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sabato 30 maggio 2020

Quietus - Chaos is Order Yet Undeciphered

#PER CHI AMA: Post-hardcore/Math-rock/Screamo
La Francia è ormai la vera fucina della musica estrema europea, con buona pace degli antichi pregiudizi: oltre alle certezze rappresentate da Blut Aus Nord, Celeste, Gojira, Deathspell Omega e Alcest, la scena d’Oltralpe continua ad offrire al pubblico novità interessanti come le stravaganze sonore di Ni e Igorrr. Anche il comparto hardcore transalpino non manca mai di confermare la sua vitalità, ed è proprio in questo filone che dal 2017 sguazzano i Quietus, gruppo in realtà molto attento a non fornire punti di riferimento ben precisi e votato alla contaminazione di stili. In 'Chaos is Order Yet Undeciphered' possiamo apprezzare il concentrato di screamo, mathcore e sonorità post-un po’ di tutto di questi quattro ragazzi di Charleville-Mézières, un miscuglio che a parole potrebbe far sorgere qualche perplessità, tuttavia il titolo scelto per l’opera ben rappresenta il suo contenuto. “Modern Rome” ci presenta un tripudio di ritmiche nervose, tempi storti e distorsioni ombrose a cavallo tra i primi Celeste e i Botch, il tutto però ben bilanciato da quegli intermezzi malinconici che è possibile riscontrare in band come i Touché Amoré. Ciò che propongono i Quietus è infatti un caos organizzato, dove ogni destrutturazione e ogni brusco cambio di tempo o dinamica contribuisce a dipingere un quadro dalle tinte estremamente fosche che fa da sfondo ai testi incentrati sulla critica dei costumi moderni e la decadenza morale. Le trame convulse di pezzi come “Jonny Crevé” e “Intrication Quantique” non a caso evocano immagini di claustrofobici paesaggi urbani e un senso di alienazione, con le sezioni più melodiche ed introspettive strategicamente posizionate in modo da offrire una via di fuga dall’incubo e spunti di riflessione sui nostri stili di vita asfissianti. 'Chaos is Order Yet Undeciphered' risulta tagliente e diretto come solo un album screamo può esserlo, e, malgrado si avverta una certa ripetitività di soluzioni, scorre fluido dall’inizio alla fine coinvolgendo l’ascoltatore nei suoi labirinti sonori. Stiamo parlando di un disco di esordio e le potenzialità per emergere in patria e all’estero ci sono tutte. Quietus, avanti così. (Shadowsofthesun)

(Urgence Disk/Wrong Hole Records/La Plaque Tournante/Itawak/I Dischi Del Minollo/Sleepy Dog Records - 2020)
Voto: 72

