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domenica 2 novembre 2014

Twentyfourlives - Peaks​.​.​. Peaks​.​.​. Peaks!

#PER CHI AMA: Post Rock, Mogwai, 65daysofstatic
Ah, il Belgio… Confesso di avere un debole per questa terra, quando si parla di calcio, birra e musica rock (ho delle riserve sul cioccolato, ma questo non importa). Succede infatti che dal Belgio arrivino alcune delle band che piú ho amato negli ultimi vent’anni, dai Deus agli Zita Swoon, dai Soulwax ai Venus, fino ai Girls in Hawai. I Twentyfourlives sono un quartetto piuttosto classico (chitarra, basso, tastiera, batteria), dedito ad un rock per lo piú strumentale, ascrivibile per semplicità a quel non-genere che chiameremo post-rock. Arrivano, dopo due EP, a pubblicare il loro esordio dulla lunga distanza, confezionato in un elegante digipack dalla grafica essenziale che ricorda alla lontana i Joy Division di 'Unknown Pleasures'. Non è questa la sede per una trattazione su quello che puó essere il senso del post-rock, oggi, e anche se non si può fare a meno di pensare che davvero tutto sia già stato fatto prima e meglio da qualcun altro, sarebbe quantomeno ingiusto non dare una chance ai quattro ragazzi belgi. Ingiusto e sbagliato, per di piú, dato che questo album ha le carte in regola per farsi apprezzare e ricordare ben piú a lungo dei 35 minuti che servono per scorrerlo fino alla fine. Ecco, scorrere, questo è il verbo che prima di tutti mi viene in mente per descrivere la musica dei Twentyfourlives. Tutte le otto tracce scorrono che è un piacere, senza inciampi, cadute di stile o inutili prolissità. La lezione di gente come Mogwai o This Will Destroy You è stata assimiliata, ibridata con qualche acrobazia math e ora viene riproposta con gusto e personalità. Piace, nel risultato finale, l’equilibrio tra i sapori e i colori, tra irruenza e soluzioni piú meditate, la grande attenzione riservata all’aspetto melodico senza per questo rinunciare alle ruvidezze del suono o alla complessità strutturale e ritmica. L’iniziale "Peaks" ha il merito di dire tutto quello che altri gruppi stanno cercando ancora di dire, e di farlo in soli quattro minuti. Un’intro notturna, con tanto di glockenspiel, apre "Horses", che fa montare la tensione fino poi a esplodere in un breve momento di spasmi ritmici e virtusosismi chitarristici. Spesso sembra di sentire i 65daysofstatic meno elettronici e piú concisi, come in quello che è forse il capolavoro del disco, "Mammoth", che in poco meno di sei minuti riesce a condensare epica ed emotività in maniera spettacolare. Tra i meriti ascrivibili al quartetto belga, l’invidiabile capacità di saper costruire i pezzi in maniera mirabile, con una semplicità a tratti disarmante, e ció è particolarmente evidente nei due brani cantati, tra i migliori del lotto: "Scarecrow" parte sorniona per poi montare in intensità nei suoi gorghi chitarristici, e "Htommam", che nasce da un’idea melodica elementare, per poi farsi marziale e potente. Niente di nuovo sotto il sole, sia chiaro, ma realizzato benissimo, come un abito sartoriale di cui si apprezzano il taglio, la scelta dei materiali e la cura dei dettagli. Ottimo. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 75

http://www.twentyfourlives.be/