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sabato 17 giugno 2017

Viscera/// - 3 | Release Yourself Through Desperate Rituals

#PER CHI AMA: Black/Post Metal
Decisamente un album controverso e dalla duplice anima, la nuova release targata Viscera///. '3 | Release Yourself Through Desperate Rituals' è un disco che può essere idealmente suddiviso in due tronconi: una prima parte comprendente i primi tre pezzi, urticanti e rabbiosi, che mantengono un certo punto di contatto con il passato estremo della band ed una seconda metà relativamente più accessibile. "Uber–Massive Melancholia", la opening track, è un assalto di musica anarco punk, come solo gli Impaled Nazarene agli esordi hanno saputo fare, muovendosi poi in territori sludge/doom, da cui ripartire con accelerazioni isteriche affidate ad un riffing di matrice post black ed una cavalcata che viene interrotta da una deriva lisergica che ha il grande merito di spiazzare chiunque si avvicini all'ascolto di questo nuovo delirante lavoro. Tra grida e caustiche vocals sempre e comunque intelligibili, si arriva dopo oltre undici minuti, a "Martyrdom For The Finest People", con il riffing iniziale che sembra prepari al peggio: e difatti si parte subito con un'altra cavalcata punk black, nei cui accordi di chitarra si nasconde una melodia che si insinuerà ben presto nella mia testa. Nel frattempo i nostri si divertono giochicchiando con ritmiche dai battiti accelerati, che finiscono per rallentare e cedere il passo a passaggi post rock laddove il vocalist modula la propria voce su toni più pacati ed intimistici. Una brevissima parentesi perché l'incedere punkettone tornerà a materializzarsi in pochi secondi, sebbene la seconda parte della song rallenti paurosamente fino ad impantanarsi nelle sabbie mobili del post metal di scuola Neurosis. Poi, un altro break di un minutino che ci consente giusto il tempo di riprendere fiato prima dello strappo conclusivo, in cui qualcosa sembra stia per cambiare e donare una nuova forma musicale. "Tytan (Or The Day We Called It Quits)" forse funge da ponte di collegamento tra la prima e la seconda metà del disco (forse anche per un cantato pulito simil Novembre), essendo assai più breve delle due precedenti e preparatoria per “In The Cut”, dodici minuti di un sound pur sempre abrasivo ma apparentemente più orientato verso lidi rock, per cui mi sembra quasi di aver a che fare con un'altra band, complici vocals ora pulite, ritmiche che potrebbero tranquillamente stare su un disco dei Katatonia, giri di chitarra più morbidi e quella vena punk che contraddistingueva il cd fin qui, praticamente scomparsa, lasciando posto ad un mood malinconico più orecchiabile. L'ultimo scoglio da superare è rappresentato dagli ultimi venti minuti di "Anxiety Prevails", una traccia che vede la partecipazione in veste di guest vocals di Kevin K. (parecchi sono gli ospiti nel lavoro) e che esordisce su linee di chitarre quasi deathcore, decisamente dirette nel volto, in una song a tratti furente (bella a tal proposito la cavalcata post black dopo cinque minuti) capace di mettere a segno anche un bell'assolo. Dopo un vorticoso approccio iniziale, la tempesta sonora sembra placarsi e lasciare posto solo al suono dei tuoni in lontananza e ad un lungo parlato, presente peraltro solo nella versione cd (un po' troppo lungo a dire il vero) che prepara agli ultimi sei minuti del disco, affidati alla cover "True Faith" dei New Order, un pezzo del 1987, all'insegna di una forma sonora moderna e pop che potrebbe stonare per chi fino a pochi minuti prima stava ascoltando un ibrido tra Napalm Death, Impaled Nazarene e Neurosis. Sicuramente una provocazione della compagine italica, contraddistinta anche in sede di artwork scelto per la cover dell'album, con lo sguardo psicotico di Jim Jones, colui che si è reso responsabile del suicidio di massa di Jonestown nel 1978. Lavoro di grande fattura per una delle band italiane dal respiro europeo, anzi mondiale. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records/Wooaaargh/Unquiet Records - 2017)
Voto: 75

https://viscera3stripes.bandcamp.com/album/3-release-yourself-through-desperate-rituals

