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venerdì 27 ottobre 2023

Lunar Tombfields - An Arrow to the Sun

#PER CHI AMA: Post Black
Tornano i francesi Lunar Tombfields (LT) dopo l'esordio dello scorso anno che non avevo proprio trattato benissimo. Speriamo che con questo 'An Arrow to the Sun' i due musicisti d'oltralpe possano rifarsi e farmi quindi rivalutare la loro proposta. Il disco si apre con una blanda intro atmosferica che ci introduce a "Solar Charioteer", song che sottolinea immediatamente come i pezzi del nuovo capitolo siano relativamente più brevi (8-9 minuti) rispetto a quelle maratone musicali in cui ci eravamo imbattuti lo scorso anno. La traccia comunque si affida a delle ritmiche melodiche (un filo depressive) su cui si addensano i vocalizzi di M. e in cui i nostri provano anche a dar spazio a partiture atmosferiche che dovrebbero affiancarsi a quel rigore glaciale che avevo riscontrato nella precedente release. Ecco, dovrebbero, perchè anche in questo caso non ci trovo molto calore nella proposta del duo transalpino, fatto salvo per quegli intermezzi più composti da cui ripartire con la furia iconoclasta che continua a caratterizzare i LT. "Représailles" prova a partire con meno spinta propulsiva, infarcendo il tutto con un filo di melodia in più, cupa e malinconica, che prova a stemperare quei momenti piuttosto canonici di mistura tritasassi che tende ad esasperare la proposta della band. Apprezzabile comunque quella continua ricerca di melodia nelle linee di chitarre, un assemblare sprazzi di atmosfera quasi al limite del death/doom che potrebbero accostare il suono del duo anche a quello più atavico dei Deafheaven, che a mio avviso, rimangono comunque di un altro livello. Buono il tentativo di utilizzare poi dei parlati nei momenti più compassati che dimostrano comunque una certa progressione sonora in un cosi breve periodo di tempo. Non si perdono però le vecchie abitudini e "As Iron Calls, So Pile the Dreams" viene sparata a tutta forza con la sua caustica forza metallica, spezzata fortunatamente da un solenne ed emozionale break acustico verso il quinto minuto e che per un paio di giri d'orologio, ci coccola tra le sue calde braccia. "The Amber Her" ha un piglio più tribale nelle sue percussioni e non è affatto male, ma poi, eccole li, le scorribande nere come la pece, riprendono a correre verso le viscere della Terra accompagnate dalle abrasive vocals del frontman che solo nell'ultima "Le Chant des Tombes", prende il coraggio a due mani utilizzando un cantato pulito assai sofferto, su cui proverei a soffermarmi un po' di più in futuro, e rallentando ulteriormente le velocità del brano, ci regalano quello che è a parer mio, il miglior pezzo di un lavoro che mostra segni di progresso, ma non ancora sufficienti per farmi gridare al miracolo. (Francesco Scarci)

mercoledì 25 ottobre 2023

Afsky - Om Hundrede År

#PER CHI AMA: Depressive Black
Gli Afsky sono una one-man band danese guidata da Ole Pedersen Luk, che ha rilasciato quest'anno il nuovo album, 'Om Hundrede År', un'offerta inquietante e atmosferica, che ci immerge nella maestria musicale del mastermind nordico, sia per temi lirici che impatto generale sul genere. 'Om Hundrede År' mette in mostra il talento innegabile del polistrumentista nel creare paesaggi sonori cupi ed atmosferici sin dall'iniziale "Stormfulde Hav". L'album intreccia intricate melodie di chitarra, potenti percussioni e anche elementi ambient. Ogni traccia è meticolosamente arrangiata, permettendo alla musica di fluire e refluire, creando in tal modo un'esperienza coinvolgente per l'ascoltatore. Le voci inquietanti di Ole Luk aggiungono un'energia cruda e struggente all'insieme della composizione dell'album. Le sue urla angoscianti unite ad un cantato a tratti più melancolico, catturano perfettamente l'oscurità ed l'atmosfera introspettiva dell'album. Se poi ci mettete anche liriche profondamente radicate in tematiche di disperazione, isolamento e oscurità dell'esistenza, potrete lontamente immaginare con cosa avere a che fare. Tuttavia, i testi in danese, pur evocando un senso di nostalgia e introspezione, non ci aiutano a scoprire ulteriormente le sfumature qui contenute. Gli Afsky comunque provano a spingersi oltre i confini del black metal, offrendo una miscela di elementi atmosferici, melodie e aggressività pura che provano a distinguerlo nella vasta scena del black metal, esplorando nuovi territori ed emozioni con grazia ed intensità. Alla fine 'Om Hundrede År' è un'esperienza di black metal coinvolgente e al tempo stesso inquietante soprattutto laddove i nostri cercano di sedurci con chitarre acustiche (tipo la potente "Tid") o passaggi in tremolo picking che smorzano quel filo di brutalità che permea comunque l'album. (Francesco Scarci)

lunedì 25 settembre 2023

SVRM - .​.​. а с​м​е​р​т​ь в​в​і​й​ш​л​а у т​е​б​е в​ж​е д​а​в​н​о

#PER CHI AMA: Depressive Post Black
Avevo recensito lo scorso anno il loro vecchio EP, ‘Червів майбутня здобич’, ritorna oggi la one-man band ucraina di Kharkiv, con un nuovo brevissimo EP, ‘.​.​. а с​м​е​р​т​ь в​в​і​й​ш​л​а у т​е​б​е в​ж​е д​а​в​н​о’, la cui traduzione starebbe per ‘...e la morte è stata con voi per molto tempo’. Inevitabile che in queste parole si legga tutto il male che si sta perpretando in quelle terre nel conflitto russo-ucraino. Lo stesso male e dolore che ho sentito nelle note delle due song, “I” e “II”, che proseguono con quella mistura di post black, doom e parti atmosferiche che il buon Сергій Ткаченко (aka S., la mente dietro alla band) finisce per trasmettere lungo i sofferenti minuti di questa release. Nulla di nuovo dal fronte orientale, se non un depressive sound, soprattutto nella seconda “II”, che gronda rabbia nell’accelerazione post-black delle sue chitarre, disperazione dalle parti di tastiera e morte dalle grim vocals del mastermind ucraino, a cui dare sicuramente un significato e non lasciar scivolare via. (Francesco Scarci)

