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sabato 29 febbraio 2020

Void of Silence - Criteria ov 666

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Apocalyptic Doom
Ricordo di aver atteso con grande trepidazione il nuovo lavoro dei Void Of Silence, band capitolina che nel 2001 si era già resa protagonista di un debutto esaltante, quel 'Toward the Dusk' che per alcuni è passato inosservato ma che rappresenta tutt'ora un esempio sporadico ed eccellente di come la musica estrema possa ancora rinnovarsi attraverso sonorità di matrice metal. Dopo il cambio di etichetta, da Nocturnal Music a Code666, il secondo album dei nostri, 'Criteria ov 666', rappresentò un lavoro che proseguiva nella direzione stilistica intrapresa dall'esordio e ne accentuava in modo palese la componente sperimentale, abbracciando a tratti la corrente del folk-apocalittico. La struttura portante su cui si appoggia questo disco, resta ancorata ad un doom-metal dalle ritmiche estremamente pesanti e dilatate mentre le contaminazioni di ambient industriale, costituiscono una base sempre presente, che rende unica e sublime la formula proposta dal trio romano. Il pesantissimo muro di suono creato dalle chitarre di Ivan Zara viene accompagnato dalle tastiere evocative di Riccardo Conforti, il quale si cimenta anche nell'uso di inserti disturbanti che sfiorano spesso, come nell'intro, il rumorismo di certa power-electronics. L'effettistica usata, pur non avendo un ruolo predominante, contribuisce però, a rendere terribilmente claustrofobica e angosciosa l'atmosfera dei brani e ricrea l'ideale tappeto sonoro per la voce "malata" di Malfeitor Fabban (Aborym). I rantoli sofferenti di Fabban e le sue urla cariche d'odio, affondano nella carne e la lacerano come un coltello affilato: una prestazione vocale estrema e terrificante che ricorda, in alcuni frangenti, i Katatonia di 'Dance of December Souls'. 'Criteria ov 666' rende attoniti davanti a tanta negatività, è capace di annientare, lasciando spazio unicamente al dolore e a sensazioni di morte... un'opera certamente agghiacciante, ma questa è la musica dei Void Of Silence, una delle realtà più credibili ed inquietanti che il nostro suolo può ancora vantare in ambito estremo. (Roberto Alba)

Theatres des Vampires - Suicide Vampire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Tristania
La seria caparbietà che ha sempre contraddistinto i Theatres des Vampires, accompagnata dalla ricerca di una crescita costante, face compiere alla formazione italiana un altro passo avanti nella direzione artistica che fu intrapresa all'epoca di 'Bloody Lunatic Asylum'. Ad un primo ascolto 'Suicide Vampire' rivelò immediatamente gli intenti perseguiti dai nostri vampiri, che decisero con questo lavoro di non discostarsi di molto dal suono del precedente album cercando invece di focalizzarsi sul miglioramento degli elementi che hanno reso la loro musica così particolare ed inconfondibile agli occhi del pubblico. Il gothic metal suonato dai Theatres des Vampires rimane in questo album quindi caratterizzato da strutture poco dissimili dalle passate composizioni, ma viene arricchito e valorizzato da partiture sinfoniche maggiormente articolate e cori polifonici più complessi ed austeri, che in questa occasione sono stati arrangiati e condotti dai membri del coro dell'Accademia di Santa Cecilia (Roma). L'album non ricerca nell'innovazione la propria "carta vincente" ma sembra voler giocare tutto sulla melodia orecchiabile e la varietà dei brani, passando da momenti pomposi, come "La Danse Macabre du Vampire" o "Tenebra Dentro", ad altri dalla vena più malinconica, come la titletrack, dove spiccano le linee di violino di Elvin Dimithri (primo violinista dell’orchestra Filarmonica di Tirana). Le tastiere di Necros rivestono ancora un ruolo di primaria importanza nella musica dei Theatres des Vampires, mentre viene relegato in secondo piano il lavoro delle chitarre, delle quali ho avvertito un po' la mancanza; forse una diversa scelta dei suoni sarebbe riuscita a dare maggior risalto alle sei corde e a rendere ancor più magniloquente e d'effetto il risultato finale dell'opera. Nel complesso 'Suicide Vampire' è un album comunque piacevole e riuscito, che mi sento di consigliare a chi apprezza la sontuosità gotica di gruppi come Tristania e The Sins of thy Beloved. (Roberto Alba)

Thyrane - Hypnotic

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Thrash
Devo dire di essere rimasto un po' deluso dal 'Hypnotic', terzo album del 2003 dei Thyrane, tuttavia trovo giusto dar loro spazio con questa recensione, dal momento che fin dal primo demo 'Black Harmony', ho seguito con grande interesse l'evoluzione di questi blackster finlandesi. Ricordo che rimasi entusiasta quando anni fa acquistai il loro debutto 'Symphonies of Infernality' (uscito per Woodcut Records nel 1999) e credo che ancora oggi quell'album non abbia perso nulla del suo impatto e della sua potenza, ancor più se paragonato alle uscite particolarmente scadenti che hanno successivamente invaso il mercato del metal estremo. Al tempo non furono certo in molti a riconoscere le qualità del quartetto finlandese, con il risultato che i Thyrane sono rimasti un nome minore ed il rammarico sicuramente c'è, se penso che quanto proposto proprio in 'Symphonies of Infernality', era una formula di symphonic black metal dannatamente valida ed estremamente più convincente di qualsiasi produzione dei Dimmu Borgir. Con il secondo lavoro 'The Spirit of Rebellion' è ancora un sound violento ed incredibilmente efficace a caratterizzare la musica del gruppo, sebbene i brani risultino in questo lavoro orientati maggiormente verso il death metal. È però con 'Hypnotic' che i Thyrane compiono il loro più significativo cambio di rotta, semplificando pesantemente le proprie composizioni e alleggerendone la struttura in maniera forse troppo spinta, tanto da ottenere una collezione di brani innocui e un po' privi di mordente. La voce di Blastmor rimane feroce e le chitarre si concentrano su lenti riff di stampo thrash metal che trovo buoni, ma è l'effetto complessivo che non convince appieno e la sensazione che si ottiene, è quella di ascoltare delle canzoncine semplici che coinvolgono poco. Con 'Hypnotic' anche i Thyrane si fanno sedurre dalle tentazioni elettroniche e questo lo si avverte immediatamente dall'uso dei synth, che forse costituisce il punto di maggior interesse nell'album, per la presenza discreta di gradevoli loop ed orchestrazioni che si ricollegano a quanto fatto anche nei primi due lavori. Grazie a questo taglio moderno, alcuni brani come "Dance in the Air" e "Phantasmal Paranoia" risultano piuttosto indovinati ma il giudizio di 'Hypnotic' rimane quello di un album riuscito a metà, dove la comprensibile e lodevole voglia del cambiamento non è bastata a confezionare un prodotto all'altezza del nome della band. (Roberto Alba)

