuti che mi ha lasciato interdetto, a bocca aperta, inebetito per cotanta bellezza, e forse proprio per questa mia reazione, ho voluto iniziare da qui, dal momento più elevato di questo disco, per poi tornare indietro e incominciare col parlarvi della opening track, "Conjuration of Fire". Si tratta di una song che combina il doom con un riffing venato di sonorità stoner, con la voce di Michelle che da soave sacerdotessa assume i contorni di strega malvagia, ricordandomi per certi versi Cadaveria negli Opera IX. "Ain Soph" ha un inizio assai vicino ad una tempesta post black prima che i tempi rallentino e un assolo di sax rubi la scena alla front-woman. Un sax che ci conduce in esclusivi jazz club e che dà un ulteriore tocco di classe ad un brano, che nel suo convulso finale, sfodera un altro furente attacco di musica estrema. Si giunge cosi alla quarta e più lineare "Demon 13", ove la streghetta Michelle ci delizia mostrandoci la sua duplice anima, attraverso vocalizzi che si dilettano tra modulazioni pulite e delicate ad altre più terrifiche e arcigne. È con la successiva "The Sleepless God" che la band torna a dipingere paesaggi apocalittici con quella che forse è la traccia più decadente dell'intero lavoro in cui mi preme sottolineare la performance terremotante dietro alle pelli di Jelle Stevens. Si è giunti nel frattempo all'epilogo di quest'ottimo debut album, con la conclusiva " I At the End of Everything", in cui è ancora l'ammaliante (e demoniaca) performance vocale di Michelle a tenere banco in un litanico mantra lisergico che ci condurrà fino alla fine di quest'ipnotico disco, a cui vi conviene dare molto più di un semplice ascolto. (Francesco Scarci)

(Svart Records - 2017)
Voto: 80

https://bathshebakills.bandcamp.com/