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venerdì 31 luglio 2015

OHHMS - Cold

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Cathedral
A distanza di un anno dalla prima release, tornano gli inglesi OHHMS con un secondo lavoro, 'Cold', la cui durata è la medesima del primo disco, 32 minuti, e contenente anche in questo caso, due soli brani. Difficile considerarlo un EP, altrettanto definirlo un vero e proprio full length. Fatto sta che il quintetto del Kent ci delizia con il loro raffinato sound a cavallo tra il psych rock, lo stoner e il post-metal, tutte sonorità che mi fanno godere inevitabilmente come un riccio. Si parte con l'atmosfera soffusa di "The Anchor", 18 minuti di suoni che si muovono tra un post rock collocato a inizio brano, per proseguire con un monolitico doom, riprendendo là dove si era interrotto il precedente 'Bloom'. La voce di Paul Waller si conferma preziosa nella sua veste pulita e sofferente, adattandosi alla grande a un sound melmoso che mostra i primi sussulti verso il settimo minuto, quando i cinque musicisti decidono di ingranare la marcia e aggiungere un po' di arroganza alla loro proposta. La voce di Paul si fa più ruvida, le chitarre si ingrossano e un bel solo squarcia con il suo dinamismo, l'apparente staticità del combo albionico. Nelle corde dei nostri però si fa sentire sempre forte l'influsso doom della loro terra, Cathedral in testa, quelli più abili nel miscelare doom, prog e stoner. Il prosieguo del brano continua sugli stessi binari del genere, nonostante un break simil ambient e un altro assolo che sembra estratto da un qualche disco blues rock degli anni '70, che ci accompagna fino alla fine del pezzo. È il turno di "Dawn of the Swarm", song che ci conduce virtualmente in un immenso prato, ci vede correre sereni e rilassati, un po' come in quei film in cui le belle famigliole giocano rincorrendosi nel verde infinito della natura. L'atmosfera bucolica viene però scossa dal riffing incazzato dei nostri, in pieno stile Cult of Luna, ma anche questa linea melodica non dura poi molto. Tempo infatti un paio di minuti e la traccia assume connotati completamente differenti, rifacendosi ad un sound più sporco che per altri 120 secondi, ha modo di dar sfogo alle proprie pulsioni punk rock. Niente paura perchè si cambia ancora registro, e gli OHHMS trovano il modo di dar voce alla propria interiorità psichedelica, per poi abbandonarsi nuovamente a schitarrate post metal. I conclusivi due minuti sono affidati a innocui e litanici vocalizzi e a un ultimo riffone stoner, quasi a voler ricordare quanto gli OHHMS siano fondamentalmente una cazzutissima band rock! (Francesco Scarci)