(Spikefarm Records - 2003)
Voto: 61

https://www.facebook.com/thyraneofficial/

sabato 31 agosto 2019

Ulver - 1993-2003: 1st Decade in the Machine

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Experimental/Electro
Nel 2003 gli Ulver pensarono bene di far uscire l'ennesima uscita discografica! Non si trattava di un nuovo full-length, bensì ad una raccolta di quattordici remix che attingevano sia dalla produzione più recente del gruppo, sia dal materiale composto prima della svolta elettronica, coprendo l'intero periodo di vita della band norvegese. Alla raccolta partecipano tredici artisti più o meno noti della scena elettronica internazionale: Alexander Rishaug, Information, The Third Eye Foundation, Upland, Bogdan Raczynski, Martin Horntveth, Neotropic, A.Wiltzie vs. Stars of the Lid, Fennesz, Pita, Jazzkammer, V/Vm e Merzbow. Anche gli stessi Ulver prendono parte alla tracklist dell'album con il brano d'apertura "Cruck Bug", dove Kristoffer Rygg decide di rispolverare addirittura "Nattens Madrigal" dal demo 'Vargnatt' del 1993. Sebbene i remix presenti coinvolgano buona parte della vecchia produzione black metal del gruppo, non aspettatevi dei brani troppo movimentati ma "rassegnatevi" ad un ascolto paziente di quasi ottanta minuti di onanismi elettronici e di qualche divagazione rumorista che ogni tanto saprà destarvi dal sonno. Con questo non voglio affermare che il lavoro sia di scarso interesse, più semplicemente penso sia doveroso avvertire chi fosse intenzionato all'acquisto, che quanto si può ascoltare sul cd rimane un po' troppo in linea con le sperimentazioni minimali a cui Mr. Rygg ci ha abituato anche con le ultime pubblicazioni. Trattandosi di una raccolta di remix, pensavo fosse lecito aspettarsi perlomeno una maggior varietà di stile! L'acquisto è consigliato perciò ai soli collezionisti; agli altri suggerisco di rispolverare i più recenti album della band. (Roberto Alba)

(Jester Records - 2003)
Voto: 63

https://www.facebook.com/ulverofficial/

The Vision Bleak - The Deathship Has a New Captain

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Doom
Accantonate le attività che lo vedevano coinvolto nel progetto di musica folk Empyrium, Theodor Schwadorf fece ritorno alle proprie origini musicali riscoprendo, in compagnia di Mr. Konstanz, la vecchia passione per il metal, fondando i The Vision Bleak. Dispiace dover parlar male di un musicista che nell'ambito folk seppe difendersi egregiamente e dispiace pure constatare l'imbarazzante pochezza d'idee che investì l'artista tedesco in questo album, ma 'The Deathship has a New Captain' si presentava come un lavoro decisamente troppo deludente per poterlo accogliere in maniera più benevola. Non fatevi trarre in inganno dal poderoso lavoro di produzione perché non è uno specchio sincero di ciò che l'album ha da offrire e anche se i primi due brani "A Shadow Arose" e "The Night of the Living Dead" vi sembreranno promettere qualcosa di buono, fate molta attenzione a non farvi incantare, l'ascolto delle tracce successive potrebbe rivelarsi una brutta sorpresa. Intendiamoci, il suono delle chitarre dei The Vision Bleak è ottimo e persino la preparazione tecnica dei due strumentisti è una qualità che sarebbe ingiusto non sottolineare, ma sono le composizioni a non concedere alcuna emozione e ad apparire senz'anima, nonostante il sontuoso contorno nel quale si trovano inserite. Rocciosi riff di chitarra, un vocione alla Sisters of Mercy, grandeur sinfonica con tanto di tenore e mezzo soprano a sostenere i momenti più pomposi: tanta carne al fuoco che, tolte forse le valide "Metropolis" e "The Lone Night Rider", si risolve in una collezione di song terribilmente aride e monotone. Curiosa la partecipazione del doppiatore tedesco di Saruman (da 'Il Signore degli Anelli') per le parti recitate e intrigante anche l'immaginario horror a cui il gruppo si ispira, ma se di sonorità orrorifiche vogliamo parlare, allora preferisco in ogni caso rivolgermi altrove, ascoltando qualcosa dei Notre Dame o rispolverando qualche vecchio album dei Mercyful Fate. Per quanto mi riguarda, un album assolutamente trascurabile. (Roberto Alba)

venerdì 24 agosto 2018

Wagooba - Total Emotion

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psichedelia/Glam
La Loa Rising, nata inizialmente da una costola della nota Lucifer Rising di Steve Sylvester, si prefiggeva l'intento di produrre quei combo che esulavano dai soliti cliché della scena alternativa italiana, portando in superficie stimolanti realtà musicali ancora sommerse. Stimolante è appunto il termine più appropriato per 'Total Emotion', album di debutto dei Wagooba (peraltro rimasto senza un seguito) e prima uscita sul mercato per la Loa Rising. I Wagooba nascono nel lontano 1987 e vantano nella loro line-up, in veste di sensualissima cantante/urlatrice, l'eclettica Stefania D'Alterio, ai tempi caporedattrice di "Mondo Culto" (era un portale dedicato alla "weird culture" e al cinema considerato di bassa lega) e nera sacerdotessa che ha curato per anni rubriche di "cultura apocalittica" per testate quali Psycho! e :Ritual:. Cosa ci si poteva aspettare dalla carismatica Stefania se non un disco dannato, torbido e terribilmente sexy? 'Total Emotion' si presentò al pubblico proprio così, un calderone di sonorità che traeva le proprie influenze dai generi musicali più disparati come street-rock, disco-music, glam e psichedelia ma che, soprattutto, assorbiva la sua viziosità dal gusto per una certa cultura cinematografica porno-trash anni '70. "Mirrorball Love", "Woodoo Wagon", "Overload Jesus", "El Coche Fantastico", la bellissima ballad "Malhombre": un concentrato di brani bollenti ed eccitanti, ricchi di una forte carica sessuale e non privi di una certa ironia, questo è 'Total Emotion'! La colonna sonora della deviazione e della passione, l'ideale punto d'incontro tra la carne e lo spirito che danzano eccitati in un dannato rituale. 'Total Emotion' mi ha spiazzato, stupito, divertito, in un'unica parola emozionato ed emozioni è quello che proverete anche voi appena vi sarete impossessati di questo disco e l'ascolterete... Come and meet Wagooba! (Roberto Alba)