https://quietus.bandcamp.com/

lunedì 23 settembre 2019

Kora Winter - Bitter

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Math, Between the Buried and Me
Un paio d'anni fa, proprio in questo periodo, mi apprestavo a recensire 'Welk', secondo EP dei berlinesi Kora Winter. La band teutonica torna oggi con un lavoro nuovo di zecca, 'Bitter', il vero debutto su lunga distanza per i nostri cinque musicisti. Forti dell'esperienza maturata in tour con gente del calibro di Rolo Tomassi o The Hirsch Effeckt, la band ci offre otto isterici pezzi che proseguono con la proposta già ascoltata in passato, ossia all'insegna di un imprevedibile math/post-hardcore/screamo. "Stiche II" mette in mostra immediatamente tutto l'armamentario in mano ai nostri, con una dolce melodia su cui s'incagliano i vocalizzi psicotici (in lingua tedesca) del frontman; a dire il vero, il brano sembra più una intro che un pezzo vero e proprio, visto che è con "Deine Freunde (Kommen Alle in Die Hölle)" che emerge più forte la struttura canzone e con essa tutto il delirante approccio post-hardcore nelle partiture più ritmate e melodiche, che fanno da contraltare alla più ruvida e acida componente estrema della band, che sembra coniugare in poche ma efficaci accelerazioni post black, anche metalcore e mathcore, in un impasto sonoro davvero pericoloso quanto furente (ed efficace). I brani si susseguono in un altalenante mix di generi: con "Eifer" si parte in quinta, ma poi un chorus ed una linea di chitarra alquanto dissonante, ci conducono in territori stravaganti, quando, fermi tutti, la proposta dei Kora Winter, si sporca di influenze alternative, con tanto di voci pulite in una sorta di emo un po' ostico da digerire, almeno per il sottoscritto, che da li a pochi secondi, avranno comunque il tempo di abbracciare altri suoni che dire cattivi è dir poco. Ma niente paura, si cambia ancora registro con la spettrale title-track, che al suo interno sfodera sverniciate di violenza estrema, rallentamenti furiosi, aperture al limite dell'avanguardismo e di nuovo montagne di riff e rullanti infuocati, in un'altalena musicale ed emozionale spaventosa (che vede addirittura l'utilizzo di vocals evocative in stile Cradle of Filth). C'è di tutto qui dentro e se non si è abbastanza flessibili di testa, il rischio di switchare al nuovo album dei Tool, potrebbe rivelarsi assai elevato. Ancora suoni stravaganti con l'incipit di "Coriolis", in cui batteria e chitarra (e poi anche voci, in tutte le forme possibili) s'inseguono come in un gioco di guardia e ladri, in oltre otto minuti di frastagliatissime e funamboliche ritmiche che portano i nostri ad ammiccare un po' a destra e un po' a manca, e relegando alla seconda parte del brano, eleganti momenti post metal sulla scia dei connazionali e concittadini The Ocean. Prova convincente non c'è che dire, confermata anche dalla folle proposta di "Wasserbett", un pezzo che col metal, fatta eccezione per le pesanti chitarre, sembra aver poco a che fare. Scendono colate di malinconia, almeno a tratti, per la corrosiva "Das Was Dich Nicht Frisst", tra le song più tecniche dell'album, per questo ancor più complicata e sperimentale, soprattutto nella sua parte vocale. A chiudere quest'intrepida opera prima dei Kora Winter, ecco arrivare "Hagel", un'altra piccola perla che, se non avesse avuto il cantato in tedesco (per me il vero limite della band ad oggi), sarebbe stata ancor più convincente, visti i richiami anche ai Cynic e pure uno spettacolare assolo conclusivo. Per il momento accontentiamoci dell'incredibile portento sonoro offerto dai nostri, in attesa di altri sconvolgimenti futuri. (Francesco Scarci)

(Auf Ewig Winter - 2019)
Voto: 76

https://korawinter.bandcamp.com/album/bitter

venerdì 5 maggio 2017

Gli Altri – Prati, Ombre, Monoliti

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Screamo
A volte, oggi più che mai, diventa difficile riuscire a tenere dietro a tutte le uscite interessanti che costellano l’underground italiano e non. Capita quindi di perdersi qualche pezzo per strada, pure quando il pezzo in questione è una cosa che avevi visto e ti eri segnato per tempo. Arrivo quindi un po’ in ritardo a parlare di 'Prati, Ombre, Monoliti', secondo album dei liguri Gli Altri, di cui avevo particolarmente amato l’esordio 'Fondamenta, Strutture, Argini', che nel 2013 aveva scosso la mia personale percezione del panorama post-hardcore italiano con un punto di vista che univa l’esperienza di band fondamentali come Fluxus, Massimo Volume e Marnero, alternandole ad esplosioni di rumore incontrollato. Tre anni dopo qualcosa è cambiato nel suono de Gli Altri e questo nuovo lavoro, co-prodotto da un qualcosa come 38 (se non ho contato male) etichette indipendenti internazionali, fotografa una band straordinariamente affiatata e focalizzata verso un genere meglio codificato, quello screamo che potrebbe avere i Raein come punto di riferimento, ma che forse perde un briciolo di originalità. Ora la formazione si è allargata con l’ingresso di un violino che aggiunge nuove sfumature, e i testi si fanno dichiaratamente più politici e universali, declinando in “noi” e “voi” quello che nell’esordio era più intimo e personale. Dieci brani in meno di mezz’ora che sono un concentrato densissimo di suoni e parole, una musica che si fa furiosa e serrata senza per questo rinunciare a strutture complesse e articolate, tanto da richiamare più volte un paragone illustre con gli At The Drive In di 'Relationship of Command'. Non c’è tempo per riflettere qui dentro, nemmeno quando le parole lo richiederebbero ("Idomeni", "Oltre la Collina", "Nuovo e Diverso da Te"); si viene investiti da un’onda che toglie il fiato e ti prende a schiaffi, costringendoti a guardare in faccia un mondo da cui distogliamo troppo spesso gli occhi. Doloroso e necessario. (Mauro Catena)