(Self – 2023)
Voto: 66

https://svrm.bandcamp.com/album/--11

martedì 8 agosto 2023

Gnot – Свет

#PER CHI AMA: Blackgaze
Dopo tre anni di silenzio, tornano i russi Gnot con il loro blackgaze. Solo un EP di due pezzi a disposizione del quintetto di San Pietroburgo, che aveva la curiosità di avere quattro dei cinque membri che si chiamano Sergey (ora ridotti a due). A parte la scarsa originalità nei nomi, la band sciorina in realtà un sound ricco di atmosfere e impennate post black che già dall’iniziale “Лёд”, ci deliziano con parti acustiche, furiose accelerate, screaming acidissimi, rallentamenti con cambi di tempo incorporati, ma anche una buona dose di melodia avvolta da quell’aura malinconica che da sempre contraddistingue le band di questo genere. Pur non proponendo nulla di innovativo e cantando per di più in russo, a me la band francamente piace, soprattutto per quella loro capacità nell’introdurre elementi non propriamente black, che conferiscono una certa ariosità al flusso musicale. E cosi anche “Свет” apre con un bell’arpeggio per poi liberarsi in un agguerrito riffing black, con tanto di dualismo nelle vocals, caustica la prima e pulita (ma più deboluccia) la seconda. Il sound è comunque solido e convincente, anche nelle parti più sognanti, il che non fa altro che alimentare il mio personale interesse verso il prossimo lavoro dei cinque musicisti russi. (Francesco Scarci)

(Self – 2023)
Voto: 70

https://gnotband.bandcamp.com/album/-

sabato 22 luglio 2023

Beenkerver – Twee Wolven

#PER CHI AMA: Epic Black
La saga delle one-man-band prosegue e questa volta ci conduce nel mondo di Beenkerver (all’anagrafe Niels Riethorst), polistrumentista originario di Gelderland, nei Paesi Bassi. Dopo il disco d’esordio uscito lo scorso anno, ‘Ontaard’, il mastermind olandese, in compagnia del batterista Nico de Wit (Alvader, Bezweing), torna con un nuovo EP di tre pezzi, ‘Twee Wolven’. La proposta della band ci porta nei paraggi di un black metal ispirato, melodico, e stranamente interessante, visti i contenuti alquanto scontati della proposta. Il concept del dischetto è legato ai racconti dei vecchi nativi americani e alla lotta simbolica tra due lupi che in realtà rappresentano le emozioni che albergano dentro ognuno di noi, l’uno collegato ad emozioni cattive (l’odio, l’invidia, il risentimento, l’avidità, ecc), il secondo invece legato a emozioni positive, quali gioia, pace, speranza e amore, ecc. Chi vincerà? Questa è la domanda che si pone l’artista mittle europeo in questi tre brani, pregni di melodie, suggestioni folkloriche (“Deel 2 – De Strijder”), accelerazioni post-black, harsh vocals, ed epiche cavalcate di scuola Windir, eseguite in tremolo-picking (“Deel 1 – De Dromer”), ingredienti sicuramente stra abusati, ma che in questo contesto, trovano un loro perchè. Tornando poi alla domanda del musicista, la risposta dei Cherokee sarebbe che prevarrebbe l’emozione che uno decide di cibare, mentre Beenkerver cerca di esplorare un'ulteriore opzione, ossia pensare alla co-esistenza dei due lupi. Insomma, la classica domanda esistenziale su cosa prevarrebbe tra bene e male, un argomento già sviscerato più volte in passato da altre band e che qui, trova per lo meno un pizzico di interesse, legato ad una ricerca musicale all’insegna di un black melodico che non lascerà del tutto scontenti. (Francesco Scarci)

(Vendetta Records - 2023)
Voto: 65

https://beenkerver.bandcamp.com/album/twee-wolven

Profeci - Ub​ó​stwo

#PER CHI AMA: Black/Death
Se la Les Acteurs de l'Ombre Productions è votata prettamente alla promozione di band black francesi, la Godz ov War Productions è invece focalizzata a mettere sotto contratto band estreme polacche. Ecco quindi arrivare quest'oggi i Profeci con il loro terzo album, 'Ub​ó​stwo', il tutto cantato peraltro in lingua madre. Il quartetto originario di Poznań ci spara in faccia sei nuovi pezzi di black death, che non hanno troppo da dire in fatto di originalità, com'era lecito attendersi, ma che comunque, mettono insieme un sound dotato di un suo perchè. "Stare Stworzenia" ci tira immediatamente in faccia un bel po' di schiaffoni con un riffing serrato in cui a mettersi in mostra è la voce del frontman Piołun, davvero convincente, mai troppo scream, nemmeno troppo growl, ma sempre molto chiara e comprensiva. La musica dei nostri ha poi una discreta dose di melodia messa a supporto di un'intelaiatura metallica robusta e aggressiva. La stessa che, nella successiva "Jaskinie", vede incunearsi influenze più sperimentali che palesano un certo vigore emozionale che fa da contraltare all'acrimonia delle chitarre, qui in versione post black. Attenzione, perchè l'ascolto man mano più approfondito del qui presente, fa emergere parti davvero interessanti, dai rallentamenti percussivi a strali di violenza inaudita con le grim vocals del cantante a farsi notare a più riprese. Con un piglio quasi folklorico, i nostri aprono "Jedność Wielości", un pezzo oscuro ma comunque dotato di una certa animosità black, spigoloso al punto giusto ma sofferto in certi decadenti atmosfere che evidenziano le qualità di una band a cui inizialmente, forse non avevo dato la giusta attenzione. E invece, ho dovuto ricredermi, perchè i Profeci alla fine riescono a colpirci all'altezza giusta con un sound indovinato, che avrà ancora modo di stupirci con il riffing sghembo e dissonante di "Głód" o ancora con lo splenico temperamento di "Bez Niej Byłbym Niczym", dovuto principalmente alla lunga parte arpeggiata e alle clean vocals utilizzate dal vocalist. In chiusura, a voi la furia iconoclasta di "Dytyramb" che chiude un album che merita sicuramente più di un ascolto per poter esser meglio assaporato in tutte le sue sfumature. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions - 2023)
Voto: 72