Voices of Masada - Four Corners

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: British Goth Rock, Fields of the Nephilim
Quella dei Voices of Masada fu la classica sorpresa che non ti aspetti, ossia l'incontro con sonorità che credevi sepolte sotto una spessa coltre fatta di uscite discografiche mediocri, concepite con il solo intento di soddisfare un mercato che stava rifiorendo o intese unicamente ad emulare le gesta di qualche vecchia gloria gothic-rock. Per quanto le release Strobelight non raggiungessero sempre livelli qualitativi eccelsi, la condotta dell'etichetta austriaca parve discostarsi da tali politiche e, in particolare, i Voices of Masada sembravano intenzionati a creare belle canzoni, piuttosto che tentare di assomigliare ai Sisters o ai Fields of the Nephilim. I Voices of Masada rappresentavano senza dubbio una tra le punte di diamante della scuderia Strobelight ed è sufficiente un rapido ascolto di 'Four Corners' per riconoscere le qualità uniche del quartetto inglese (anzi, italo-inglese, vista la presenza al basso dell'ex-Burning Gates, Danny Tartaglia), che dopo aver rilasciato un altro album nel 2006, se ne sono perse le tracce. Melodie dalle tinte crepuscolari, gusto sopraffino negli arrangiamenti e cospicue dosi di energia sono le armi seduttive con le quali i quattro musicisti vogliono conquistarci e se il loro intento è quello di scuotere l'ascoltatore, brani graffianti come "Days of November" e "Flight" raggiungono l'obiettivo in pieno, inebriandoci con sonorità dalle sfumature ora grigie, ora più limpide e scintillanti. La preparazione tecnica dei Voices of Masada è un altro elemento da non sottovalutare, se vogliamo comprendere il valore di quello che fu il loro debutto, perciò, vale la pena di soffermarsi sull'enorme lavoro di chitarre di Eddie Martin e Rob Leydon, assaporandone ogni fraseggio. Si ascoltino ad esempio i delicati arpeggi di "Fragments" o lo splendido assolo finale di "Shine". Buona anche la prova al microfono di Raymon Shah, anche se la sua voce calda e conturbante avrebbe le potenzialità per arrischiarsi su scale ben più tortuose. British Goth al meglio della sua espressione. (Roberto Alba)

(Strobelight Records - 2004)
Voto: 75

https://voicesofmasada.bandcamp.com/album/four-corners

domenica 15 aprile 2018

Tronus Abyss - Kampf

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Folk/Industrial
Non ho mai trovato entusiasmante la proposta musicale dei Tronus Abyss, né durante il loro periodo black metal, né con la successiva svolta elettronico-sperimentale, ma la sorprendente facilità con cui 'Kampf' è riuscito a catturarmi non mi ha lasciato indifferente, perciò ho voluto ascoltare l'album più volte prima di formulare un giudizio che fosse il più possibile obiettivo. È evidente che 'Kampf' possieda qualcosa in più rispetto ai due album precedenti e non è solo di mera "estetica" del pentagramma che sto parlando, ma di genio e di intuito, elementi che il gruppo torinese ha saputo esprimere in modo assolutamente nuovo, conferendo ai propri brani un fascino mai troppo celato e rivalutando il concetto di sperimentazione in un'ottica scevra da rigidi meccanismi autocelebrativi. Il tracciato sonoro già battuto con 'Rotten Dark', viene rivisitato dal gruppo mantenendo parzialmente salda la mescolanza tra musica medievale e grottesche sfumature electro-apocalittiche, ma diversa è forse la chiave di lettura, come lo è la vena creativa di Malphas e Atratus, i quali paiono aver trovato una grande ispirazione e un nuovo vigore compositivo tra le note di quest'album, slegandosi tra l'altro da ogni riferimento stilistico al black metal. Noise, industrial, folk apocalittico, dark ambient: in 'Kampf', queste molteplici influenze emergono intrecciandosi armoniosamente attraverso i nove brani che compongono l'opera e ad esempio di questa sublime commistione di generi potrei certamente portarvi la title-track, introdotta dai rintocchi funebri di un pianoforte, mentre una drammatica declamazione narra di visioni cosmiche, richiami esoterici ed amare invettive sulla decadenza di un'epoca. Stupendi anche gli oltre sette minuti di "Mabuse", un percorso allucinante lungo le estetiche surreali del cinema espressionista tedesco, rivissute attraverso le ebbre alterazioni di Atratus, la cui voce tuona ancora fiera e sprezzante tra gli opprimenti fraseggi d'organo. Perdetevi tra le note di 'Kampf' e assaporatene ogni singolo tassello: dagli imponenti fiati de "L'eredità del Cinghiale" alle melodie medievali di "STH.492", fino ai neoclassicismi di "Radio Europa MMIII". Notate anche come ogni piccolo particolare, nei Tronus Abyss, diventi un elemento insostituibile per l'integrità del brano e come l'apporto del nuovo componente Mord sia ora più che mai vitale nello schema compositivo del gruppo. Nella traccia di apertura, come in "Funeral", le chitarre di Mord aiutano infatti a rendere ancor più disturbanti le atmosfere, creando un clima di febbricitante angoscia e insinuandosi nella struttura portante dei pezzi, quasi a confondersi con il suono dei synth. In conclusione, dire se 'Kampf' sia o meno un capolavoro non risulta affatto semplice, ma una cosa è certa, la stella dei Tronus Abyss brilla oggi di una luce nuova e più splendente. A voi il compito di volgere in alto lo sguardo e saperla scorgere. (Roberto Alba)

(Pagan Moon Organization - 2003)
Voto: 75

https://myspace.com/tronusabyss

venerdì 20 gennaio 2017

Theatres des Vampires - Bloody Lunatic Asylum

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic Metal
Devo ammetterlo, non sono mai andato pazzo per la musica dei Theatres Des Vampires, una formazione che calca la scena metal da oltre vent'anni ma che prima d'ora non si era resa protagonista di lavori esaltanti; i primi due album infatti ('Vampyrisme...' del '96 e 'The Vampire Chronicle' del '99), pur essendo ben suonati e supportati da un discreto livello compositivo, mancavano, a mio avviso, di quella brillantezza che li facesse emergere dalla mischia, brillantezza che però è magnificamente espressa nel loro terzo album, 'Bloody Lunatic Asylum'! A risollevare le sorti dei Theatres des Vampires è proprio questo disco, prodotto da Tim Fraser (già produttore di Christian Death e Anathema) e pubblicato dalla Blackend, uno staff molto professionale che ha sicuramente aiutato la band a compiere il salto di qualità! Non fatevi ingannare però: a fare grande 'Bloody Lunatic Asylum' non è solo un produttore d'eccezione o una casa discografica potente, ciò che lo rende speciale è il valore degli undici brani in esso contenuti, tutti molto coinvolgenti e ricchi di nuove idee! Lord Vampyr e soci dimostrano di aver raggiunto un'invidiabile maturità compositiva e questa volta ci consegnano tra le mani un prodotto competitivo, un disco di sanguinario e dannato gothic metal, intriso di pazzia e perdizione, elementi che ricordano il famoso 'The Principle Of Evil Made Flesh' dei Cradle Of Filth, formazione alla quale la band italiana si avvicina, non tanto per lo stile, quanto per le atmosfere morbose e vampiriche che riesce a ricreare. Alle classiche black screams viene alternata una voce pulita che conferisce al lavoro un tocco di suggestiva teatralità mentre le tastiere di Necros giocano un ruolo dominante e si fondono a degli indovinatissimi cori polifonici (bellissima "Lilith's Child"!!). Frequenti sono anche le parti recitate da sensuali voce femminili, presenti anche nei cori e nell'evocativa chiusura affidata a "Les Litanies De Satan", song basata su Moonlight Sonata di Ludwig Van Beethoven. In definitiva, 'Bloody Lunatic Asylum' è un disco geniale ed ispirato che segna l'affermarsi sulla lunga distanza di una band che non ha mai mollato. (Roberto Alba)