(Santavalvola Records/Taxi Driver Rec/DreaminGorilla Records & molti altri - 2016)
Voto: 75

https://glialtri.bandcamp.com/album/prati-ombre-monoliti

lunedì 24 aprile 2017

Eyes Wide Shot - Back From Hell

#PER CHI AMA: Alternative Rock, Lostprophets, Papa Roach
Eyes Wide Shot, ovvero come una band francese (proveniente dalla regione della Lorena) riesce ad attingere dal grande maestro del cinema Kubrick. Dietro questo nome troviamo quattro musicisti che si sono incontrati nel 2012 e l'anno successivo hanno dato alla luce il loro primo EP che gli ha permesso di essere notati dal produttore dei Falling In Reverse. Capirete quindi come questo 'Back From Hell', vero debutto della band, possa avere una produzione da non sottovalutare, essendo stato registrato a Los Angeles e poi seguito dall'agenzia francese Dooweet Agency. Iniziando dal packaging, questo è un jewel case dalla grafica accattivante, un tripudio di schizzi di colore in una stanza, che vede il frontman Florent accasciato mentre rigurgita un fiume di liquido multicolore. Le quattro facciate dell'artwork mostrano gli altri elementi della band ricoperti a loro volta di colore, una trovata interessante che non permette di capire cosa si ascolterà in seguito. Le tracce inserite sono dieci per un totale di trentasette minuti e si articolano tra alternative rock/post-hardcore/emo che ci riportano alla mente band come i Lostprophets, Hoobastank e Papa Roach. Come detto, l'investimento è elevato e lo si capisce subito da "Waiting in Vain", prima traccia dell'album. I suoni sono perfettamente in linea con il genere, dal taglio moderno e accattivante, cosi come la composizione che rispecchia molto (pure troppo) la produzione delle band che hanno aperto i cancelli a questo brand. Le ritmiche sono incalzanti, precise e veloci, la grancassa buca il mix come un missile terra-aria mentre i riff di chitarra si avvicendano con stop&go a profusione e utilizzo del killswitch. Una nota di merito al cantante che si destreggia bene sfruttando la sua timbrica squillante e aggiungendo passaggi screamo che aumentano l'impatto sonoro del brano. "My Redemption" segue la stessa strada, con innesti elettronici sia ritmici che melodici che svecchiano il brano, caratterizzato poi da molteplici intrecci vocali, cambi di ritmo e giri armonici che renderanno felici anche quei metallari più ligi alla tradizione. La seconda metà della song cresce e porta l'ascoltatore verso la conclusione con un certo senso di soddisfazione. La title track inizia in sordina con la voce che si libera su una breve intro di drum machine per poi esplodere come di consueto, ma in chiave più rilassata, come fosse una sorta di ballata post moderna simil 40 Seconds to Mars. Un buon album quindi: i nostri amici francesi hanno saputo prendere il meglio del genere ed interpretarlo con perizia e impegno facendosi apprezzare per gli innesti elettronici e le doti dei singoli musicisti che di sicuro non potranno essere accusati di essersi rilassati sugli allori di una produzione ad alto budget. (Michele Montanari)