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/ub-stwo 

martedì 11 aprile 2023

Räum - Cursed by the Crown

#PER CHI AMA: Post Black
Una grandinata di riff caustici come la morte irrompono in questo debut album dei belgi Räum, intitolato ‘Cursed by the Crown’. “Andromeda” è la furibonda traccia che esplode nei nostri cervelli con quel riffing scarno e angosciante, mentre la voce ringhiante di Olivier Jacqmin, lascia trasparire tutto il proprio odio. Si tratta certamente di un furente post-black dai rari tratti atmosferici (giusto un paio di break acustici interrompono infatti la furia cieca del quartetto originario di Liegi) che potrebbe evocare nelle partiture più ragionate, un certo black norvegese di metà anni ’90. Ci provano infatti solo per pochi secondi nella title track, secondo atto di questo disco, a offrire un sound più compassato, ma dopo pochi attimi si riparte con un suono glaciale, tiratissimo (dove peraltro non mi convince affatto l’acustica della batteria), decisamente asciutto e questo screaming che alla lunga diventa a dir poco fastidioso. Fortunatamente il mattatoio messo in atto dai nostri s'interrompe a metà traccia, lasciando il posto a sonorità più affabili, quasi sognanti e con la comparsa contestuale di vocals pulite e oscure che comunque abbassano quella tensione quasi insopportabile che si era creata nei primi 11 minuti di ascolto. Con un fare vicino a certe sonorità death doom, la band sembra ripartire da un black più ragionato che per lo meno non persiste in frustate continue. Addirittura, un assolo dal piglio scandinavo chiude un pezzo comunque movimentato e più interessante di quello in apertura. Il sound tipicamente old school riprende però nella terza “Fallen Empire” e lo fa macinando riff serrati a mo’ di contraerea nei cieli di Baghdad con un rifferama tagliente, qualche episodico frangente melodico e poco più, il che non arriva a scardinare la mia emozionalità in fatto di sonorità estreme. Un peccato, perchè qualche idea discreta ci sarebbe pure, ma la sensazione che avverto, anche alla fine della lunghissima (12 minuti), spettrale e meno ammorbante “Beyond the Black Shades of the Sun“, è che quello che ho fra le mani, sia un prodotto austero, forse ancor troppo ancorato ai dettami della tradizione black. C’è ancora un po’ da lavorare per scrollarsi di dosso quell’impronta old fashion che rendono i Räum, ancora una band tra tante. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions – 2022)
Voto: 64

https://ladlo.bandcamp.com/album/cursed-by-the-crown

lunedì 3 aprile 2023

Limbes - Ecluse

#PER CHI AMA: Post Black
Altro giro, altro regalo, nel senso di un'altra one-man-band francese, che ormai devo ammettere non faccia più notizia. I Limbes sono della scuderia Les Acteurs de l'Ombre Productions, e anche questo non sembra nemmeno più far notizia e se ci aggiungiamo il genere, beh che volete aspettarvi, black nella più classica tradizione dell'etichetta francese. Almeno cosi sembrerebbe... Già, perchè mi sa tanto che la label di Nantes ci ha visto lungo un'altra volta e ha aggiunto un'altra entità davvero fuori dagli schemi a quelle già interessanti del proprio roster. Guillaume Galaup, responsabile del progetto, che peraltro abbiamo già incontrato nei Blurr Thrower, ha tirato fuori un album di debutto sconvolgente, per intensità e violenza, con un lavoro sparato a tutta velocità fin dall'opener "Lâcheté", tra linee di chitarra selvagge, melodiche e taglienti, vocals strazianti ed un vertiginoso senso di inquietudine, sorretto da eccellenti atmosfere che più o meno interrompono quella furia bieca che contraddistingue la matrice di fondo delle sonorità qui incluse. I Limbes fanno male in 'Ecluse', nonostante le sole quattro tracce, ma se pensate che solo "Leurre" dura un quarto d'ora, potrete immaginare come qui ci sia ben poco da scherzare. E il buon Guillaume ci investe in "De Courbes & de Peaux" con un torrenziale sound, di quelli che non fa prigionieri, non salva nessuno, black nero come la pece in una pericolosa mistura di suicidal, depressive e post-black malefico e dolorante, che sarà solo in grado, con la sua inarrestabile furia, di devastare tutto quello che gli si para avanti. Non bastano i break atmosferici per darci una parvenza di melodia o più facile digeribilità di un disco che troverà nell'epicità delle chitarre di "Corridors" uno dei suoi punti di forza per poi annientarci definitivamente con quei quindici interminabili minuti del distruttivo finale affidato a "Leurre", una song che rappresenta la summa della proposta dei Limbes come tormento vocale, vigore sonico (l'impeto che si sente al quarto minuto non ha eguali nel disco) e malvagità. Insomma, un disco questo, da maneggiare certamente con estrema cautela. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2023)
Voto: 77

https://ladlo.bandcamp.com/album/ecluse

venerdì 24 marzo 2023

Luminescence - S/t

#PER CHI AMA: Depressive Post Black
One man band dalla Cina questa dei Luminescence e il qui presente 2-track omonimo altro non è che una gustosa anticipazione di quello che sarà il full length in uscita a giugno per la Pest Productions. La band, originaria di Shandong e fondata solo nel 2021, è guidata da Bureauty (qui supportato da T.Z.) che propone la propria esplorazione intimista del mondo post black, con una eleganza che potrebbe evocare band del tipo di Heretoir, primi Alcest o Dreariness. "水蝶/Mizucho" è uno dei due snack che fungono da antipasto a questa release, e presenta una matrice black depressive per quanto concerne l'architettura musicale, con le grim vocals del frontman sorrette da un'arpeggiata e malinconica linea di chitarra e un'altra in tremolo picking, per un mid-tempo che qui, non troverà mai modo di esplodere. Con la successiva "萤/ Glowworm", i Luminescence provano a mostrare il loro lato più aggressivo, ma l'approccio resta fin dalle prime note decisamente compassato, tra spoken words, parti acustiche, scream vocals e break atmosferici. Il polistrumentista cinese proverà tuttavia, nel corso del pezzo, a dar sfogo alla propria furia, ma solo per qualche striminzito secondo. Insomma le premesse sembrano buone, vediamo se il nostro nuovo eroe riuscirà magari a conferire una maggiore originalità alla propria proposta. (Francesco Scarci)