(Holy Roar Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/OHHMStheband

giovedì 30 luglio 2015

Daemonium – Имя Мне Легион

#PER CHI AMA: Black Metal, Belphegor, Marduk
La giovane formazione ucraina dei Daemonium (nata nel 2011) arriva al debutto discografico e non sbaglia il bersaglio, sfornando un album convincente (uscito nel 2014), 'Имя Мне Легион' (sta per "My Name is Legion"), dai tratti ben delineati e carichi di energia. Certamente la vecchia guardia del black metal scandinavo, quello anni novanta per intenderci, trova un degno seguace nel progetto Daemonium che prepotentemente mette la dotata, gutturale e violenta voce del batterista Tenebrath, davanti ad una schiera di riff tritatutto che fanno tabula rasa su tutto, dopo il suo ascolto. L'uso della lingua madre non mi lascia grosse possibilità nella comprensione dei testi, ma la malvagità con cui vengono esposti nel quarto brano dal titolo "Тёмный гений" e nel quinto "Пристанище зла" è davvero magistrale. Il tono epico e l'intensità, unite ad una velocità folgorante del drumming, esaltano un songwriting da mainstream del genere. Un'atmosfera lacerata in costante equilibrio con la melodia, dona poi all'intero lavoro una sensazione di credibilità esaltante che, in concomitanza ad una produzione moderna, potente e di ottima fattura, eleva l'album dalla massa delle realizzazioni anonime. La band formata da Tenebrath/vocals, batteria – Storm/chitarre, samples – Inferatu/basso, ne esce rivitalizzata e pronta per accedere all'olimpo degli dei neri, grazie a un tocco di personalità inaspettato, considerando la forte influenza del black metal old school. Mi piace accostarli, anche solo per attitudine sonora, ai Belphegor, per il suono corposo e moderno, una visione classica del black rinvigorita da soluzioni stilistiche moderne, dove tutti gli strumenti si ascoltano a dovere e l'insieme di voce e suoni lavorano per creare cavalcate epiche, drammatiche e potenti, senza mai perdere l'orientamento musicale, senza cadute né lacune. Un monolite di malignità carico d'atmosfera, senza forme barocche inutili e pretenziosi virtualismi sterili, solo uno splendido impatto, marziale, gelido e curatissimo. Sette brani più due bonus: una versione ambient di "Пристанище зла" e "Изувеченный", song dal fascino perverso e crudele, adatte ad una colonna sonora di un film di Herzog. Trentotto minuti lodevoli racchiusi in un digipack dall'artwork notevole nelle foto e nei testi (rigorosamente in lingua madre) licenziato via BloodRed Distribution. Ottimo album, decisamente un debutto esaltante! (Bob Stoner)

(BloodRed Distribution - 2014)
Voto: 80

Arise - The Beautiful New World

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death/Thrash, At the Gates, Carnal Forge
Arise...probabilmente il miglior album (sicuramente il mio preferito) dei Sepultura, ma anche una delle band svedesi più longeve (1992), che nel 2005 tornò sul mercato con il terzo lavoro, 'The Beautiful New World', dopo le prove opache dei primi due album. A distanza di due anni dal precedente 'Kings of the Cloned Generation', ecco uscire per la Spinefarm Records questo disco, che vede proseguire il gruppo scandinavo sulle stesse coordinate stilistiche (e con gli stessi risultati non esaltanti) tracciate dai precedenti album: swedish death metal, fortemente ispirato dalla corrente death-thrash che tanto ha spopolato nei primi anni 2000 e fortemente influenzato dai maestri di sempre, gli At the Gates su tutti, ma anche i primi Entombed e Dismember, senza peraltro non notare alcuni passaggi di “carcassiana” memoria. L’album, registrato agli StudioMega di Bollebygd (Svezia) e prodotto dagli stessi Arise e da tal Mr. Silver, consta di 11 pezzi, le cui caratteristiche principali sono: suonare veloci, aggressivi e con un minimo di substrato melodico a rendere il tutto più ascoltabile. I 45 minuti di questo “Splendido Nuovo Mondo”, fluiscono anche gradevolmente, tra tempi medi a la Hypocrisy e altri brani molto più tirati (simil Carnal Forge o The Haunted), mostrandoci una certa preparazione dei chitarristi, grazie ad assoli di pregevole fattura tecnico-stilistica. Tuttavia, arrivati in fondo, si prova un senso di vuoto, non ricordandosi assolutamente nulla di ciò che si è appena ascoltato, indice di quanto possa essere anonimo il presente lavoro. Il fatto poi, di avere un sound estremamente derivativo, ravvisa, ancora una volta, la totale mancanza di personalità e originalità dell’act scandinavo. Un’altra prova incolore, che non ne giustifica affatto l’acquisto. Se poi siete degli amanti del genere e ritenete utile rimpinguare la vostra discoteca con l’ennesimo album death/thrash, fate vobis. (Francesco Scarci)