giovedì 23 febbraio 2017

Aleska - S/t

#PER CHI AMA: Post Hardcore
Gli Aleska arrivano dalla Francia, precisamente da Metz e sono un quartetto di post hardcorer di alta qualità. Dopo due EP costituiti da tre brani ciascuno, si cimentano in questo primo omonimo LP autoprodotto. La prima cosa che mi colpisce positivamente è l’artwork, raramente mi sono imbattuto in un progetto dove la musica e l’estetica riescono a fondersi in modo così convincente. Azzeccata la scelta della tonalità azzurro e ruggine e dei soggetti vagamente religiosi fanno pensare ad un tesoro inestimabile ritrovato nella stiva di una nave affondata migliaia di anni fa. Per di più le opere rinvenute sembra siano state create da una popolazione dimenticata che abitava la terra molto prima delle civiltà che conosciamo dai libri di storia. La musica inizia con quello che potrebbe essere il suono di una cascata, ma più probabilmente è il rumore dell’acqua che scende dalla bocca di un’antica statua ora sommersa nelle profondità dell’oceano e che non sarà mai più ritrovata da anima viva. Alcuni armonici di chitarre ed una spedita linea di basso completano l’immaginario, tracciando l’orizzonte di gloriosi paesaggi civilizzati scomparsi da tempo immemore. L’intro termina con una serie di scream dal suono naturale ma disperato, l’effetto finale del pezzo ricorda la musica dei Trap Them, con un’inclinazione forse più narrativa. Il primo pezzo “Du Gris au Noir” contiene molte delle caratteristiche che troveremo nei brani successivi, uno scream rauco e tagliente che lacera le orecchie e trame melodiche ora piene di atmosfera ora ritmiche e claustrofobiche, fino ad arrivare a momenti di stallo dove la voce si riduce ad un parlato che esprime la stessa rabbia delle parti sporche ma in maniera soffocata, come se fosse sott’acqua. Il francese poi, lingua notoriamente musicale, in questo caso riesce ad essere aspra e cinica quanto il più dissonante degli idiomi del nord Europa. Il pezzo che preferisco del disco è “Que Reste-t-il?”, un’arringa piena di rabbia e profondo sconforto con un’attitudine schizofrenica e totalmente fuori dalle righe nella quale riecheggia l’influenza dei Converge. La song mi fa pensare al momento in cui le civiltà millenarie di un tempo videro il proprio continente sgretolarsi sotto i loro piedi e lentamente sprofondare nelle immensità dell’oceano. Non c’è modo di contrastare la forza della natura, cosi come non si riesce a contrastare la furia degli Aleska, non c’è modo di scappare o nascondersi, si può solo arrendersi. Le persone vedono montagne creparsi e crollare mentre svuotano i polmoni lacerandosi la gola con grida di disperazione. La civiltà è finita, tutti gli sforzi fatti sono stati vanificati e la natura, ancora una volta, ha trionfato sulla specie umana. (Matteo Baldi)

(Self - 2016)
Voto: 75

https://aleska.bandcamp.com/

martedì 29 novembre 2016

Selva - Eléo

#PER CHI AMA: Post Black/Hardcore/Screamo, Deafheaven
Inizio la mia recensione del disco portando alla vostra attenzione alcune raccomandazioni da seguire per reggere l'impatto con questo lavoro. Dotatevi sicuramente di cinture di sicurezza perché, come avrete modo di capire sin dall'opener "Soire", l'approccio alla musica dei Selva risulterà pressapoco analogo allo scontro di un auto con un tir spinto a tutta velocità. Adottate anche misure di tutela per i vostri padiglioni auricolari e timpani annessi, perché la lacerazione dovuta alla musica del trio lodigiano, può provocare severe problematiche al vostro fisiologico impianto acustico. Per il resto, capiremo strada facendo come proteggerci dal suono caustico e infausto dei nostri. Dicevamo del nefasto impatto sonoro della song in apertura, una scorribanda tortuosa fatta di ritmiche in grado di spazzare via ogni forma di vita dalla terra e urla cancrenose che hanno addirittura il merito di acuire la ferocia post black dei Selva, per quanto sia difficile a credersi. La violenza trova comunque modo a metà brano, di attenuarsi almeno per pochi secondi, prima di continuare ad assecondare il proprio io, aspro centrifugatore di suoni, e lanciarsi nel drappeggio di desolate melodie malinconiche fino ad arrivare ad un brusco rallentamento a fine brano, che da 200 km/h ci porta a zero nell'arco di un secondo e in quell'attimo rivivere tutte le emozioni stranianti fin qui provate. Attenzione, l'avevo messo in chiaro, l'ascolto di 'Eléo' non è raccomandato per i deboli di cuore. Se anche voi, come il sottoscritto, avete invece uno stomaco forte, potrete lanciarvi nella centrifuga sonora di "Alma" e dei suoi schizofrenici undici minuti, affidati ad un caos primordiale senza precedenti che nel suo circolare pattern sonoro che sfocia in anfratti torbidi e atmosfere doomish, trova anche il modo per regalare sprazzi di inattesa eleganza classica. Quest'ultima, affidata agli archi del bravo Nicola Manzan dei Bologna Violenta, risulterà capace di annullare la tempesta sonora con il dolce suono dei violini e lasciare incredibilmente spazio ad un nostalgico post rock d'annata che per pochi istanti ci fa dimenticare il post black arrogante dei Selva, e ci consegna una band più vicina agli anglo-statunitensi *Shels e all'eterea traccia "Plains of the Purple Buffalo Part 2", estratta dal loro ultimo album. Non vi fate infinocchiare però da cotanta melodia, perché in "Indaco", il suono delle chitarre sembrerà quello dettato dal roteare delle ruote d'acciaio del treno sui binari, un attrito in grado di generare suoni efferati di chitarre ultra compresse e blast beat da incubo, e di richiamare indistintamente Deafheaven, Wolves in the Throne Room o qualsiasi altra band dedita al più feroce post black. Splendide le percussioni del mostruoso Tommy a metà brano e ancor di più quel senso di vertigine che la song (ma la faccenda può essere estesa all'intero disco), procura, soprattutto nella seconda metà del brano. L'ultimo respiro dei Selva è esalato da "Nostàlgia", un'angosciante traccia strumentale (urla di disperazione a parte) il cui ondeggiare delle chitarre dei primi minuti è più vicino al drone che al black. Peccato per una registrazione in presa diretta che rende la proposta dei nostri sicuramente poco artificiosa ma che ne penalizza a mio avviso la resa finale; mi piacerebbe riascoltare il disco con una produzione più cristallina e poter comparare i nostri con i gods statunitensi e probabilmente scoprire che in casa ci ritroviamo con uno splendido diamante grezzo. (Francesco Scarci)