martedì 28 giugno 2016

Suicide Commando - Axis of Evil

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: EBM
Era il 2003 quando mi ritrovai tra le mani il nuovo album di Suicide Commando, senza ombra di dubbio l'uscita discografica che quell'anno attendevo con maggior impazienza! Vi posso assicurare che fu veramente sorprendente ciò che Johan Van Roy era riuscito a fare in 'Axis of Evil', un album che ad un primo ascolto poteva anche sembrarvi molto diverso dalla precedente produzione dell'artista belga. In particolare con 'Construct Destruct' e 'Mindstrip', Johan ci aveva infatti abituato ad una forma di EBM talmente personale ed inconfondibile che ogni singolo aspetto della sua musica sembrava perfetto esattamente così com'era, senza bisogno di cambiar nulla e senza che nessun fan si fosse mai aspettato in verità alcun stravolgimento di sorta. Suicide Commando rientrava insomma in quella categoria di progetti musicali ai quali non chiedi altro che i soliti ingredienti per rimanere soddisfatto, come se la forte dipendenza da una formula ormai ben consolidata e familiare ti facesse apparire poco attraente qualsiasi prospettiva di cambiamento. Così anch'io ho dovuto ascoltare 'Axis of Evil' alcune volte prima di riuscire ad abituarmi alla sua diversità che, seppure non eclatante, si poteva sicuramente avvertire in una maggior varietà delle vocals, in una produzione più morbida e soprattutto nella tendenza dei brani ad assumere una struttura più complessa che in passato. Il risultato fu un'apertura intelligente verso un suono che legava violenza e melodia dosando entrambe in quantità pressoché perfette ed eccedendo nell'una o nell'altra solamente quando ne convenisse ad un effetto complessivo di immediatezza, la quale sarebbe stata difficile da ottenere se non fosse che il responsabile di tali equilibri era un musicista con alle spalle già un'esperienza più che decennale nell'ambito dell'elettronica. Quello di 'Axis of Evil' era un flusso ininterrotto ed avvolgente di beat che instaurava un dialogo continuo con i vari campionamenti utilizzati e con le urla rabbiose di Joahn, il quale alternava alla sua tradizionale prestazione vocale inedite vocals robotiche che meglio si adattavano alla vena dance-floor di episodi quali "Face of Death", "Reformation" o "One Nation Under God". Trovo non vi sia nulla di studiato o di "sornione" nell'accessibilità di questi brani moderati ed orecchiabili, ma vi si intraveda piuttosto il desiderio di voler allargare lo spettro emozionale della propria musica su un campo più vasto, che potesse ricoprire una varietà di umori differenti. La fusione tra linee di basso distorte e pesantissime percussioni non venne comunque relegata in secondo piano trovando il suo sfogo più aggressivo in "Plastik Christ", il cui testo confermava ancora una volta la posizione fortemente critica di Johan nei confronti della religione. Ma il concept lirico dell'album affrontava in maniera dura e provocatoria numerosi altri argomenti d'attualità per l'epoca, dal tema del suicidio fino a quello spinoso dell'allora situazione politica internazionale. Non so se fosse corretto chiamarlo capolavoro, le premesse c'erano comunque tutte! Io non posso fare altro che consigliarne l'ascolto a tutti coloro che non conoscono Suicide Commando e a farsi conquistare da 'Axis of Evil', avvicinandosi in questo modo all'esempio forse più attendibile e convincente di quale significato assumesse il termine EBM nel 2003. (Roberto Alba)

(Dependent Records - 2003)
Voto: 85

http://www.suicidecommando.be/

sabato 26 dicembre 2015

Thee Maldoror Kollective - New Era Viral Order

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Che i Maldoror fossero una band fuori dal comune lo si era già capito quando nel 1998 uscì il loro debutto 'Ars Magika', ma il black metal degli esordi, seppure non scevro di alcune contaminazioni di ritual-ambient, ancora non lasciava trasparire quelle evoluzioni sbalorditive che il gruppo avrebbe intrapreso in futuro. Nella metà del 2001, il secondo capitolo discografico 'In Saturn Mystique', giungeva invece come una rivelazione e metteva completamente a nudo lo straordinario talento della band torinese, sincretizzando, in un'unica formula, intricate e violente partiture black metal con suggestive esplosioni electro-wave che toccavano spesso il limite del progressive. Dopo il cambio di monicker in Thee Maldoror Kollective (che sottolinea un nuovo assetto del gruppo, teso alla collaborazione con altri progetti extramusicali), uscì il terzo full-length 'New Era Viral Order', un concept sul 'Liber Al vel Legis' di Aleister Crowley che voleva approfondire il complesso tema dell'insediamento del Nuovo Eone di Horus: il simbolo di una nuova consapevolezza e della centralità dell'uomo nell'universo. Da sempre seriamente coinvolti in studi e pratiche magistiche, i Maldoror non abbandonano quindi il loro itinerario artistico fatto di cultura esoterica e danno vita ad un'opera ambiziosa ed innovativa che si priva del sostrato mistico e spirituale. Rispetto al precedente 'In Saturn Mystique', il nuovo album si spoglia dei connotati intransigenti del black metal e prende il largo verso una sperimentazione più audace (che sarà ancor di più enfatizzata nei successivi album), contraddistinta dalla ricerca di un continuo dinamismo sonoro e di un ritmo ipnotico. Terremotanti riff di chitarra in stile 'Demanufacture' si incastrano in un tessuto sonoro complesso, fatto di ruvidi beat industriali e dalle tastiere ispirate di Evanghelya, musicista con un gusto compositivo affascinante ed insolito, sempre a cavallo tra le ambientazioni sinistre di Goblin e Jacula e la trascinante modernità dell'EBM più corrosiva. Le parti vocali del leader Kundahli mantengono la brutalità dei precedenti lavori ma vengono sporadicamente filtrate da un effetto robotico che dona un'impronta ancor più sintetica al suono. Da segnalare anche l'elegantissimo digipack, la prestigiosa partecipazione degli MZ412 con il remix di "Epidemic Noise Age" e per finire gli episodi che a mio avviso sono tra i più intensi dell'album: "Xaos DNA Released", "Haemorrhage Transmission", "Rhytmagick Disturbance" e "Slaughter Mass 2002", flussi di energia invisibile e scardinante che si insinuano come un virus nel subconscio, tutti brani che attraverso la sperimentazione rivendicano comunque una forte appartenenza al metal estremo. Seguite dunque il mio consiglio: recuperate 'New Era Viral Order' e lasciatevi avvolgere dal Chaos. (Roberto Alba)