venerdì 17 febbraio 2023

Jours Pâles - Tensions

#PER CHI AMA: Depressive Black
Avevo recensito il primo album dei Jours Pâles, trio transalpino, i cui membri arrivano da realtà similari quali Asphodèle e Aorlhac. 'Tensions' è il loro secondo lavoro edito dalla lunga mano della Les Acteur de l’Ombre Productions e ingloba nove nuovi pezzi all’insegna di sonorità estremamente orecchiabili (basti ascoltare la super ruffiana "Jour de Pluie, Jour de Fête" in apertura, per avere una vaga idea della proposta dei nostril qualora non li conosceste). Melodie frizzanti, voci pulite e qualche growling vocals sparata qua e là (con testi rigorosamente in francese, come accadde anche in 'Éclosion'), qualche intermezzo atmosferico affidato a porzioni arpeggiate di chitarra e il gioco è fatto. I Jours Pâles sono pronti a prendere il volo anche se probabilmente non saranno i fan più estremisti dell’etichetta transalpina quelli che si avvicineranno ai nostri, visto l’interesse per realtà più death/black oriented. Con la successiva "Saint-Flour Nostalgie", l’aura sembra farsi più malinconica, e accanto a questa tendenza depressive, il terzetto accosta anche qualche breve sfuriata black che rinforza quanto di buono avevo avuto modo di ascoltare in passato. E la schizophrenia black si palesa anche nelle note iniziali della terza "Ecumante de Rage" che oltre a dar sfoggio di estremismi sperimentali, quasi di scuola Pensees Nocturnes, si dipana in splendidi giri di chitarra e sonorità che potrebbero evocare l’eleganza blackgaze degli Alcest nei giri forbiti di pianoforte, ma è comunque la struttura globale del brano, cosi asservita a continui cambi di tempo, tra rallentamenti ed epiche galoppate, che la renderanno alla fine anche il mio pezzo preferito. Forse perchè nel corso dell’ascolto troveremo qualche altro brano davvero interessante: dalla tumultuosa title track a "Saturnienne Lassitude", che fa l’occhiolino ai Les Discrets nel suo portamento cosi drammatico e decadente, ipnotico e quasi avanguardistico, ma dal finale di scuola tipicamente classic metal. Non ci si annoia di certo durante l’ascolto di 'Tensions', soprattutto quando tempeste ritmiche si affiancano a delicati break strumentali ("Hâve") o se a fare la sua comparsa è una qualche guest star come accade in "Ode à La Vie (Chanson Pour Aldérica)", dove incontriamo le sinuose vocals di Natalie Koskinen dei mitici Shape Of Despair in un pezzo dai tratti soffusi che avrà modo di evocare un che dei nostrani Novembre lungo la sua traiettoria sonora. Ultima menzione per il post punk di "Dose(s)" e delle spettrali melodie della lunga e conclusiva "Les Feuilles Tombent". Diavolo, stavo poi per dimenticarmi dello splendido artwork di copertina, a cura del buon Niklas Sundin dei Dark Tranquillity che testimonia come 'Tensions' sia un lavoro ispirato che sottolinea le ottime qualità dei Jours Pâles, e soprattutto di una dose di personalità da vendere. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 78

https://ladlo.bandcamp.com/album/tensions

lunedì 23 gennaio 2023

Wesenwille - III: The Great Light Above

#PER CHI AMA: Experimental Black
Wesenwille atto terzo. È infatti la terza volta che mi trovo a dover recensire una release dei folli olandesi, divenuti nel frattempo una one-man-band a tutti gli effetti, guidati dal buon Ruben Schmidt. 'The Great Light Above' prosegue con il barbarico e dissonante sound che avevamo già avuto modo di apprezzare nei primi due lavori e, per quanto mi aspettassi un calo fisiologico del nostro mastermind, mi ritrovo invece una band in piena forma e progressione sonora. Sette le devastanti song a disposizione del polistrumentista di Utrecht, con il disco che si apre con il black tutto (di)storto di "Revelation of the Construct" in una cavalcata irrefrenabile che vede un importante uso delle melodie e momenti più atmosferici, che interrompono quello sferzare tipico dei nostri, assai simile alle raffiche del blizzard che soffia a latitudini polari. Quello che adoro di questo pezzo, che sfiora peraltro i dieci minuti, sono gli splendidi giochi di chitarra che, per quanto mi riguarda, potrebbero già sancire una elevata valutazione della release. Ma non ci accontentiamo e guardiamo oltre, con la più breve e rutilante "Transformation", brano che mette in mostra i muscoli e al contempo il cervello del musicista dei Paesi Bassi. Largo spazio alla strumentalità, ad un rifferama che somiglia più al suono dei cingoli di un carroarmato, ma che quando dà spazio alla voce graffiante di Ruben, si trasforma in un mid tempo più ragionato che sembra prendere le distanze dai maestri Deathspell Omega. Niente paura però, per quelle sonorità deviate e disarmoniche, basta pazientare la più lunga "The Legacy of Giants", con il suo fare cupo e oppressivo che ben si abbina ad un riffing sbilenco ma progressivo e che sembra percorrere i medesimi passi seguiti dagli Enslaved ai tempi di 'Monumension', in un incedere mai banale (a tratti dotato anche di una certa vena orchestrale) che sottolinea come oggi sia ancora possibile fare black metal tanto originale quanto sperimentale, senza sporcarsi troppo le mani con trovate bizzarre o l'utilizzo massivo di effettistiche varie. Il disco mi piace molto, non è certo semplice da affrontare, ma molto meglio di una passeggiata con temperature polari che di questi tempi ci allietano le giornate. "Trinity" è un pezzo mortifero sotto i quattro minuti di durata, che nasconde tutta la malignità della band nelle sue fosche e deliranti note. Quando si dice che il bello deve ancora venire, ecco piombarci addosso "Our Sole Illuminator", un disumano concentrato di post black, tracce di prog deathcore e improbabili sperimentalismi sonori (a tratti malinconici) che innalzano ulteriormente, nemmeno ce ne fosse stato bisogno, il tasso qualitativo del disco. Un interludio strumentale ("Eclipse") e ci dirigiamo verso lo spettrale finale affidato all'ispiratissima e labirintica "The Specular Gaze", degna chiusura di un album che vanta peraltro in copertina la foto di Harold Edgerton, grande innovatore tecnico nel campo fotografico e dell'ingegneria elettrotecnica al MIT, nello scorso secolo. (Francesco Scarci)