(OverDrive Records - 2016)
Voto: 75

https://selvapbs.bandcamp.com/

venerdì 4 dicembre 2015

Jungbluth - Lovecult

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore/Screamo
“This one should be clear, but can’t be said too often: we strongly disagree with any pro-views on fascism, racism, nationalism, sexism, homophobia and every other form of oppression”. A volte la musica riesce a creare forti legami empatici, a prescindere dal genere musicale, se fondata su principi che ci toccano da vicino. È quanto mi è accaduto con il terzo album degli Jungbluth, terzetto HC di Münster, che prende il nome da Karl Jungbluth, comunista e antifascista tedesco, che durante la seconda guerra mondiale ha combattuto nella resistenza contro i nazisti. 'Lovecult' è, conviene dirlo subito, un piccolo capolavoro hardcore che riesce a coniugare in modo perfetto furia strumentale, inventiva e testi incompromissori. I tre ragazzi tedeschi riescono a sprigionare una potenza devastante fatta di furiose cavalcate noise, stacchi precisi e un cantato potente e viscerale. 'Lovecult' è un album a tema che, come si evince dal titolo, parla di amore ma, come è facile intuire dalle premesse, non lo fa in modo sognante e piagnone. Niente sofferenze emo da cameretta, in queste tracce, ma una lucida analisi che intende sviscerare il concetto di amore nella società odierna, che capitalizza tutto, anche le nostre emozioni, finendo per renderle dei bisogni come altri, per i quali siamo disposti a pagare. Non è necessario pagare invece per godere di questa mezz’ora scarsa di grande hardcore punk: il disco è infatti disponibile in dowload gratuito, ma se apprezzate il contenuto, e non potrete non farlo se amate il genere, allora è disponibile il vinile, anche in una splendida edizione limitata in vinile verde. Inutile menzionare le tracce migliori: sono 10 gemme che scorrono veloci e inesorabili, e una volta arrivati in fondo non potrete fare altro che ricominciare da capo. E ancora. E ancora. “Don't respect something that has no respect - Fuck nazi sympathy!" (Mauro Catena)

