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venerdì 25 maggio 2012

Ordo Obsidium - Orbis Tertius

#PER CHI AMA: Post Black, Wolves in the Throne Room
Che i Wolves of the Throne Room stiano facendo proseliti lo si è capito da un bel po’: mai come in questo periodo infatti, ho visto cosi tante uscite in campo black o meglio post black o come qualcun altro preferirebbe etichettarlo Cascadian Black. Fatto sta, che quello che mi passa fra le mani quest’oggi, è l’ennesimo esempio di musica rude, estrema e talvolta atmosferica, proveniente dagli States, quasi come se gli americani si siano dimenticati dell’esistenza di altri generi (e dire che fino ad un paio d’anni fa erano fissati col metalcore) e si stiano esclusivamente concentrando a questa forma primordiale di suoni. Non che la cosa mi dispiaccia anzi, per il momento sto sentendo ottime cose provenire dal versante west degli US (e penso a Deafheaven, Addaura o Alda) e questi californiani Ordo Obsidium, non vanno tanto distanti dalla proposta delle band già menzionate: la musica dei nostri è infatti un bel black tirato nelle sue parti più veloci, molto oscuro e apocalittico nelle partiture doom, il che si evince già dalla lunga suite iniziale, “Nequaquam Vacuum” che si protrae furentemente tra chitarre minimalistiche, rallentamenti di matrice funeral e urla strazianti, per quasi 12 minuti. “Into the Gates of Madness” ha quasi un incedere punkeggiante, prima che le ritmiche serrate inizino a calcare nuovamente la mano, avviluppandosi in suoni nevrotici, con le disumane grida a stagliarsi sul tappeto chitarristico, che trova nel suo break centrale anche un accenno di malata melodia (una sorta di Ved Buens Ende in acido). Degli spunti interessanti se ne ritrovano anche in questo “Orbis Tertius”, nonostante talvolta rischi seriamente di annoiare per quel suo feeling che sa di già sentito e risentito. Fortunatamente ci pensano le aperture in acustico o qualche intermezzo tastieristico a ridestare l’interesse dell’ascoltatore, che talvolta scema perché investito da frenetiche e dirompenti ritmiche senza capo né coda. Insomma, un album che farà la gioia di chi ama il black nella sua forma più nichilista, cosi come pure chi ama il funeral doom (basti ascoltare la title track per farsene una buona idea) di derivazione est europea. E allora diamo una chance a questo quartetto americano, con la consapevolezza che comunque questo è il debut, pertanto i margini di miglioramento sono assai ampi… (Francesco Scarci)

(Eisenwald Tonschmiede)
Voto: 65