venerdì 25 dicembre 2015

The Frozen Autumn - Emotional Screening Device

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Cold Wave
Non nascondo che provai un po' di dispiacere quando qualche tempo fa mi giunse la notizia della separazione del duo torinese formato da Diego Merletto e Claudio Brosio, che con i primi due album 'Pale Awakening' e 'Fragments of Memories', avevano permesso al nome The Frozen Autumn di affermarsi come uno tra i più interessanti nella scena dark-wave del nostro paese. Fortunatamente tale separazione non comportò anche il termine dell'attività artistica di Diego, che decise nel 1998 di continuare da solo nel suo progetto e di affrontare assieme alla cantante Arianna un percorso più sperimentale con gli Static Movement. E fu proprio dall'incontro di Diego e Arianna che ripartì il nuovo cammino dei Frozen Autumn, che nel 2002 tornarono con il loro terzo lavoro 'Emotional Screening Device', un album che parve aver assimilato gli stessi elementi di synth-pop presenti nel notevole 'Visionary Landscapes' (primo album degli Static Movement, uscito per Eibon Records nel 1999). È un tocco magico quello dei Frozen Autumn, che rapisce con le sue fredde melodie e cattura l'ascoltatore per più di un'ora in un'atmosfera irreale, dove si risvegliano emozioni nostalgiche e i ricordi del passato ci appaiono così nitidi e frammentati allo stesso tempo. Solamente gruppi come Talk Talk, Alphaville, Eurythmics e Depeche Mode hanno saputo ricreare con pari abilità armonie tanto incantevoli e, non a caso, gli 11 brani presenti nell'album, attingono a piene mani proprio dalla new wave, rivisitando nella maniera più attuale e raffinata il suono delle band che negli anni '80 resero così popolare questo genere. Abbandonata dunque l'impronta romantica dei precedenti lavori, l'elettronica del gruppo si riveste di sonorità più gelide e taglienti, supportate da ritmi danzabili veramente piacevoli e dalle voci eteree di Diego e Arianna, che si alternano nel cantare i vari brani. Vi basterà ascoltare "Silence is Talking", "When You are Sad", "Verdancy Price" e "Second Sight (A)" per avere conferma del valore di un album che non necessita di ulteriori elogi, ma solo di un un ultimo invito, rivolto a chi leggerà queste righe, ad avvicinarsi alla musica dei Frozen Autumn e lasciarsi conquistare. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2002)
Voto: 80

https://www.facebook.com/TheFrozenAutumn/

lunedì 31 agosto 2015

Stin Scatzor - Industrogression

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Industrial, Ministry, Killing Joke
Grazie all'etichetta polacca Black Flames Records ha visto la luce l'album degli Stin Scatzor, terzo ed ultimo capitolo di una trilogia sulla musica industriale, cui il gruppo belga diede inizio nel 1998 con l'uscita del minicd 'Industronic'. Per chi non avesse grande familiarità con la musica degli Stin Scatzor, vi basti sapere che la mente del progetto, Stefan Bens, vanta una carriera musicale ultra decennale, sviluppatasi attraverso la gavetta dei demotape e legata da un rapporto di stretta amicizia con Johan Van Roy dei Suicide Commando (con il quale Stefan fondò anche il progetto Lescure 13 agli inizi degli anni '90). Ispirato dal suono di band come Front 242 e Klinik, il musicista belga giunge solo nel 2000 alla pubblicazione del primo full-length 'Industrology', un album che mediante l'appoggio della Out of Line riesce subito ad attirare l'attenzione sul progetto Stin Scatzor, descritto dai fan e dalla stampa come uno degli act più aggressivi all'interno del panorama industrial/EBM. Dopo l'approdo alla Black Flames Records, Stefan uscì nuovamente allo scoperto con il terzo lavoro 'Industrogression', album segnato dall'ingresso in formazione del chitarrista Kris Peeters. Le chitarre assumono dunque un ruolo basilare nell'economia dei nuovi pezzi, arricchendo notevolmente l'originaria ossatura elettronica e spostando l'anima compositiva del gruppo sul terreno del "crossover". Per quanto quest'ultimo termine possa apparire desueto, è indubbio che nomi come Ministry, Nine Inch Nails e Killing Joke abbiano rappresentato dei reali punti di riferimento nella coesione dei brani ivi contenuti, i quali si mantengono in bilico tra le incursioni di synth acidi e il robusto sostegno di granitici riff di chitarra. A completare questa proposta musicale dall'identità ibrida, giunge infine la voce abrasiva di Stefan, che nei testi canta rabbiosamente di industrie chimiche, guerre nucleari e di un'umanità al suo capolinea. Tra i brani più indovinati posso certamente segnalare "It Doesn't Matter", il remake di "Vernix Caseosa" e "Morphine", ma non tutto il cd si mantiene sullo stesso livello, evidenziando alcune cadute di tono in episodi dal taglio un po' grossolano come "(I Know) You Dislike Me" e "Sweet Hell". In conclusione un buon lavoro cui vale la pena dare una chance ma, si presti attenzione, nulla di fondamentale. (Roberto Alba)

(Black Flames Records - 2003)
Voto: 65

sabato 29 agosto 2015

The Entity - Salt

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Goth-Rock, Katatonia
Ancora un tuffo nel passato per scoprire quel che fu un discreto esordio datato 2003: sto parlando dei norvegesi The Entity, band originaria di Bergen che vantava già all'epoca del debutto un seguito apprezzabile in madre patria e si è affacciata al mercato discografico con l'EP 'Salt'. La biografia citava come punti di riferimento gruppi quali Anathema, A Perfect Circle e Katatonia, descrivendo in modo abbastanza calzante il genere suonato dai nostri, ovvero un gothic-rock malinconico tinto di tenui colori autunnali. Il riferimento ai gruppi appena menzionati costituisce una base costante cui i The Entity sembrano essersi ispirati nella stesura dei brani ed è in particolare il nome dei Katatonia ad emergere palesemente durante l'ascolto del mini cd. Peccato che quest'ultimo aspetto rappresenti anche il limite più evidente della band, che pur offrendo un'esecuzione ineccepibile, mette a nudo la natura ancora troppo derivativa del proprio suono. In ogni caso i The Entity non sono un gruppo da bocciare e 'Salt' va inteso soprattutto come un punto di partenza dal quale sviluppare un'identità musicale propria, considerata la giovane età dei sei musicisti. Le premesse non mancano, a partire dalle qualità canore del cantante Håkon Viken, abile nell'interpretare in maniera sempre appropriata l'umore momentaneo della musica e nel modulare la voce su un'ampia gamma di tonalità. Non è da meno la sezione strumentale, che vede affiancare alle classiche partiture rock, l'uso del piano e degli strumenti ad arco. Si ascolti per esempio la traccia di apertura "Salt", un ottimo esempio di come il violoncello e il violino si integrino perfettamente nella struttura musicale e ne arricchiscano l'anima melodica. Da ascoltare anche la versione acustica dello stesso brano e l'ottima cover dei Seigmen "Nemesis", in cui il gruppo dà veramente il meglio di sè, dimostrando di saper anche scuotere con decisione l'ascoltatore, quando necessario. Peccato solo che questo rimanga un episodio isolato della discografia dei nostri, scioltisi dopo l'uscita di questo EP. Un peccato! (Roberto Alba)