(Self - 2015)
Voto: 85

domenica 8 marzo 2015

Ambiguïté - Light & Shade

#PER CHI AMA: Sonorità Post
Per il nome della band, per i colori eleganti del loro sito web e per l'arpeggio iniziale che apre "Nightfliesdance", pensavo che i nostri fossero francesi. Ho sbagliato e di grosso: gli Ambiguïté sono difatti un duo russo guidato da Alexey ed Egor che fa musica sotto questo moniker dal 2011, anche se in realtà suonano insieme dal 2009. La band ha concepito 'Light & Shade' tra il 2013 e il 2014, pubblicandolo su bandcamp la scorsa estate e attirando l'interesse della sempre più potente Pest Production. L'etichetta cinese, in collaborazione con gli amici della Weary Bird Records (entrambe molto attive sul versante post-), hanno deciso di metterli sotto contratto e ora il loro digipack sta tra le mie mani con un 5-track che appunto apre con "Nightfliesdance", una song che si muove tra lo screamo e il post-hardcore, almeno nella sua prima metà, cercando di catturare, senza troppa fortuna, il mio interesse. Fortunatamente, i nostri non sono degli sprovveduti e hanno capito che i generi sopra menzionati non tirano più come una volta se non miscelati con un che di più accattivante e originale. Cosi nella seconda metà del pezzo, i due russi si rintanano in sonorità più introspettive, più marcatamente sognanti e post-rock, e meno male aggiungo io. In "Warm Night" le furiose accelerazioni iniziali mi fanno propendere addirittura per una vena post black degli Ambiguïté, ma le rarefazioni musicali, le melodie delle chitarre stile Alcest, i break acustici, i chorus super ruffiani, i vocalizzi che passano dall'urlato al pulito, mi spingono a rivedere la mia posizione iniziale. Quando "Towards the Fall" attacca con quel suo mood strappalacrime (e mutande) tipico delle ballad (che ahimè mette in mostra anche una certa stonatura del vocalist) inizio a essere un po' confuso. Ancora suoni malinconici (e questa volta strumentali) con la title track, il cui riff portante risuona nell'aria come le melodie shoegaze degli Alcest. Sono alla quarta canzone e mi sembra di avere a che fare con una band totalmente diversa da quella di inizio disco. L'Ep si chiude con "Hear Your Body (Remix 2013)" che rilegge il primo singolo scritto dai nostri nel 2011: un altro brano strumentale che sottolinea le qualità degli Ambiguïté in assenza del cantato; questo a suggerire un approccio definitvamente senza voce da parte dei nostri o la scelta di un vocalist più adatto alla causa. Mentre l'act russo rifletterà sul da farsi in futuro, voi una chance a 'Light & Shade' potete anche darla. (Francesco Scarci)

(Pest Productions/Weary Bird Records - 2014)
Voto: 65

domenica 9 febbraio 2014

The Infarto – Scheisse

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Hardcore Punk, Post-Hardcore, Screamo
I bergamaschi The Infarto (ora solo Infarto), mi hanno passato ad un live (grandioso per altro) questo loro vecchio lavoro (non datato). L'opera comprendente tutti gli stilemi dell'hardcore made in Italy, ma che va oltre compositivamente, grazie a una forte componente avanguardistica che come struttura trovo vicina a gruppi orientati al versante math metal e maggiormente post-hc. Il cantato in italiano (tranne l'ultima "Nessun Nome #1"), urlato fortissimamente si alterna a parlati sterili e freddi, i testi trattano di tematiche personali, più specificatamente sulla visione asettica dell'esistenza, come si può intuire dai primi secondi di "Nearte Neparte", dalla narrazione di "Oggi Metto Pioggia" e su "Lilla Pallido" la traccia più forte del disco a mio parere, con le sue varie sfumature strumentali e con un testo magnificamente colmo di simbolismo, cosi come gran parte delle liriche. Ad ogni modo la cosa più interessante di questo prodotto sono le varie parti strumentali che si intrecciano perfettamente nella loro particolarità; si possono poi trovare riferimenti al metal in certi bridge o al post-hc in altri frangenti, riuscendo decisamente nell'intento di scuotere l'ascoltatore. Nulla di eclatante nè sorprendente, ma un'alchimia sonora molto personale che incuriosisce ed attrae, tanto per le interessanti liriche quanto per la musica densa di significati. (Kent)