mercoledì 11 gennaio 2023

Die Sünde - Strega

#PER CHI AMA: Post Metal/Hardcore
No, i Die Sünde non sono l'ultima new sensation tedesca, i nostri sono infatti una nuova realtà del nostro paese, di Padova per l'esattezza. Questo è il loro EP di debutto che li vede proporre un sound all'insegna di un post metal/sludge dalle forte tinte crepuscolari. L'unico pezzo incluso nel disco è rappresentato dai 20 minuti abbondanti della title track, "Strega", che si apre con le tiepide percussioni e dove la batteria assume il ruolo cardine, con la chitarra relegata solo in secondo piano. La voce fa la sua comparsa al quarto minuto con una tonalità stridula in uno screaming quasi black. Nonostante questi vocalizzi, la musica si conferma però come un mid tempo guidato dal tremolo picking delle chitarre che disegnano con discrete melodie. Largo spazio poi allo strumentalismo con una lunga parte scevra da isterismi musicali fatti di furia e violenza. Detto che la batteria si conferma costantemente in primissimo piano, un break quasi di mutismo cosmico si palesa verso il minuto 7.30 per segnare qui una sorta di punto di svolta per la band, con la proposta dell'act veneto che si fa ora ben più cattiva. Tuttavia, la musica stenta a decollare se non per una sfuriata post black al minuto 9.30. Forse un po' poco per ascrivere questo disco tra i debutti più memorabili della scena metal nostrana. Una nuova variazione al tema, soprattutto a livello vocale, per l'utilizzo di un cantato post hardcore, lo sentiamo verso l'undicesimo minuto, con la musicalità che si fa altrettanto malinconica. E qui sembra di aver a che fare con una band totalmente differente, peraltro che si lascia apprezzare maggiormente rispetto al più spigoloso lato black ascoltato sin qui. Al dodicesimo minuto (manco fosse una telecronaca di una partita) assistiamo ad una nuova ripartenza, un break chitarristico, una lunga parte strumentale che di certo non ruba l'occhio per originalità. Il disco scivola cosi quasi mestamente lungo la sua conclusione, senza ulteriori spunti degni di nota. Il lavoro alla fine necessita urgentemente di un miglioramento sia a livello musicale che di sognwriting, soprattutto laddove (leggasi nel finale) la band finisce per avventurarsi in territori più disarmonici e particolari. Da riascoltare. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records - 2022)
Voto: 63

https://drownwithinrecords.bandcamp.com/album/strega-2

giovedì 20 ottobre 2022

Voidfire - W Cienie

#PER CHI AMA: Post Black
Dalla più orientale delle città polacche, Bialystok, ecco arrivare i Voidfire, una band che, sebbene di recente formazione, vanta in seno ex membri di Devilish Impressions, Hermh e Dying Vision. Il quartetto ci investe col proprio black melodico e sette nuovi pezzi che seguono a distanza di due anni il positivissimo debut, 'Ogień Pustki'. Il disco si apre con "Nadejście" e, come potrete facilmente intuire dai titoli, i testi sono tutti in lingua madre, rivolti verso tematiche di sofferenza emozionale. Torniamo comunque all'opener che si presenta con larghi tratti strumentali e una bella ritmica grintosa affidata ad una forma di black che ammicca al post. La prima associazione che ho fatto durante l'ascolto di 'W Cienie' è stata con i conterranei Entropia (non quelli di Bialystok ma quelli di Oleśnica), ma tra le trame di chitarra e lo screaming del frontman, ci ritroviamo ad ascoltare anche un notevole quantitativo di melodia. Niente di cosi avvincente a dire il vero, tant'è che quando parte "Niepewność", questa risuona immediatamente più interessante e forse un pizzico più originale, tra ritmiche sghembe, accelerazioni stile "fast and furious" e una buona dose di frustrate alla batteria, accompagnata da una robusta base ritmica. La voce, bella maligna, poggia poi su un sound costantemente in progressione che trova in un bridge in tremolo picking, ampie porzioni melodiche, per poi cedere ad un finale rutilante. "Rozmycie" è più compassata nel suo incedere desolato; quello che colpisce semmai è una costante ricerca di cambi di tempo e la voce di Krzysztof "Virian" Sobczak, qui in formato sussurrato, prima che la stessa viri verso una timbrica più gracchiante. I brani rimangono di lunga, lunghissima durata (e penso ai 14 minuti di "Cienie Szaleństwa") con medie che si assestano oltre agli otto minuti (fatto salvo per l'intermezzo strumentale "Wrota"). "Odchodząc W..." parte sparatissima e farà altrettanto attraverso un black ferale dai tratti epici (chi ha detto Windir?), interrotto solo da un brevissimo break atmosferico. La già citata "Cienie Szaleństwa" ci attende con il suo bel malinconico arpeggio e ancora la voce sussurrata del vocalist, ma non fatevi infinocchiare anche voi, perchè il brano esploderà nuovamente in una corrosiva e acuminata forma di black metal che ci accompagnerà tra saliscendi ritmici (incluso un suggestivo frangente atmosferico verso il decimo minuto e finalmente un signor assolo di quasi tre minuti nel finale - da incrementare il numero di assoli nel prossimo lavoro) fino alle note finali di "Oczyszczenie", un outro acustica che chiude questo secondo capitolo targato Voidfire e che apre al sottoscritto una certa curiosità nell'andare a riscoprire l'album di debutto. Voi intanto dedicatevi a questo. (Francesco Scarci)