(Rage of Achilles - 2003)
Voto: 65

https://www.facebook.com/theentitynorway

lunedì 24 agosto 2015

The Black - Golgotha

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock
Mario Di Donato è un artista dall'esperienza che supera i 40 anni all'interno dei circuiti hard rock italiani. Attraverso le varie formazioni di cui ha fatto parte sin dagli anni '70 (Respiro Di Cane, Unreal Terror, Requiem) e la sua creatura più importante a nome The Black, si è costruito attorno a sé la fama di personaggio di culto. Quest'aura affascinante e misteriosa che avvolge il chitarrista abruzzese nasce dal suo modo unico di concepire ARTE e MUSICA, entrambe connotate da una forte teatralità e indissolubilmente legate a temi di carattere religioso. Ad avvalorare la singolarità della sua proposta musicale, contribuisce in parte la scelta coraggiosa di cantare in italiano e latino fin dagli esordi ma anche l'intento ammirevole di unire la CULTURA al metal, in modo che testi, musica e immagini facciano parte di un unico corpo. Mario Di Donato, oltre ad essere un musicista di valore, è anche un pittore molto apprezzato a livello internazionale, ogni disco uscito per The Black infatti, raffigura sulla copertina i suoi dipinti e così è anche per 'Golgotha', sulla cui front-cover possiamo ammirare 'Post Mortem', la deposizione di un Cristo attorniato dai volti ambigui e traditori dei suoi carnefici. 'Golgotha' è appunto il monte dove fu ucciso Gesù Cristo, è il simbolo della sofferenza e del dramma umano ma anche il proseguimento di un viaggio all'interno di se stessi, una ricerca spirituale che l'artista abruzzese cominciò tanti anni fa. 'Golgotha' nasce dal dolore e lo sdegno per chi calpesta la vita con la violenza, è l'esplosione emotiva di un uomo sensibile e tormentato, che si trasforma in una denuncia verso questo "mondo di fango". Un hard rock dalle tinte molto oscure si potrebbe definire lo stile del sesto album di The Black (ormai datato 2000), un'opera raffinata dal suono un po' retrò, con i riff più freschi dell'heavy metal anni '80 e le inevitabili influenze dei seventies (nel cd è presente anche "Sospesa A Un Filo", cover dei Rovescio Della Medaglia e "Il Giudizio", un rifacimento di un brano dei Corvi). Gli assoli ispirati della title-track e di "Ivstitia" (che per la loro bellezza varrebbero da sole l'acquisto del disco), la voce inconfondibile ed "imperfetta" di Mario e le tastiere usate in chiave organistica, sono tutti elementi che fanno di 'Golgotha' un album imperdibile! Fondamentale per chi segue già da anni The Black ma anche l'occasione ideale per scoprire un artista a tutto campo che il grande pubblico metal ha malauguratamente da sempre ignorato. (Roberto Alba)

(Black Widow - 2000)
Voto: 85

Skinny Puppy - The Greater Wrong of the Right

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Elettronica/EBM
Dopo lo scioglimento del 1995 e la morte per overdose di Dwayne Goettel nello stesso anno, erano in molti a chiedersi cosa ne sarebbe stato degli Skinny Puppy e se l'uscita dell'album 'The Process' avrebbe veramente posto la parola fine alla carriera artistica del gruppo canadese. Persino dopo il famoso concerto di Dresda nel 2000, in occasione del quale cEvin Key e Nivek Ogre si riunirono per suonare davanti ad un pubblico in delirio, i fan non riuscivano a credere fino in fondo ad una reunion che avrebbe portato ad una collaborazione stabile tra i due, tanto da rendere possibile la pubblicazione di un nuovo album in studio. Quando poi fu annunciata l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right', anche i più scettici dovettero ricredersi: la leggenda Skinny Puppy stava per tornare! Atteso dalla scena elettronica come l'evento più importante del 2004, l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right' fu accompagnata dalle inevitabili discussioni sulla validità o meno dell'album, disponibile in rete già da molte settimane prima del lancio ufficiale. Chi si è affrettato a definirlo un capolavoro e chi si è invece dichiarato contrario ad una continuazione degli Skinny Puppy senza Goettel, bocciando il disco ancora prima di averlo ascoltato. Insomma, le solite e comprensibili battaglie che hanno sempre accompagnato tutte le grandi reunion della storia della musica. Come accade spesso in questi casi la verità sta nel mezzo, perché 'The Greater Wrong of the Right' non è né un capolavoro, né l'album più brutto che i Puppy abbiano composto. Molto più semplicemente, si tratta di un lavoro diverso da quanto i fan potevano aspettarsi e questo gioca perlomeno a favore del gruppo, che ha dimostrato di tornare sulla scena per proporre qualcosa di nuovo e spiazzante, non certo per riciclarsi miseramente in nome del proprio conto in banca. Dimenticate 'The Process' e preparatevi ad ascoltare un album fresco e al passo con i tempi dell'epoca! Aspettatevi una prova al microfono profondamente distante dalle contorsioni a cui Ogre ci aveva abituato e non indignatevi se le sue accelerazioni vocali in "Pro-Test" assomiglieranno tanto a quelle rappate di un brano hip-hop, perché di hip-hop non si tratta. Lanciatevi senza alcuna remora nell'ascolto di "GhostMan", con le sue ritmiche spezzate, il caotico accavallarsi dei beat, le vocals di Ogre che improvvisamente rimandano alle deliranti performance del passato. Sbagliava chi temeva di trovarsi dinnanzi ad una banale ed infelice mescolanza degli stili espressi da Nivek e cEvin nei rispettivi progetti solisti, ma è anche vero che due brani così frizzanti come "Goneja" e "DaddyuWarbash" non sarebbero mai nati se negli ultimi anni i due musicisti non avessero dato sfogo alle proprie pulsioni artistiche separatamente. Gli Skinny Puppy del 2004 puntano ad un songwriting imprevedibile e ad una discreta presenza delle chitarre, ma senza mai avvicinarsi all'irruenza che contraddistingueva 'The Process'. La band aveva fame di novità, con la voglia di scrollarsi di dosso qualsiasi etichetta di genere, buttandosi a capofitto in una composizione estremamente libera e acquistando una visione del termine "elettronico" che prima d'ora non era mai stata così eclettica. A tal proposito, davvero emozionanti le lisergiche virate di "EmpTe" e "Past Present", entrambe costruite sulla ricerca del coro ad effetto, inserito in un tessuto di synth ipnotici che invitano mente e corpo ad abbandonarvisi totalmente. 'The Greater Wrong of the Right' è comunque un album spettacolare come e consentì di avere nuovamente tra noi il formidabile genio di cEvin Key e Nivek Ogre a mantenere vivo il nome degli Skinny Puppy... non cosa da poco. (Roberto Alba)