(Spinefarm Records - 2005)
Voto: 50

mercoledì 29 luglio 2015

Black Claw - S/t

#PER CHI AMA: Neofolk, Current 93, Scorpion Wind, Tom Waits
Il Reverendo Black Claw è un personaggio d'altri tempi che ha saputo rinvigorire il neofolk con malata ironia e profonda malinconia, punteggiandolo di spunti presi dalle più svariate forme musicali acustiche. Quindi non mi sottraggo al mio compito di innalzare quest'album, uscito nel 2013, a piccolo gioiello e luminare capolavoro underground, dove tutto è meraviglia e strabiliante incrocio sonoro. Cinque brani, per circa diciotto minuti di musica, destinati a farvi innamorare ancor più delle immense foreste canadesi, indubbia e acclamata fonte d'ispirazione del mitico Reverendo! L'artwork di copertina è cupissimo e ritrae un teschio stilizzato su sfondo nero e gotico, quasi a richiamare vagamente uno spettro intriso di rock alla Zakk Wylde ma, all'interno tutto troverete tranne che tracce di vecchio e irsuto heavy rock. Acustico con la vena psichedelica/notturna che ha ispirato Hugo Race per anni, un neofolk come i Current 93 più movimentati (con evoluzioni timbriche marziali, minimali e dark che ricordano Death in June e Scorpion Wind), il barocco come lo erano gli And Also the Trees, un jazz folk come il Tom Waits superbo del teatrale 'Alice' e il Nick Cave oscuro di 'The Good Son'. Istrionico, come se i Korpiklaanii suonassero combat folk armati di banjo, in compagnia dei Gogol Bordello, con la visione mistica di Stille Volk e l'umore schivo, profondo, nero, viscerale che agita il capolavoro black metal acustico di Ajattara, 'Noitumaa'. Non vi sono parole per esprimere tale delizia se non costringervi ad ascoltarlo prima che arrivi agosto 2015 (io sto contando i giorni!) quando il reverendo offrirà alle mostruose creature della foresta ben due nuovi lavori, un full length intitolato 'Thieving Bones' e uno split cd in compagnia dell'artista australiano (anche lui da seguire assolutamente!) T.K. Bollinger & That Sinking Feeling . Lode al reverendo canadese. Semplicemente geniale! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 90

Diablerets - I

#PER CHI AMA: Black/Ambient/Drone
Dopo aver avuto ascoltato i Diablerets con il loro nuovo 7", facciamo un passo indietro, all'estate 2014, e andiamo a decifrare il debut album del duo svizzero, 'I', che esce in edizione limitatissima, sole 73 copie, in una sgargiante cassetta arancione. Voi siete davvero sicuri di voler essere risucchiati negli abissi più profondi della psiche umana? Faccio questa domanda perché non appena "Lurk in the Stones" è partita nel mio mangianastri, una serie di demoniache presenze hanno provato a braccarmi. Non so in quale diavolo di girone dantesco sia finito questa volta, credo solo che se esistesse qualcosa di collocato più sotto rispetto all'Inferno descritto da Dante, i Diablerets si sentirebbero sicuramente a proprio agio. Le sonorità contenute in questo mefitico lavoro sono subdole, malvagie, dannatamente oscure e prive del benché minimo spiraglio di luce e speranza. Mai e quando dico MAI, lo sottolineo per una volta a lettere maiuscole, ho ascoltato nella mia vita qualcosa di cosi mostruosamente malato. Minimalisti al massimo, i due musicisti di Aigle ci propinano solfurei suoni ambient/drone, che diffondono il loro malsano odore e quel forte senso di disagio, che si insinua anche con la successiva "Hauswirth". I suoni, ridotti al minimo sindacale, fanno posto alle solo inquietanti urla che forse di umano hanno ben poco, e perforano l'aura insostenibile generata da questo secondo pezzo. L'esagerata sensazione di angoscia preme non poco sul petto e modifica anche la cupa espressione che risiede sul mio viso. "Holy Man" ha un inizio che sembra quasi voler accennare a un pezzo normale; che ingenuo sono. La matrice sonora dei Diablerets sprofonda infatti in un mortifero suono drone/funeral che non lascia alcuna via di scampo. Dopo i primi tre pezzi abbiamo quasi raggiunto la mezz'ora e mi sento avvolto dalla forza oscura esalata da questi scellerati artisti. Con la title track, rifiatiamo grazie ad una durata normale di un pezzo che, a livello di contenuti, ha ben poco di normale da offrire. Con "Casting Rubies Before Wolves" giungiamo al termine di questa sfiancante release, con gli ultimi sette minuti all'insegna di suoni astrusi, screaming vocals diaboliche e altre perverse amenità. 'I' è una tape per soli amanti del drone, ma se queste mie parole vi hanno in un qualche modo incuriosito, potreste anche provare a capire, ma solo per pochi istanti, cosa l'Inferno ha in serbo per voi... (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 60