domenica 7 febbraio 2016

Abaton - We are Certainly not Made of Flesh

#PER CHI AMA: Sludge/Postcore, Fyrnask, Neurosis, Altar of Plagues
Sono certamente toni tetri e minacciosi quelli che si celano nel secondo capitolo della discografia dei forlivesi Abaton, 'We are Certainly not Made of Flesh'. Dopo quattro anni (fatto salvo uno split con i Viscera///), il quintetto romagnolo rompe il silenzio con un lavoro sporco, intriso di rabbia e avvolto da una coltre di caligine che induce il soffocamento. Il nuovo album è una brutta bestia d'affrontare, uno di quei serpenti costrittori che ti avvolge tra le sue spire, stringe e stringe fino a che non sopraggiunge la morte per asfissia. Il suono dei nostri fa altrettando con una rarefazione a livello sonoro che non lascia scampo. Nove pezzi, anche piuttosto brevi visto il genere, devoto al doom sludge più cupo, ma in cui ovviamente non si disdegnano fughe in territori più estremi. "[I]" apre le danze con il suo fangoso mood, fatto di una sezione ritmica in cui si riconoscono chiaramente le sue chitarre morbose e un basso ipnotico che guidano la proposta dei nostri in una direzione che richiama, in certe disarmoniche linee di chitarra, anche Deathspell Omega. Sebbene la traccia duri poco meno di quattro minuti, la sensazione è quella di essere sprofondati per una eternità negli abissi desolanti dell'inferno. "Ananta" è miele per le mie orecchie, per cui quella sensazione di annaspare nell'acqua svanisce quasi del tutto: la song ha un cupissimo flavour sinistro che mette i brividi, è lenta, atmosferica, delicata, ma si capisce che presto accadrà qualcosa, deve, per forza. La voce di Silvio viene fuori, graffiante come sempre, vetriolo urticante che si amalgama alla perfezione con il sostrato musicale che soggiace nelle tenebre. Malsani e suggestivi, non c'è altro da dire e lasciarsi trasportare dal flusso che conduce a "[II]", un altro brevissimo pezzo (meno di tre minuti), in cui un drumming marziale e chitarre roboanti, coesistono alla grande in un frammento di follia omicida. Un breve intermezzo e poi l'acredine di matrice post black (Deafheaven, Fyrnask e Altar of Plagues, giusto per citarne alcuni) incendia l'aria con una serratissima ritmica che farà ben presto posto ad anfratti insalubri di suoni ondivaghi lenti e austeri, il cui unico fine è partorire ansie primordiali. E gli Abaton ci riescono alla grande. Ancora mistero con lo pseudo noise di "Flesh", a cui seguono gli interminabili minuti di "[IV]" ove compare alla voce in qualità di guest (presente anche in "Nadi"), Sean Worrel dei Nero di Marte. La preparazione è formidabile, la band ci cucina a puntino con una serie di suoni destrutturati, pregni di angoscia e alienazione sonica. È drone, doom, sludge, funeral, noise, post-core, ambient, black, psichedelia, crust, hardcore? Non mi è dato saperlo e francamente me ne frego in questo caso di etichette, lasciandomi intrappolare nel delirio perpetrato da questi stralunati ragazzi che a scuola hanno studiato Neurosis, Cult of Luna e Locrian. Delle inquietanti atmosfere si addensano anche nelle conclusive "Eco" e "[V]", altri due episodi di somma catarsi che segnano l'eleganza e la grandezza degli Abaton. Tanta roba, complimenti! (Francesco Scarci)