(Szataniec - 2022)
Voto: 72

domenica 9 ottobre 2022

Orob - Aube Noir

#PER CHI AMA: Prog Black Sperimentale
Passati completamente inosservati al nostro paese (follia pura), i francesi Orob hanno gettato il guanto ai mostri sacri Deathspell Omega e Blut Aus Nord nel maligno mondo del black dissonante e sperimentale. Il quintetto originario dell'Occitania, ha rilasciato infatti a fine 2021 questo 'Aube Noir', album di debutto sulla lunga distanza, a distanza di ben otto e dieci anni dai precedenti EP, 'Into the Room of Perpetual Echoes' e 'Departure', rispettivamente. C'è da dire però che le song qui incluse sono state scritte tra il 2014 e il 2016. Comunque l'ensemble transalpino ci propone quasi un'ora di musica, attraverso un percorso di nove mefistofeliche tracce che si aprono con il black doom di "Spektraal", una song che, emulando il proprio titolo, si manifesta spettrale e compassata nella sua prima metà, per poi esplodere in un post black dalle tinte sperimentali, soprattutto a livello vocale, con le performance di Thomas Garcia e Andrea Tanzi-Albi a muoversi tra screaming, growl e pulito. È nella seconda "Astral" però che le sperimentazioni dei nostri si fanno più palesi, con chiari rimandi ai norvegesi Ved Buens Ende a livello atmosferico e scomodando anche facili paragoni con gli ultimi Enslaved o i Solefald. La sostanza è poi quella di dissonanti parti arpeggiate che si alternano a ritmiche costantemente sghembe con le vocals che, non mantenendo praticamente mai una coerenza di fondo, rendono il lavoro decisamente più affascinante e avvincente. E ancora, a livello solistico (si ci sono degli assoli) emergono le influenze più classiche dei nostri, quasi a mostrare tutto il ventaglio tecnico compositivo di cui sono dotati. E io approvo appieno, nonostante le sbavature riscontrabili durante l'ascolto, perchè ci sono anche quelle ed è giusto dirlo. Ma vorrei dare il beneficio del dubbio ad una band che è rimasta ferma quasi una decade ma che con la propria musica riesce a dare un tocco di eleganza e originalità al mondo musicale, e che vede nella terza "Breaking of the Bonds" un altro piccolo gioiellino. Qui poi la voce del frontman è per lo più pulita e assai espressiva. Ma il pezzo è in costante movimento, tra una marcetta estemporanea, un break acustico di malinconica melodia (top!) che chiama in causa Opeth e ultimi Katatonia. E io continuo ad approvare, non posso fare altro. Anche quando "Betula" trasforma la proposta degli Orob in un selvaggio black iniziale per poi mutare ancora verso territori controversi (leggasi l'ambient esoterico nel finale), con cambi di tempo, di genere e molto molto altro che potrebbero addirittura avere un effetto disorientante per chi ascolta, ma che per il sottoscritto rivela invece la grande voglia di osare da parte dell'act di Tolosa. Bene, bene anche nelle spettrali melodie di una traccia come "The Wanderer", lenta e sinuosa nel suo incedere che, attraverso l'elettronica strumentale e minimalista di "Noir", ci conduce fino a "Aube", un violento pugno nello stomaco che mi ha catapultato in altri mondi che ormai si erano persi nella mia memoria, e penso ad un ipotetico ibrido tra Voivod, gli australiani Alchemist e gli inglesi Akercocke. C'è tanto nelle note di questo 'Aube Noir', forse non sarò stato nemmeno in grado di cogliere tutte le influenze che convogliano in questo disco, ma vi garantisco che di carne al fuoco ne troverete parecchia, soprattutto nella lunghissima coda affidata alla sinistra "Ethereal", che di etereo ha ben poco (fatto salvo quella che sembra essere una voce femminile in sottofondo) e alla conclusiva "The Great Fall", oltre dieci minuti di sonorità che miscelano depressive black, progressive, thrash, gothic doom (con tanto di soavi vocalizzi di una gentil donzella) e perchè no, anche una vena di post rock, quasi a sancire l'ordinaria follia di cui sono dotati questi interessantissimi francesi. Una sfida ai mostri del black sperimentale? Non direi, questo è un duello sferrato al mondo intero. E se questi erano i suoni di sette anni fa, ora mi aspetterò grandi cose dagli Orob. (Francesco Scarci)

martedì 26 luglio 2022

Svrm - Червів майбутня здобич

#PER CHI AMA: Post Black
Da una delle città più martoriate dal conflitto russo-ucraino, Kharkiv, ecco arrivare i Svrm, one man band alquanto famosa nel circuito black underground con ben tre Lp e sei EP all'attivo. 'Червів майбутня здобич' (tradotto in "futura preda dei vermi") è l'ultimo lavoro uscito quest'anno poco prima dell'esplosione della guerra che include quattro pezzi di black atmosferico dai connotati malinconici. Il tutto è testimoniato dall'opener, nonchè title track del dischetto, che mette in mostra la rabbia post black del musicista ucraino, contrappuntata da una vena malinconica a livello delle melodie di sottofondo. Ancora meglio nella seconda traccia, "Поклик могил", che parte feroce come non mai, ma che a metà brano, ci offre un break acustico dai tratti folklorici, per poi ripartire all'insegna di ritmiche furenti, grim vocals e chitarre ancora più ispirate. "Carceri" si muove sulla stessa linea, con un songwriting nebuloso, fosco, decisamente cupo ed ancorato alla tradizione black, con una ritmica bella serrata, interrotta da uno stop and go delle forsennate linee di chitarra. A chiudere ci pensa la rovente "Смерть" che testimonia come il nostro mastermind di oggi, pur non inventando nulla di nuovo (qui siamo al cospetto di un black mid tempo), mostra comunque ancora qualche cartuccia interessante per catturare la nostra attenzione. (Francesco Scarci)

(Self - 2022)
Voto: 68

https://svrm.bandcamp.com/album/--8  

mercoledì 1 giugno 2022

Wesenwille - I: Wesenwille & Live at Roadburn

#PER CHI AMA: Post Black
Ho recensito 'II: A Material God' poco più di un anno fa, ma non avevo avuto modo di ascoltare il debut album degli olandesi Wesenwille. La Les Acteurs De L’Ombre Productions ci dà l'opportunità di riscoprire l'esordio 'I: Wesenwille', uscito originariamente nel 2018 per la Redefining Darkness Records e abbinarlo con un set live registrato al Roadburn Redux a Tilburg (Olanda) nel Marzo 2021. E come si suol dire in questi casi, piatto ricco mi ci ficco. Quello che avevo descritto in occasione del secondo album, ossia un black sperimentale malato e sghembo di scuola Deathspell Omega, si conferma anche nei cinque brutali pezzi del primo atto del duo di Utrecht, con un concentrato malsano di suoni che si muovono dalle furenti ritmiche e dallo screaming infernale dell'iniziale "The Churning Masses" a tratteggi ben più cadenzati all'interno della stessa, con melodie che sgorgano fresche e vocalizzi successivamente strozzati in gola. Una partenza di tutt'altra pasta ci aspetta in "Prosopopoeia", un brano che s'introduce dapprima soffice per poi degradare in ritmiche post black evocanti i folli Dodecahedron, sebbene a livello batteristico i nostri finiscano ad ammiccare anche agli Altar of Plagues. Diciamo che i pezzi proseguono sulla stessa falsariga anche con la distruttiva e obliqua "Golden Rays of the Sun", altri dieci minuti di dissonanze black che trovano modo di mostrare tutta la propria imprevedibilità in rallentamenti doom, ripartenze ancor più feroci e ancora parti atmosferiche nel finale (che ritroveremo anche nell'incipit di "Rising Tides", un brano complesso e ostico da digerire ancor più degli altri). In chiusura della prima parte di disco, ecco "From One, We Are Many", un pezzo più breve degli altri (cinque minuti vs dieci) e dai tempi più compassati, anche se le accelerazioni impetuose della seconda metà sono assimilabili a quelle di una valanga che si stacca da una montagna. Il Live al Roadburn include cinque pezzi, tre dal primo lavoro e due dal secondo, che fondamentalmente ripropongono, in modo alquanto fedele alla versione in studio, la musica dei nostri, arricchendola di quella componente live che enfatizza non poco la potenza del combo tulipano. Sinceramente, non sono un fan degli album dal vivo, ma se siete curiosi di sentire come questi sinistri musicisti se la cavano in sede live, beh devo ammettere che questo potrebbe essere un valido modo per testarne la performance. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 75