Inner+Black/Diablerets - Split 7"

#PER CHI AMA: Drone/Black/Noise
Era da una vita che non mi capitava in mano un 45 giri, forse da quando ero bambino e facevo la collezione di vinili dei cartoni animati. Ricordo "Goldrake", "Gig Robot d'Acciaio" o "Daitarn 3"; ora la mia raccolta si arricchisce di questo split album che contiene una traccia degli svizzeri Diablerets e una degli enigmatici norvegesi Inner+Black, da non confondere con gli omonimi rockers polacchi. Partiamo proprio dal lato oscuro di quest'ultimi, fautori di un ambient black angosciante e pauroso. "Merkelig Kinesisk Skrikende På Maling" è la song che ci propongono, un concentrato di suoni glaciali, grida arcigne che raggelano il sangue nelle vene e drone, che in poco più di quattro minuti sapranno mettervi un bel macigno sullo stomaco e indurvi a sogni disturbati. Cambio lato, nella speranza che i Diablerets mi restituiscano un po' di quella serenità perduta. L'inizio di "Soul Adrift" non promette certo bene (e altrettanto il resto del brano) a causa delle laceranti urla poste su una lontanissima litania minimalista che si rivelerà ancor più sinistra e malata degli Inner+Black. Due canzoni sono un po' poche per poter giudicare i 2 ensemble, quel che è certo è che la musica, anzi la proposta sonora, è limitata a pochissimi adepti. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 55

Swallow the Sun - The Morning Never Came

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom, Saturnus, My Dying Bride
Il 2003 segna l'anno d'esordio per gli Swallow the Sun, sestetto finlandese all'attivo già con un demo dal titolo 'Out of This Gloomy Night' e ora al debutto ufficiale con 'The Morning Never Came', all'insegna di un doom-death estremamente pesante. L'incedere lento dell'opener "Through Her Silver Body" dà subito una traccia della direzione musicale intrapresa dal gruppo, la cui devozione verso certe atmosfere angosciose e opprimenti in stile My Dying Bride, viene espressa in maniera più che esaustiva lungo tutti gli otto brani che compongono il cd. L'estenuante traccia d'apertura riesce a metterci seriamente a dura prova, ma è già con la successiva "Deadly Nightshade" che il guitar-work si assesterà su dinamiche più varie, il ritmo si fa incalzante e l'esplosione di synth "orchestrali" nel finale, accendono un interesse, ad un primo ascolto, insperato. Notevole anche l'evolversi in crescendo di "Out of This Gloomy Light" che vede ancora partecipi le chitarre con un assolo di pregevolissima fattura. 'The Morning Never Came' è un viaggio afflitto dal peso insostenibile della propria debolezza, un peregrinare sofferente su sentieri ostili lungo i quali gli Swallow the Sun intendono guidarci, condividendo il nostro fardello, ma non c'è solo buio nella musica di questi finlandesi; addentrandovi tra le note di "Swallow" e "Silence of the Womb" troverete anche aperture più ariose, dove un cantato pulito e melodioso va ad alternare il classico growling. Gli elementi sono quelli tipici del doom-death: un muro di chitarre dal riff granitico, tastiere maestose e una voce cavernosa sempre in primo piano, nulla di realmente originale o sconvolgente! Ad ogni modo quello che poteva essere un disco come tanti, dove la noia rischia di sopraggiungere rapida e implacabile dopo pochi minuti d'ascolto, si è rivelato invece un debutto più che dignitoso, che segnerà l'ascesa di un'ottima band. 'The Morning Never Came' magari troverà difficilmente un pubblico al di fuori del suo genere ma per chi ha apprezzato le gesta di Unholy, Saturnus e primi Katatonia potrà indubbiamente costituire un ascolto interessante. (Roberto Alba)