(Drown Within Records/Unquiet Rec/Martire - 2015)
Voto: 85

https://abaton.bandcamp.com/album/we-are-certainly-not-made-of-flesh

domenica 12 ottobre 2014

Sedna - S/t

#PER CHI AMA: Post Black Sperimentale, Altars of Plagues
Eccoci finalmente alla resa dei conti. I Sedna li seguo da vicino da qualche anno: era infatti la notte di Halloween del 2011 quando li conobbi e ascoltai per la prima volta, in un piccolo locale nel bresciano. Da li a poco recensii il loro EP, li intervistai in radio e da quasi tre anni attendo con ansia il tanto agognato debutto su lunga distanza. Eccomi accontentato. I tre ragazzi di Cesena rilasciano, dopo qualche assestamento di line-up, un 4-tracks costituito da più di 50 minuti di musica cupa e malefica che incarna l'anima dannatamente maledetta del trio romagnolo. Sarà verosimilmente una certa affinità musicale con i defunti Altars of Plagues, o la vena marcatamente diabolica che ristagna nel sound dei nostri, ma il self/titled dei Sedna è un qualcosa che s'imprime nella testa e marchia a fuoco come l'indelebile segno del diavolo. Ma mettiamo un po' d'ordine a tutte queste frasi che introducono 'Sedna'. Dicevamo delle quattro song che costituiscono il cd, che tra l'altro vanta un artwork in bianco e nero squisitamente angosciante. “Sons of the Ocean” apre il disco con i suoi quasi 20 minuti di sonorità tetre e caliginose: sembra infatti il suono di una nave, nelle nebbie di un porto di mare, quelle che si percepiscono nell'incipit della song, prima che le strazianti chitarre di Crisa prendano il sopravvento e ci conducano nella bolgia infernale. Le ritmiche, soffocanti e serrate, corrono veloci, ammantate da un'aura di tormentata malinconia, che sembra trovare pace, almeno per una manciata di secondi, in un break dai vaghi contorni post rock, spezzato dallo screaming efferato del polivalente Crisa. Il ritmo però va lentamente smorzandosi, sprofondando nei meandri assurdi di un cerchio dantesco, probabilmente l'ottavo, dove dimorano maghi e indovini e dove sonorità al limite del drone, fumoso e psichedelico, potrebbero farne da ideale colonna sonora. L'atmosfera è a dir poco spettrale e nel suo irriducibile climax di risalita, la tensione creata è sicuramente di forte inquietudine. L'epilogo acustico ci introduce a “Sons of Isolation”, traccia il cui inizio mi fa pensare a campane che suonano a morte. Potete ben capire lo stato di angoscia persistente che si è instaurata nel mio io, ormai turbato. E dire che non siamo, per lo meno ancora, al cospetto di sonorità depressive-sucidal, ma i giochi di chitarra e basso (a cura della brava Elyza Baphomet), mettono a nudo l'essenza della mia anima, scaraventandomi in un turbinio di ansie e paure, eccitate come elettroni impazziti, dal sound mefitico dei tre, che arriva da li a poco, a toccare il funeral doom, almeno per pochi istanti. Non temete perchè la furia omicida, dettata dal vibrante drumming di Mattia, instaura la sua feroce dittatura, lanciando i nostri in una cavalcata che ondeggia tra il post hardcore teutonico, lo sludge e il black metal cascadiano. Davvero, niente male. Se poi considerate che un incedere marziale (dal flavour leggermente shoegaze) subentra a mischiare le carte in tavola, potrete ben capire la portata di questa esplosiva miscela raggelante. A grandi passi, come quelli inferti dal drummer sul finale del brano, arriviamo alla psicotica traccia “Life_Ritual” in cui compare, in veste di guest, la litanica voce di Stefania Pedretti, meglio conosciuta per le sue performance negli Ovo e nei BTOMIC. L'effetto sul tappetto ambient drone del brano, è come quello di una strega atta a lanciare il suo peggior maleficio. In “Sons of the Ancients”, in aiuto dei nostri arriva Michele Basso (alias Mike B) dei Viscera///. L'incedere è ancora una volta funesto, ossessivo, macabro pur rivelandoci il lato più intimista dei nostri, che ben presto sfocerà in suoni altalenanti e idiosincrasici, sviscerando l'odio dei Sedna attraverso le vetrioliche vocals di Mike e conducendoci nella nona bolgia, quella dei seminatori di discordia. In definitiva, 'Sedna' è ciò che stavo aspettando da tempo dal trio di amici della Romagna, una miscela di corrosivo ed elegante post black sperimentale. Detto questo, vi lascio ai vostri incubi e io torno nel mio loculo per incontrarli, qui all'interno del Pozzo dei Dannati. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records/Unquiet Records - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Sedna.O?sk=wall