mercoledì 21 agosto 2013

Burials – Burials

#PER CHI AMA: Mathcore, Progressive Death, Converge, Obscura
C'è un motivo se questa recensione arriva in ritardo, ed è che i Burials sono una delle migliori band che mi sia mai capitato di ascoltare e di conseguenza il cd è rimasto stabile nella mia rotation d'ascolto, lontano dai dischi da recensire. Il sound proposto dal gruppo è qualcosa di eccezionalmente particolare, una miscela di mathcore e progressive death con una decisa vena neoclassica che ne rende unico l'ascolto. Già da "Nova" si riesce a percepire un'atmosfera trascendente che colloca questo lavoro al di sopra di molte blasonate release di generi affini, sia tecnicamente che compositivamente, anche se difficilmente si riuscirebbe a creare paragoni date le straordinarie sonorità partorite dai nostri che riescono ad avvicinare adirritura band quali Neurosis ed Enslaved. Punto focale dell'opera è la velocità che permette al quartetto da Portland la massima resa, irrompendo con virtuosismi stupefacenti arricchiti dalle dissonanze ed armonie che riescono a creare, trovando la loro massima rappresentatività in "Synthetic" e "Wizard Lock". Ma non è certamente grazie solo alla schizofrenica chitarra che l'opera si erge, perchè la sezione ritmica dà prova di un livello ed una preparazione ottima, capace di seguire perfettamente la chitarra che si districa tra le più contorte melodie e trascina tutta l'opera oltre che l'ascoltatore. Altro punto di forza di questo lavoro è che annoia difficilmente grazie alle parti compositive che scivolano tra loro stesse, rendendo l'ascolto perpetuamente energico e febbricitante. Il mio rimpianto più grande è quello di non averli scoperti anni prima ed apetto ansiosamente lanuova release che dovrebbe uscire a breve, ascolto consigliatissimo ma solo agli ascoltatori più provati. (Kent)

(End Theory Records)
Voto: 90


http://burialspdx.bandcamp.com/album/burials

sabato 17 agosto 2013

Fall Of Minerva - Departures And Consequences

#PER CHI AMA: Post-Core, Post-rock, Alexisonfire
Questo EP di debutto dei Fall of Minerva potrebbe comodamente essere usato come manifesto per tutto il movimento underground vicino al post-core sviluppatosi da un lustro a questa parte. Contiene tutti gli elementi caratterizzanti questi anni buii di musica dove abbonda la conformità di nicchia, dispersi in un mare di subgeneri e band valide, per cui necessitiamo di fari per sintetizzare elementi presenti in tutto il panorama musicale e riuscire ad avere la sicurezza sonora di un prodotto di qualità apprezzato dal naufrago ascoltatore. I Fall Of Finerva sono uno di questi fari, figli di una stratificazione di generi emersa dal crollo delle antiche civiltà del metal, del rock e del punk hardcore. Ma fondamentalmente che dire della musica? C'è tanto e poco da parlarne, la prima traccia "We're not Allowed Think of Us" riassume la formula del gruppo vicentino, l'apertura con un timido piano si sposta verso preponderanti sonorità screamo infuse di post-rock che mutano aprendo larghe parentesi metalcore e mathcore. L'andamento del disco è pressochè questo, un alternarsi di melodie ed atmosfere alla Sigur Ros e sfuriate core alla Underoath. Un lavoro che presenta un'ottima base di partenza in tempi maturi per queste sonorità. (Kent)

lunedì 22 ottobre 2012

No Omega - Metropolis

#PER CHI AMA: Post-Hardcore, Screamo, Rise And Fall, Norma Jean
Vuoi per il fatto che son troppo socialdemocratici o che non sono completamente compatibili con la cultura straight-edge, i gruppi della scena hardcore scandinava se li filano in pochi. Io di certo non la seguo, vuoi per pigrizia o perché sono troppo schizzinoso e mi limito al crust, ma non mi dispiace quando mi arrivano band come i No Omega, che sono appunto differenti dai classici stereotipi della scena hardcore internazionale (o meglio, statunitense). Purtroppo non ci sono influenze esterne provenienti dal metal, quindi rammaricatevi come ho fatto io dopo un paio di ascolti. Nonostante ciò, i No Omega hanno catturato la mia attenzione con un'astuta combinazione sonora che esce dai canoni dell'hardcore, per approdare verso sonorità più opache. L'artwork rappresenta benissimo la loro proposta musicale, qualcosa di nebuloso, che si interessa alla vita sociale della grande città, senza tralasciare le proprie sensazioni interiori. Viene subito da pensare che la pubblicazione si concentri sulla rabbia, ma appare anche un senso di decadenza e resa, che si esplica attraverso i suoni oscuri proposti dalla band di Stoccolma. La produzione è molto buona e fa trasparire tutti gli strumenti e la voce, rendendone anche piacevole l'ascolto al sottoscritto che non è un amante del genere. "Metropolis" è un debut album completo, non ci può e non ci si deve aspettare qualcosa di più o delle svolte particolari da questa band, ha detto quello che doveva dire e l'ha detto bene. (Kent)