(Firebox Music - 2003)
Voto: 75

The Red Chord - Clients

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Napalm Death
La Metal Blade da sempre sforna dischi a ripetizione, sarà poi compito nostro e vostro valutarne la reale qualità. Nel 2005 ecco uscire per la label statunitense il secondo album dei death metallers The Red Chord: 37 minuti di puro brutal death tritabudelle. Formatisi nel 2000 e originari del Massachussets, la band ha già una bella gavetta alle spalle con circa 400 shows all’attivo per la promozione del debut album 'Fused Together In Revolving Doors'. Con il nuovo lavoro, il quintetto a stelle e strisce ci spara 11 massacranti pezzi di death metal, che sfociano talvolta anche nel grind e nell'hardcore, ma che presentano anche altre sorprese (cantato rapcore, breaks acustici e assoli melodici). C’è da dire che da un punto di vista tecnico i ragazzi sono assai preparati: buona e veloce la batteria, ahimè poco incisive le chitarre. Per quanto riguarda i contenuti beh, o amate questo tipo di musica oppure è meglio lasciare perdere in partenza. Le fonti d’ispirazione per i nostri sono come sempre gli inventori del genere, i Napalm Death, ma anche Morbid Angel e Deicide. La produzione è buona, sebbene i suoni siano grezzi e aggressivi. Le vocals sono quasi sempre gutturali, occasionalmente compaiono urla terrificanti come backing vocals e voci al limite del rap. Non sto qui a segnalarvi un brano piuttosto che un altro, anche perché i pezzi si assomigliano un po’ tutti. Non saprei che altro dirvi, dischi di questo genere, cosi monolitici e un po’ piattini, hanno ben pochi spunti da analizzare. Se siete degli amanti del genere di queste sonorità, andate a ripescare questo terremotante 'Clients', altrimenti meglio lasciar perdere. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 65

Without God - Circus of Freaks

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
I Without God sono una band doom metal di provenienza russa, prodotta dalla Solitude Productions, tra le più consolidate etichette che trattano il genere in questione. Il quartetto è formato dal vocalist/chitarrista Anton, Weector al basso, Ivan alla batteria e un'altra chitarra affidata alle dolci mani di Olga. Da Bandcamp si evince che la band è al primo full lenght, se si considera un EP prodotto nel 2010 e un singolo nel 2013. Le informazioni sulla band non sono tantissime e quindi ci concentriamo sulla musica prodotta dalla band. "Circus of Freaks" è contenuto in un semplice jewel case dalla grafica curata, ovvero una composizione disegnata ad hoc dove si trovano orrendi mostri vestiti da generali, capi religiosi e leader politici di varie fazioni in una sorta di grottesco sit-in con attrazioni da luna park sullo sfondo. Le tracce contenute al suo interno sono otto e l'album apre con l'omonima traccia, all'insegna di un roboante e ruvido miscuglio di stoner e il metal. Chitarre che scolpiscono riff giganteschi sulla dura roccia, basso che sprofonda negli abissi delle frequenze umanamente percettibili e la batteria che scandisce il tutto a ritmo di una pulsazione blasfema dall'oltretomba. Il vocalist ha il classico timbro rauco e cattivo, con pochi fronzoli a conferma che i Without God sono legati alle tradizioni più estreme del genere. Il rallentamento a metà brano trascina l'ascoltatore giù nelle viscere della terra per una celebrazione blasfema a tempo di un battito primordiale delle profondità. Gli assoli e i feedback sono il contorno ideale per chiudere un arrangiamento classico senza tante pretese. "Mushroom Man" apre con un riff stoner di chitarre che diventa una cavalcata a suon di wha-wha e gli accordi in minore aiutano a creare un'atmosfera tesa e claustrofobica. I Without God creano un bell'ensemble compatto e funzionale, con cambi ritmici e armonici che rendono i brani abbastanza dinamici, ma l'impressione è che alla fine i pezzi si assomiglino un po' tutti. I puristi apprezzeranno, ma la chiusura e la staticità del genere bussano alla porta. "Seven Sins" cambia registro e si propone come brano più ampio, disteso nella composizione e che prende inspirazione dalla possente discografia degli Electric Wizard. Le chitarre erigono un muro sonoro abbellito da varie linee melodiche, con qualche intervento blues psichedelico nel break ove, per la prima volta, si ha il grande onore di udire anche il basso. Il quartetto russo è una buona band che sa suonare e comporre, dimostra di aver studiato per bene tutto quello che la storia ha da offrire. 'Circus of Freaks' alla fine è un disco adatto ai puristi del doom, pertanto se state cercate qualcosa di nuovo, passate oltre. (Michele Montanari)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 70