(Synthetic Symphony/SPV - 2004)
Voto: 80

mercoledì 29 luglio 2015

Swallow the Sun - The Morning Never Came

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom, Saturnus, My Dying Bride
Il 2003 segna l'anno d'esordio per gli Swallow the Sun, sestetto finlandese all'attivo già con un demo dal titolo 'Out of This Gloomy Night' e ora al debutto ufficiale con 'The Morning Never Came', all'insegna di un doom-death estremamente pesante. L'incedere lento dell'opener "Through Her Silver Body" dà subito una traccia della direzione musicale intrapresa dal gruppo, la cui devozione verso certe atmosfere angosciose e opprimenti in stile My Dying Bride, viene espressa in maniera più che esaustiva lungo tutti gli otto brani che compongono il cd. L'estenuante traccia d'apertura riesce a metterci seriamente a dura prova, ma è già con la successiva "Deadly Nightshade" che il guitar-work si assesterà su dinamiche più varie, il ritmo si fa incalzante e l'esplosione di synth "orchestrali" nel finale, accendono un interesse, ad un primo ascolto, insperato. Notevole anche l'evolversi in crescendo di "Out of This Gloomy Light" che vede ancora partecipi le chitarre con un assolo di pregevolissima fattura. 'The Morning Never Came' è un viaggio afflitto dal peso insostenibile della propria debolezza, un peregrinare sofferente su sentieri ostili lungo i quali gli Swallow the Sun intendono guidarci, condividendo il nostro fardello, ma non c'è solo buio nella musica di questi finlandesi; addentrandovi tra le note di "Swallow" e "Silence of the Womb" troverete anche aperture più ariose, dove un cantato pulito e melodioso va ad alternare il classico growling. Gli elementi sono quelli tipici del doom-death: un muro di chitarre dal riff granitico, tastiere maestose e una voce cavernosa sempre in primo piano, nulla di realmente originale o sconvolgente! Ad ogni modo quello che poteva essere un disco come tanti, dove la noia rischia di sopraggiungere rapida e implacabile dopo pochi minuti d'ascolto, si è rivelato invece un debutto più che dignitoso, che segnerà l'ascesa di un'ottima band. 'The Morning Never Came' magari troverà difficilmente un pubblico al di fuori del suo genere ma per chi ha apprezzato le gesta di Unholy, Saturnus e primi Katatonia potrà indubbiamente costituire un ascolto interessante. (Roberto Alba)

(Firebox Music - 2003)
Voto: 75

giovedì 28 maggio 2015

This Empty Flow - Nowafter

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark Sperimentale, Radiohead
Nati nel 1994, dalle ceneri degli storici doomster finlandesi Thergothon, i This Empty Flow hanno avuto vita breve se pensiamo che già nel 1997 venne posta fine al progetto. Un vero peccato, dato che in soli tre anni di attività i This Empty Flow hanno saputo comunque scrivere delle pagine di importanza non marginale all'interno del vasto panorama musicale underground e con una classe così unica che oggi il loro nome ha lasciato il segno. La formazione, composta inizialmente dagli ex-Thergothon Jori Sjöroos (voce/chitarra) e Niko Sirkiä (tastiere), fu presto affiancata dal bassista Aku-Tuomas e nel marzo del 1996 debuttò per la nostrana Avantgarde Music con 'Magenta Skycode', un album stupendo che a causa di una scarsa promozione passò purtroppo "in sordina" e non ottenne così l'attenzione che avrebbe meritato. Il successivo 'Three Empty Boys' non ebbe sorti migliori e fu pubblicato dalla Plastic Passion solo nel 1999, quando il gruppo era ormai sciolto. Questa raccolta, uscita per l'italiana Eibon Records nel 2001, racchiude sei brani fino ad allora inediti, cinque già contenuti nel secondo album 'Three Empty Boys' e tre tratti da 'Useless and Empty Songs', un cd-r realizzato nel 2000 sempre dalla Plastic Passion nella limitatissima quantità di 111 copie. Il cd si apre con le sei registrazioni inedite (ultime composizioni del gruppo risalenti all'estate del 1997), che oscillano tra sonorità alla Radiohead e sfumature trip-hop; ne sono un esempio il bellissimo brano d'apertura "Je(n!)i Force", in cui violino e chitarra accompagnano l'incedere lento e ritmato del pezzo e "Marmite", inframmezzata da insolite parti rappate. Dopo gli accenni psichedelici di "Stilton" è la volta delle melodie dilatate di "Shoreditch", tra le quali affiora lo spettro dei Pink Floyd e dove timidi arpeggi di chitarra sostengono la vocals sommesse di Jori. In "And also the Drops", rifacimento del brano "Drops", emerge un gusto pop accostabile ai primi Suede, mentre in "Ashby-de-la-Zouch" i toni gravi e drammatici degli strumenti a fiato si diffondono tra una voce sospesa e i riverberi di liquidi synth. Con "One Song of Solitude" l'influenza The Cure si fa abbastanza evidente e ci trascina in uno stato di abbandonica e piacevole malinconia, sensazione che ci avvolge anche in "Angel's Playground" e in "Dubby", dove le melodie struggenti della chitarra colorano i nostri pensieri delle sfumature più cupe. Fragili, malinconici e toccanti, i settanta minuti di musica contenuti all'interno di 'Nowafter', sono il testamento di una band che ha avuto poca fortuna nella sua breve carriera, rendiamo allora un giusto tributo ai This Empty Flow, facendo nostra questa bellissima raccolta e non dimenticandoci di loro. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2001)
Voto: 85

mercoledì 13 maggio 2015

Septic Flesh - Sumerian Daemons

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death Symph.
Ammetto di non essere mai stato un grande fan dei Septic Flesh: ho sempre pensato che la band greca proponesse qualcosa di valido ed interessante ma non ho mai trovato la loro musica così entusiasmante da considerarli come un nome fondamentale. Ciò non toglie che io abbia comunque seguito con attenzione la loro crescita attraverso gli anni, a partire dai primi lavori 'Mystic Places of Dawn', 'Esoptron' e 'Ophidian Wheel', fino ad arrivare a 'A Fallen Temple' e 'Revolution DNA'. Assieme a Rotting Christ, Necromantia e On Thorns I Lay, i Septic Flesh hanno sicuramente contribuito in maniera importantissima a far crescere la scena metal ellenica e questo è un merito che va loro riconosciuto; credo tuttavia che a partire da 'A Fallen Temple' si fossero evidenziate le prime avvisaglie di un certo immobilismo compositivo. Persino il tentativo di "restyling" attuato con 'Revolution DNA' mi era sembrato un po' maldestro, tanto che cominciai a pensare che la band avesse veramente detto tutto e che non sarebbe più emersa dal suo status di band underground. Mi sbagliavo! Sì, perché 'Sumerian Daemons' è un disco incredibilmente fresco e coinvolgente, un album che colpisce nel segno laddove 'Revolution DNA' aveva in parte fallito. È dunque con questa sesta fatica che i Septic Flesh raccolgono una rinnovata opportunità di evoluzione del proprio sound e dimostrano di saper gestire con maggior destrezza e padronanza quegli sporadici inserti elettronici già abbozzati in precedenza. Il risultato è dei più esaltanti: un sulfureo death-black sinfonico dai cori polifonici imponenti, che alterna parti più rallentate e dal flavour gotico ad altre che tramortiscono per la loro brutalità. Inutile citare un brano in particolare, perché tutti i tredici pezzi sono irresistibili. Ci tengo solamente a sottolineare come la band abbia raggiunto con questo lavoro una formula compositiva invidiabile che dona scorrevolezza all'insieme e mantiene sempre desta l'attenzione sui continui climax sonori che prendono forma durante l'ascolto. I ruggiti di Spiros che incontrano la voce della soprano Natalie Rassoulis, le partiture sinfoniche che, unite alle numerose finezze elettroniche, abbracciano la possenza delle chitarre: ogni elemento di 'Sumerian Daemons' è un incantesimo che dà vita a contrasti in equilibrio perfetto. Tra violenza e melodia, tra sfuriate selvagge ed elegiaci canti profani. Datemi ascolto quando vi dico che 'Sumerian Daemons' è un album da avere... lasciatevi travolgere e non ve ne pentirete. (Roberto Alba)