(Get This Right Records) 
Voto: 70

sabato 25 giugno 2011

Battle of Britain Memorial - The Aftermath of Your Bright Beings

#PER CHI AMA: Post Rock, Screamo, Mogway
Iniziamo questa recensione con un plauso speciale alla cover cd di "The Aftermath of Your Bright Beings" a dir poco spettacolare, con un contrasto di colori meraviglioso, dovuto anche al digipack cartonato che ne enfatizza il risultato finale. Insomma si capisce fin dal primo impatto, che la band francese è alla ricerca di qualcosa di assai raffinato. Faccio partire il cd e quello che sento, riesce a mettermi subito a mio agio, con suoni tipicamente post, che tanto vanno in voga nell’ultimo periodo. E allora ecco che mi accomodo sulla mia poltrona d’ascolto e mi faccio investire dal vortice sonoro di questo combo transalpino che si è formato solo recentemente, nel 2009 e oggi se ne esce con un prodotto degno di una band veterana. Accennavo alla loro proposta, una miscela di intimistico post metal, unito alla trasgressione dell’hardcore e la rabbia dello screamo. Dopo il benvenuto di “Welcome to Rapture” ecco le urla disumane di “Metaphysics of the Lighthouse” ad aprire il secondo pezzo, che si stagliano su un tappeto decisamente post rock: il sound che giunge alle mie orecchie infatti è assai rilassato, toccante e passionale, dove fanno capolino anche le vocals eteree di una gentil fanciulla che provano a spezzare la sgraziata ma efficace performance del vocalist Ludo. Tocchi di tamburo e piatti accompagnati da una flebile chitarra ci aprono le porte a “Those Who Hide Their Plight”, dove Ludo questa volta, si presenta in versione pulita, anche se avverto una certa forma di disagio su questo genere di tonalità, soprattutto mi sembra faccia molta più fatica quando si spinge verso un registro più alto (lo preferisco nella sua versione screamo); la song si muove in territori costantemente votati al post rock intimistico dei maestri Mogway. Ancora la batteria ad aprire una traccia, con le plettrate malinconiche della sei corde in sottofondo: è la volta di “Cum Tacent Clamant” che palesa in modo evidente la vena inquieta che permea l’intero lavoro del quartetto di Tolosa. La musica non è mai cattiva, mantenendosi costantemente su un registro pacato (nel quale la batteria gioca un ruolo chiave) e pervaso di nostalgia, grazie ad un lavoro egregio alle chitarre; ciò che finisce per incattivire la proposta del combo francese è senza ombra di dubbio la performance al vetriolo del buon Ludo, che tuttavia non infastidisce più di tanto. La creatività della band, il gusto per sonorità ricercate, capaci di scavare nell’intimo umano, le atmosfere soffuse (si ascolti la melliflua “Midnight Blue”), la genialità palesata in alcuni frangenti, ci consegnano una band dalle idee chiare, che merita la vostra attenzione. Amanti di sonorità “post” (rock, metal, hardcore, sludge) fatevi dunque sotto e date un chance ai Battle of Britain Memorial, non ne resterete delusi, parola del vostro Franz: rabbia e dolcezza si sposano alla grande nelle note di questo disco. Ah, dimenticavo la cosa più interessante: il cd è scaricabile gratuitamente al seguente sito: http://battleofbritainmemorial.bandcamp.com/album/the-aftermath-of-your-bright-beings I Battle of Britain Memorial sono assolutamente bisognosi di un vostro ascolto! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75