https://ladlo.bandcamp.com/album/i-live-at-roadburn

domenica 15 maggio 2022

Au-Dessus - Mend

#PER CHI AMA: Post Black
I lituani Au-Dessus li seguo dal loro esordio, quell'EP omonimo uscito nel 2015. Ho comprato anche il loro Lp 'End of Chapter', che trovai all'epoca davvero convincente. Dal 2017 a oggi se ne sono perse le tracce, quasi a pensare che la band originaria di Vilnius si fosse sciolta. Fortunatamente, i quattro misteriosi musicisti tornano in sella sotto l'egida della Les Acteurs de l'Ombre Productions dandoci il proprio segno di vita con quest'altro EP, intitolato 'Mend'. Cinque i pezzi per saggiare le condizioni post pandemiche dei nostri, cinque schegge che esordiscono con la strumentale "Negation I", una lunga intro dronica che cede il passo ad un black storto e strambo come era lecito aspettarsi dai nostri. Poi ecco il via alle "danze" con la causticissima "Negation II" e le vocals viscerali di Mantas a collocarsi su di un tappeto ritmico infuocato e dissonante che farà la gioia di chi segue realtà ingarbugliate quali Blut Aus Nord e Deathspell Omega in primis, ma anche gente stile Kriegsmaschine o Mgła, se proprio volessimo spostarci dalla Francia alla Polonia. Con "Lethargy" si prosegue sulla stessa scia diabolica di post black che trova in furiosi blast beat contrappuntati da una discreta vena melodica, il punto di partenza del brano. "Epiphany" si muove su basi ancor più oblique, tra black mid tempo e sfuriate post che hanno il classico effetto destabilizzante. Poi i nostri ci mettono del loro, con continui cambi umorali a dar maggior enfasi ad una proposta non proprio facile da digerire. L'ultima "Alienation" è forse il pezzo più easy listening dei cinque: inizio lineare, grim vocals che poggiano su un rifferama compatto e potente, ma decisamente dotato di una maggior melodia a renderlo per questo più assimilabile rispetto alle precedenti. La seconda parte poi è dotata di un piglio quasi malinconico tanto da renderla il mio pezzo preferito di questo graditissimo ritorno sulle scene. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 72

https://au-dessus.bandcamp.com/album/mend

mercoledì 6 aprile 2022

Crust - Stoic

#PER CHI AMA: Black/Doom/Sludge/Post
Con un moniker del genere che cosa vi aspettavate, dite la verità? La band originaria di Veliky Novgorod ci spara in faccia otto pezzi che dall'iniziale title track giungono alla conclusiva "Desert", attraversando le paludi fangose dello sludge, le inquietanti atmosfere doomish, il tutto senza disdegnare brutali scorribande post black e death. Eccovi presentato in poche righe quanto ritroverete durante l'ascolto di questo terzo lavoro dei russi Crust, intitolato 'Stoic'. Se l'opener è un connubio di un po' tutti i generi sopraccitati, la seconda "Watching Emptiness" ha un piglio decisamente più atmosferico e introspettivo, muovendosi nei paraggi di un death doom emozionale, in grado di richiamare i primi Paradise Lost, attraverso un sound cupo ma costantemente accattivante, nonostante gli oltre dieci minuti di durata (anche se gli ultimi due sono piuttosto inutili). Con "A Blind Man in Darkness" si torna a galoppare alla grande con un riffing più teso, articolato, a tratti anche decisamente più ostico da digerire, sebbene numerosi tentativi volti a rasserenare gli animi, con parti più atmosferiche. Per un ripristino delle funzioni cerebrali, arriva però l'acustica di "Willow Forest", un breve intermezzo in grado di metterci in pace col mondo. Da qui si riparte con la seconda parte del cd e un trittico formato da "Plague", "Darkness Becomes Us" e "Anhedonia" che sembrano restituirci una band più tonica ed ispirata tra le dirompenti e melodiche ritmiche post black della prima, il black dissonante della seconda (uno dei pezzi forti del disco) e il doomish black della terza (un altro brano davvero interessante), che ci accompagnerà fino al finale affidato alla strumentale e più pacata "Desert", un pezzo che per il suo ipnotico impianto ritmico, potrebbe addirittura evocare "Angel" dei Massive Attack. Alla fine 'Stoic' è un disco che lascia qualcosa dentro che mi ha spinto più volte ad un ascolto più attento dei Crust. (Francesco Scarci)