(Hammerheart Records - 2003)
Voto: 80

sabato 7 dicembre 2013

Skogen - Eld

#PER CHI AMA: Epic Black Metal Borknagar, primi Ulver, Enslaved
Se nella nota trasmissione televisiva 'Le Iene' fanno l'intervista doppia, non vedo perchè nel 'Pozzo dei Dannati' non possiamo concederci il lusso della recensione doppia. Se il disco in questione è poi un gran lavoro di black epico e progressivo, perchè mai negarsi questa possibilità. 'Eld' è la terza fatica degli Skogen, che conferma quanto fatto finora di buono dalla compagine svedese. Le danze si aprono con la cadenzata "Djävulens Eld", song ispiratissima soprattutto nella sua componente acustico/atmosferica, piuttosto che nella sua parte più tirata (dal forte sapore old-school), con forti richiami all'epico sound dei Bathory di 'Hammerheart' o agli esordi dei Borknagar, mentre nelle ritmiche, inevitabile penso che sia il confronto con gli Enslaved degli ultimi lavori. Ottimo comunque come biglietto da visita. La successiva "Apokalypsens Vita Dimma" conferma le mie impressioni iniziali: a livello di rifferama siamo assai vicini (talvolta pure troppo) alla matrice musicale di Ivar e compagni, mentre è nelle parti più melodiche e d'atmosfera che il terzetto di Växjö supera se stesso, offrendo scorci di musica pagana davvero edificanti per il mio spirito. Le evocative vocals del duo Joakim e Mathias riescono poi a trasmettere tutto l'amore dei nostri per la tradizione culturale scandinava. Ma vado avanti e mi lascio ipnotizzare dall'incedere marziale dell'oscura "Genom Svarta Vatten", song che ha il grosso merito di raggelare il sangue nelle mie vene, per quel suo incedere funesto, non scevro da un assalto frontale nella sua seconda metà, in cui emerge anche una tecnica affatto male, in un assolo non proprio di lunga durata, ma che apre ad un semplice, quanto mai splendido, arpeggio da brivido. Rapito dalla classe dei nostri, me ne fotto semplicemente se la band possa assomigliare a questa o quell'altra band di turno. Questo è il momento degli Skogen: i Bathory ci hanno lasciato, i Borknagar stanno percorrendo un cammino diverso e nell'Olimpo del black pagano dalle tinte progressive, accanto agli Enslaved, possono tranquillamente sedere gli Skogen. Splendida la strumentale "Nihil Sine Morte" per quel sentimento di profonda solitudine che riesce ad imprimermi nell'anima: calda e fluida emozionalità, in cui il forte pulsare del basso (vero protagonista del cd) e le malinconiche linee di chitarra, scuotono in un qualche modo, il mio cuore. Strano a dirsi quando si parla di black metal, ma questa è pura poesia, come poco spesso se ne è sentita in giro. Dopo questa breve parentesi, le nubi si addensano sopra la nostra testa con "Aska" con le vocals caustiche a prendersi la scena, costantemente minacciate dal basso tonante di Joakim e dallo squarcio di un nuovo assolo. I toni si fanno drammaticamente feroci, l'atmosfera si fa più sulfurea e la proposta degli Skogen appare ora avvolta da un'inattesa aura di malvagità, che mai prima d'ora avevo scorto nelle note dei nostri e che lentamente divampa nei pezzi successivi, fino al lunghissimo epilogo della glaciale "Monolit" che conferma la band svedese come unica e vera alternativa agli dei Enslaved. Eroici! (Francesco Scarci)

(Frostscald Records)
Voto: 80

Giunti al loro terzo lavoro in studio, gli svedesi Skogen riconfermano quanto di buono avevano già espresso in passato, affermandosi come una delle band più interessanti che il panorama estremo abbia da offrire tra i nuovi talenti. Non vi sono virate stilistiche rispetto ai precedenti lavori, per cui il genere proposto rimane saldamente ancorato ad un black metal dal respiro pagano. Quel che invece risulta maturata è la capacità di elaborare arrangiamenti più ricercati, che aggiungono maggior forza espressiva alle nuove composizioni. “Eld” ha tanto il sapore di un album uscito alla metà degli anni ’90, per cui non vi sono commistioni ibride tra generi, nessun tipo di azzardo avanguardista, né tantomeno la ricerca di un sound che a tutti i costi debba apparire originale. Anzi, la scrittura dei pezzi è piuttosto lineare ed è proprio in questa semplicità che gli Skogen hanno trovato la loro dimensione più consona, riuscendo a catturare l’attenzione con il solo tocco di un arpeggio o la leggerezza di una melodia ben costruita. È il caso di “Djävulens El”, il brano di apertura, che lascia trapelare immediatamente una discendenza diretta dalla scuola norvegese, restituendoci come un'eco, i fragori dei primi Ulver o dei Borknagar. A questo punto sorge il dubbio se gli Skogen appartengano alla cerchia dei cosiddetti gruppi derivativi, ma se anche fosse, ciò non va minimamente ad intaccare la solidità dell’album, che reclama un valore artistico autonomo, attraverso una collezione di brani realmente ispirati. Si prendano i cori vichinghi di “Apokalypsens Vita Dimma”, la parentesi acustica di “Genom Svarta Vatten” o il tappeto di tastiere di “Svavelpsalm”: sebbene diversi elementi di “Eld” tendano ad evocare un black metal dallo stile già ampiamente sfruttato, l’effetto “deja-vu” risulta comunque piacevole. Tra l’altro ogni passaggio è suonato in maniera ineccepibile, per cui non dispiace affatto compiere questo balzo all’indietro di quasi vent’anni. In “Aska”, ad esempio, risulta facile soffermarsi su dei giri di basso così ben cesellati tra le ritmiche mid-tempo o immergersi nella grandeur epica dell’assolo. Facile come perdersi nella strumentale “Nihil Sine Morte”, sognando le foreste innevate del grande nord. E se alla fine ci si riscopre nostalgici, non è poi così grave, no? (Roberto Alba)

(Frostscald Records)
Voto: 75

http://www.facebook.com/skogensweden