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venerdì 1 maggio 2015

Space Project - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Rock
Benvenuti all’ascolto degli Space Project. Invito lor signori e lor signore a premunirsi d’un guardaroba variegato. Non me ne vogliate, non è una questione di forma. È una necessità sonora per vivere appieno quest’album fatto di ambientazioni che spaziano da un tempo all’altro. “Atlantis” apre le danze. L’esordio è in grande stile. Vestiamoci anni ‘30 e prepariamoci a farci condurre da frange che ondeggiano ritmicamente al batter di batteria, al diteggiare di trombe, allo schioccare di dita, al danzare di ballerine abbellite da perle e luccichii. Le strumentalità sono prorompenti, ma conservano un retrò style che affascina. Rallentate, frenate, fermate la vostra Rolls Royce. Siamo al cambio d’abito. Comodi, ma non casuali. Abbiate cravatte slacciate su camicie sbottonate, così come tacchi su vestiti che fanno intuire, ma non rendono giustizia. Non c’è forma in questa “Breathe”. Non c’è forma, ma c’è stile ancora. Gli Space Projet non deludono. Una voce dipana da una soglia prima invisibile, ora tracciabile, descritta da un fondo accennato di fiati e di piano. Ascoltare talvolta è apoteosi al descrivere. Fiati ancora. Soffusi di suoni ancora. Una chiusura che spazza il dubbio che questo pezzo sia stato dolcezza, imprimendo la propria rabbia nostalgica nella musica. Eppure, abbiamo sognato. Ora avrei bisogno di un ibrido alcolico di sapori, forte. Con “Horizon” non c’è che da staccare un biglietto di sola andata per… Chiedetemi la destinazione del nostro viaggio e vi risponderò che questo pezzo vi farà viaggiare a costo zero. Sonorità fatte di Marocco e di sete veleggianti. Per pochi istanti la schizofrenia di “Horizon” chiama i Deep Purple, poi la tromba e la batteria corrono allo stile ska che fa di sè e della penisola iberica il proprio emblema. Il brano non ha un epilogo. È se stesso. È sporcato da se stesso, invaso, confermando la propria identità sino alla fine. Eleganza prego nel vostro abbigliarvi ora. Siete invitati ad un capodanno atemporale. “Wanderer”. Fatemi assaporare questo riff, prima di dirvi che quest'album, giunto all’epilogo, ha bpm che fanno del proprio battere un climax bipolare ascendente, goliardico, ingannevole. Il pezzo induce postumi seducenti. Dopo il primo minuto le sonorità sono evanescenti, insolute, memori di anni '80-'90 con moti pregevoli che ricordano la sacralità dei Rolling Stones e dei Pink Floid. Lasciatemi bere l’ultimo sorso di questo dialogo tra elettriche, trombe, batterie metalliche. E l’ascolto è per pochi estimatori. Il soffondere per tutti. Per me c’è un altro album ora da mandare on air nelle mie serate. (Silvia Comencini)