martedì 28 luglio 2015

The Mondrian Oak - People Have Secrets

#PER CHI AMA: Heavy Garage/Post Hardcore/Stoner
Arriviamo un po’ in ritardo sull’ultimo album dei The Mondrian Oak, ma non potevamo non parlarne. Tempo di grandi novità per il trio anconetano, già titolare di un paio di interessanti lavori di post-metal strumentale. Per prima cosa, non sono più un trio, ma un quartetto, dato che ha fatto il suo ingresso in formazione anche (e qui sta la seconda, grossa novità), un cantante. Quello che è avvenuto poi, novità numero 3, è un radicale quanto inaspettato cambio di direzione musicale. Per questo 'People Have Secrets', infatti, i The Mondiran Oak lasciano da parte il loro suggestivo post strumentale per abbracciare un rock dritto e potente, conciso e tirato, che tira immediatamente in ballo nomi quali i Queens of the Sone Age di 'Rated R'. Il lavoro è confezionato in modo impeccabile, dalla registrazione al mastering, fino all’elegante artwork cartonato. Nulla da ridire quindi sul piano formale, e inoltre la periza dei musicisti non è in discussione. Francesco Giammarchi macina riff potenti e mai banali, la sezione ritmica viaggia compatta e arcigna, e Michele Magnanelli alla voce si dimostra per nulla timido, dando il meglio di sé quando può dar sfogo alle sue evidenti inclinazioni HC (in alcuni punti ricorda Dennis Lyxzén dei Refused). Apprezzabile anche la scelta di confezionare brani brevi e concisi (la durata totale non arriva alla mezz’ora), che sappiano andare subito al punto, senza perdersi in inutili lungaggini. Il punto è che, quando si sceglie di puntare forte sulla forma canzone, poi le canzoni bisogna anche saperle scrivere. E questo è il terreno sul quale i quattro devono ancora lavorare un po’. I nove brani infatti, finiscono inevitabilmente per sembrare già sentiti, e nessuno di questi pare, in fondo, essere davvero memorabile. La voce non ha molti registri a disposizione e piacciono di piú i pezzi in cui può lasciarsi andare e fare quello che sa fare meglio, come nel tiratissimo stoner garage “5” oppure nell’opener “R.O.A.K.”, che lascia intravedere soluzioni melodiche interessanti. Meno convincenti paiono invece i brani in cui il ritmo rallenta e ad emergere dovrebbe essere la qualità di scrittura, cosa per il momento lascia ancora un po’ a desiderare. 'People Have Secrets' è comunque un disco interessante, che dal punto di vista della fattura risulta decisamente al livello dei nomi blasonati a cui i nostri sembrano ispirarsi, ma un lavoro inevitabilmente di transizione verso uno stile e una formula che i quattro non mancheranno di mettere maggiormente a fuoco. Da seguire con attenzione. (Mauro Catena)