(Addicted Label - 2021)
Voto: 74

https://crustband.bandcamp.com/album/stoic

martedì 1 marzo 2022

Lunar Tombfields - The Eternal Harvest

#PER CHI AMA: Black Metal
La band di quest'oggi si chiama Lunar Tombfields e deve il proprio nome ad un brano dei deathsters teutonici Venenum, estratto dall'EP di debutto omonimo del 2011. Il perchè di questa scelta è fatto a me sconosciuto soprattutto perchè non ci sono nemmeno punti di contatto cosi evidenti fra le due entità musicali. I due francesi, in questo loro esordio intitolato 'The Eternal Harvest', propongono infatti un sound all'insegna di un black minimalista, a tratti esasperato nella sua forma fredda e primordiale. E dire che quando ho sentito l'apertura di "The Ancestral Conjuration", affidata alle eteree vocals di Dolorès, ho fatto un mezzo infarto perchè sembrava prendere totalmente le distanze dalle produzioni estreme di casa Les Acteurs de l'Ombre Productions. Ma il coccolone in realtà è durato solo un paio di minuti, visto l'arrembante e sporco black che poi si è fatto strada da lì in poi. E non un black di quelli che si consumano in pochi minuti, la traccia ne dura addirittura 14! E qui i due musicisti transalpini, peraltro provenienti da altre realtà estreme quali Absolvtion e Defenestration, ci investono con un flusso sonoro tipicamente old fashion, con qualche influsso che ci conduce al black norvegese cosi come pure alle scorribande post black di scuola statunitense. In tutta franchezza però, la proposta dei due non mi ha catturato assolutamente, troppo scontate le linee di chitarre, sebbene molteplici cambi di tempo, fin fastidioso addirittura lo screaming. Mi riprometto però di affrontare i tre successivi e lunghissimi brani con il giudizio azzerato, ma ancora una volta, nonostante un tiepido inizio, vengo travolto da una furia belluina di voci e ritmi serrati che non mi convincono nè in termini melodici, tanto meno emozionali. Eppure "As the Spirit Wanes, the Form Appears" ha degli spunti apprezzabili, ritrovabili ad esempio in un arpeggio melodico, un break atmosferico, in partiture chitarristiche o anche in un frangente dai tratti tribali, che possono evocare i Deafheaven degli inizi. Nonostante questo, trovo che ci sia qualcosa che non mi convinca nella proposta dei Lunar Tombfields, forse anche solo una banalissima mancanza di piacere di primo acchito. E il problema ahimè persiste anche nelle successive "A Dialogue with the Wounded Stars" e "Drowning in the Wake of Dreams", due brani che iniziano carichi di aspettative, con aperture ad effetto che poi sfociano in vortici di insana causticità in cui a perdersi è la musicalità, l'essenza dei nostri. E non servono quegli intermezzi arpeggiati a stemperare la furia della band, nemmeno l'utilizzo delle clean vocals, cosi come pure i rallentamenti quasi al limite del doom che compaiono qua e là, perchè alla fine la bieca furia cieca sembra rovinare tutto, fatto salvo per uno splendido assolo nella seconda delle due tracce. Un peccato perchè le potenzialità per fare bene ci sarebbero anche, ma trovo non siano state adeguatamente incanalate nella giusta direzione. (Francesco Scarci)

mercoledì 16 febbraio 2022

Thumos - The Republic

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
I Thumos sono una misteriosa creatura di cui non ho trovato troppe informazioni. Certo la Bibbia Metal Archive dice che sono americani, si sono formati nel 2018, ma poi non si sa quanti e quali membri costituiscano la band, o di quale città siano realmente originari. Dopo una serie infinita di demo, split, EP e compilation, il gruppo nordamericano arriva finalmente in questo 2022 al tanto agognato full length d'esordio. 'The Republic' è un lavoro di dieci pezzi dediti ad un post metal che supera l'ora di durata. La sua peculiarità? È interamente strumentale, sebbene il disco voglia essere una sorta di rappresentazione musicale de 'La Repubblica', l'opera filosofica in forma di dialogo, del filosofo greco Platone, la quale ebbe una enorme influenza nella storia del pensiero occidentale. Quantomeno stravagante. Il disco si apre con i toni cupi di "The Unjust" che rivela subito la direzione musicale intrapresa dai nostri. Le chitarre infatti sono quelle tipiche del post metal, tuttavia le ambientazioni tendono a farsi, nel corso del pezzo, estremamente rarefatte e paranoiche, complici una serie di rallentamenti dal mood asfissiante. Un filo più tirata "The Ring", dove comunque mi preme sottolineare il piacere nella band di produrre break in cui affidare lo stage ad un singolo strumento. Accadeva con la batteria sul finire del primo brano, accade qui con largo spazio concesso alla chitarra e da qui ripartire con un piglio costantemente in bilico tra post e doom, profumato anche da derive progressive e da qualche accelerazione che ammicca al black. Il disco non è proprio facilissimo da digerire, però non appare alle mie orecchie scontato come tanti altri lavori che ho ascoltato in ambito post, forse per questa capacità di variare il tempo, di inferocire la componente ritmica, cosi come di renderla più mansueta in altri frangenti come accade nella più delicata e melodica "The Virtues" che potrebbe ricollegarsi al IV libro di Platone e alle virtù in esso citate, la sapienza, il coraggio e la temperanza. Più tortuosa invece "The Psyche", d'altro canto con un tema del genere era lecito aspettarsi qualcosa di simile. Si tratta di un brano pesante che si muove su una ritmica lenta e ossessiva, caratterizzata da giri di chitarra sparsi qua e là alquanto bizzarri e da un incedere comunque pachidermico nella sua seconda metà. Si arriva intanto a "The Forms" e al suo sconfortante incipit che evolve in un pezzo che per certi versi mi ha evocato lo spettro dei Cult of Luna di 'Somewhere Along the Highway', quelli più glaciali e desolanti, sebbene le tastiere provino a smorzare i toni e a sopperire all'assenza di un vocalist. "The Ship" è il brano più corto del disco che attacca con un rutilante incedere ritmico. Bordate di piatti e rullante, chitarre super distorte vicine più al death metal che al post, ed una serie di schiaffi in faccia ben assestati. L'oscura "The Cave" non mi lascia alcun dubbio sul fatto che affronti "Il Mito della Caverna", una delle più conosciute allegorie del filosofo greco. Il pezzo è fondamentalmente orientato sulla falsariga dei precendenti almeno fino a quando, poco prima di metà brano, divampa la miccia di un black furibondo che ci accompagnerà, tra rallentamenti e accelerazioni improvvise, fino al termine. "The Regimens" è un'altra song che parte da toni pacati ma con una linea di chitarra un po' più sghemba rispetto alle precedenti. Anche qui il break di batteria non tarderà a materializzarsi, quasi il battito ritmico di un cuore in mezzo al petto, comunque ostico e nevrotico. Un delicato arpeggio apre "The Just", che mi ha colpito per la sua intrinseca malinconia dettata probabilmente dall'utilizzo degli archi che donano una certa solennità a quello che è il pezzo più evocativo del disco, quello che ammicca anche maggiormente al post rock, quello meno originale ma che forse riesce più a toccare la componente emotiva di chi ascolta. In chiusura "The Spindle", la traccia più lunga del lotto, quella che attacca anche in modo più minaccioso con delle chitarre multistratificate che non lasciano presagire a nulla di buono, quasi un black norvegese di altri tempi. In realtà non ci troveremo di fronte a nulla di cosi spaventoso o feroce, sebbene il drumming ogni tanto sembri voler aumentare i giri del motore, ma da qui alla fine ci sarà spazio per qualche accenno di accelerazione, qualche sporadico blast beat e poco altro che si concretizzerà in un pianoforte che chiude delicatamente un disco inaspettato, intrigante e complicato. (Francesco Scarci)

(Snow Wolf Records - 2022)
Voto: 75

https://thumos.bandcamp.com/album/the-republic