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sabato 25 febbraio 2017

Sparkle in Grey - Brahim Izdag

#PER CHI AMA: Experimental Post Rock
Sempre difficile definire una band come i milanesi Sparkle in Grey, al secolo Matteo Uggeri, Alberto Carozzi, Franz Krostopovic e Cristiano Lupo, anche perché, disco dopo disco, cambiano pelle e vestito rimanendo sempre però estremamente vivi e interessanti nella loro proposta musicale, che qui per brevità, potremmo definire come una sorta di post rock che sposa sonorità mediterranee e mediorientali. Quello che senz'altro caratterizza questo 'Brahim Izdag' (oltre alla solita, magnifica e certosina cura per tutti gli aspetti produttivi, non ultimo quello del packaging) è la sua connotazione di disco in qualche modo “politico”, a partire dal titolo, tributo allo sciatore marocchino che riuscì a partecipare all'olimpiade invernale di Albertville, nel 1992. Perché Izdag, oltre ad essere divenuto famoso per la sua disastrosa performance, rappresenta quel desiderio, anzi, quel diritto all'integrazione che è un tema piú che mai caldo nell'Europa contemporanea. E così le 14 tracce che compongono l'album vanno a tracciare un affresco che è un inno al meticciato sonoro, all'incontro e all'integrazione, attraverso rock muscolari, melodie popolari uzbeche e ucraine, classici di Clash (una "White Riot" che diventa “Grey Riot”, parla cinese e suona come i Chumbawamba), Linton Kwesi Johnson (una versione attualizzata di “Inglan is a Bitch”, rinominata “Iurop is a Madness”) e Sly and the Family Stone ("There’s a Riot Goin’on") affiancati a brani originali estremamente efficaci nel loro declinare un tema in varie sfumature esasperandone ora il lato piú drammatico, ora quello piú giocoso, con un linguaggio musicale sempre in equilibrio tra rock, elettronica e profumi di spezie di mercati lontani. Ottimo lavoro. (Mauro Catena)

(Greysparkle/Old Bicycle Records - 2016)
Voto: 80

lunedì 20 febbraio 2017

Houstones - S/t

#PER CHI AMA: Post Grunge/Alternative Rock
'Houstones' inizia con il frammento di una telefonata che potrebbe essere una comunicazione da oltreoceano, fosse il prefisso di Seattle non ci meraviglieremmo. L’attacco del primo brano, "Smile", dall’omonimo disco degli Houstones, suona proprio come quelle band che fecero irruzione nella scena musicale a partire dai primi anni novanta: chitarra-basso-batteria ad accompagnare testi cantati con piglio rabbioso. Gli Houstones sono un trio italo-svizzero che suona come una band americana degli anni novanta. Che lo sappiano fare anche bene lo si capisce subito e nel secondo brano, "7 Seconds to 8", i semi del grunge germogliano in una canzone che potrebbe essere davvero stata scritta da qualche gruppo della costa nord-ovest degli States. L’urgenza e la rabbia del disco sono caricate nelle prime tre canzoni e servono sicuramente a scuotere l’ascoltatore per portarlo in territori più meditativi a partire dal quarto pezzo, intitolato "Popular Star (A Popstar is A)" per proseguire con "Monster", introdotto da interferenze elettriche che aprono gli spazi a chitarre slide. La sesta traccia, "Room" parte lenta, appoggiandosi ad un riff di chitarra suonata con l’effetto phaser, crescendo poi nella sua esecuzione carica di rabbia e noise. Se ci fermassimo dopo l’ascolto dei primi sei pezzi, l’ironica dicitura “Best Before 1999” riportata all’interno del digipack, sarebbe pienamente rispettata. Il disco invece prosegue e nelle ultime due tracce, le coordinate musicali cambiano decisamente, con il risultato di spiazzare i puristi del genere alternative-grunge-stoner. L’intro di "Apode" rivela un certo mood orchestrale mentre la conclusiva "Coming to Save the World as Bill Murray Does" è un bel brano dal piglio cantautorale accompagnato da un sax. Sarà interessante scoprire se questi sono elementi di novità nel percorso musicale della band oppure esperimenti più simili a delle outtake. (Massimiliano Paganini)

(DreaminGorilla Rec/Old Bicycle Rec - 2016)
Voto: 70

https://houstones.bandcamp.com/album/houstones