(Seahorse Recordings - 2015)
Voto: 70

Dreadnought - Bridging Realms

#FOR FANS OF: Folk/Progressive
Dreadnought (from Denver, Colorado) is one of those bands that defies easy description — but that's a good thing. 'Bridging Realms' is the band’s second release and their first full-length album. Although there are only five songs on this album, each one is epic in scope. The title of the third song, “Minuet De Lune” (Dance of the Moon or Month) somehow brought what meager snippets of junior high school French I’ve retained rushing back to the fore, as it would properly be titled “Minuet De Lune”. It tweaked my last nerve only because this band is so prodigiously literate musically that I found that misnomer distracting. Normally, I tend to dissect each release I review song by song, with an in-depth analysis of a select few. In this instance I will only provide an overview — as this is music so diverse that words truly cannot do it justice. Cliché as though it may sound, it remains nonetheless true that this is a work which must be personally experienced by each listener to be fully and truly appreciated. The music varies in some parts between an almost dissonant acid jazz interplay between guitar, drums, bass, keys and flute to heavy guitar. The comparison here to Jethro Tull is inevitable when the flute enters into counterplay with the rhythm section during jazzy interludes, while the heavier parts seem an homage to the best Mastodon sludge. Vocally, this is an extremely diverse work. This release ranges stylistically from 'Grace Slick' in early Jefferson Airplane to classic Yes-like melodies, to harmonies which could have come straight from a medieval Gregorian chorale — all the way to almost incidental death metal vocals. This is a musical work meant to be experienced holistically—in its entirety. If you’re a fan of progressive rock, metal or psychedelic rock you'll find something enjoyable and exciting to immerse yourself in on this release. Fans of any type of rock or metal need to give at least one uninterrupted and undistracted listen to this work. For the truly diehard fan of music, get yourself a copy of this on vinyl. Doing so will allow you to fully appreciate all the genre-transcendent nuances Dreadnought has seamlessly woven into 'Bridging Realms'. (Bob Szekely)

(Self - 2015)
Score: 90

Interview with Dekadent

Follow this link for an interesting chat with the Slovenian Blacksters, Dekadent: 

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/dekadent


sabato 25 luglio 2015

Anathème - Fujon

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
In una sera qualunque d’un luglio greco, i francesi Anathème spezzano l’aria intrisa di scirocco e profumi caldi d’estate. Il post rock del gruppo di Nancy è particolare. La sottotraccia delle sonorità, lascia nel dubbio perpetuo che la loro composizione sia appartata, aliena e ricercata, senza perdere in spontaneità quanto mai carismatica. Camminate con me, armati d’aspettativa, lungo questo tunnel sotterraneo che è “Ruine”. Il brano è morbido. Accattivante. Carezzevole. Il sottofondo ricorda una vecchia puntina che corre in cerchio su un 33 giri sfatto. La melodia è dolce ed ipnotica. Un intro che con me ci ha saputo fare. Non chiudete gli occhi. Non ancora. Potreste essere bruscamente destati da questa “AgCat/VO”. L’esordio del brano soffia tutto d’un fiato nelle casse. Rock puro. Il proseguo richiama l’intro, ma i volumi dei pensieri sono distorsioni, che anziché cullare, creano disegni lisergici sospesi tra gli occhi e la mente. L’epilogo straccia la vitalità strumentale per ricreare lento lo stacco con il prossimo pezzo. “Baisers de Glasgow”. Ancora sinusoidi psichedelici. Lo stile non cambia. Chitarra, batteria convogliano in questo brano come egocentrismi sonori, che una volta al centro dell’attenzione, s’inchinano al passaggio della dama bianca, che è questa voce così femminile e suadente che ci accompagna quasi fino alla fine. Poi, in chiusura, tornano batterie e chitarre come paladini ruggenti ed imperiosi. “Ohka”. Eccomi al quarto brano. Lo stile degli Anathème si riconferma. E che abbiate voglia di volume caldo o tiepido, questa song vi farà da compagno di viaggio in un turbine sensoriale dai risvolti inaspettati. Abbiate ora un istante fluido come acque di fonte che scorrono a cascata sulla pelle madida di quest'estate. Chiudete occhi cuore ed anima. Lasciate spazio solo all’eleganza invadente di questa “U Govna!”. Non ve ne pentirete. Tinnuoli. Fragranze di peschi in fiore. Sorde involuzioni. Spazi tra il battere ed il levare di questo ritmo che avvolge. Gli Anathème con 'Fujon', si prenderanno cura delle vostre velleità musicali. Avranno spazi e tempi per ognuna delle vostre speranze disattese. Un album che dal primo all’ultimo pezzo vi travolgerà con stile e personalità. Buon viaggio ovunque gli Anathème vi portino. (Silvia Comencini)

(Self - 2014)
Voto: 80