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sabato 12 maggio 2012

Moloken - Rural - English

#FOR FANS OF: Post Metal, Sludge
We had left them just over a year ago, in the fall of 2010 with their brilliant first full length, "Our Astral Circle" and now finally the brothers Bäckström return, as always very well supported by Discouraged Records, with a new job. The sound does not blatantly changes compared to the previous album, and certainly is not bad if you were pleasantly impressed by that release. Their music, therefore, continues to travel in post-metal/sludge territories, however, in some darkest shades, less accessible, fuller of anger and certainly less full of easy melodies. "Rural" is an angry album. In its seven songs in its long fifty minutes, moods are alternating by winding between fury and irascible, occasionally leaving room for breakers in the limit of post-rock (the second half of "Ulv"). What amazes me most in the new work of Moloken, is a certain combination of the sounds that come from the strings of the guitar, sometimes really delusional or completely discordant (I am thinking of the psychotic ending of "Waltz of Despair" for example or the hypnotic beginning of the aforementioned "Ulv" pachydermic song - lasting 16 minutes - fierce yet obscure, that reminds of those wanderings of the school of Ved Buens Ende), which contribute confuse the listener a bit. The tribal and schizophrenic "Casus" serves as a bridge connection with «Blank Point " and I am gradually beginning to realize the good things contained in "Rural", a job to say the least controversial, certainly difficult to digest, but given its complexity, of important progress. The vocals of Niklas continue to be those in the limit of the caveman, so as it was outlined in the previous review, but it is of little importance because I measure the band in its ability to vary their own sound, and I guarantee to you that there is not one single minute of respite in which runs the risk of dozing off or lying down, although we have the impression that their sound can be trapped in doom like or even psychedelic sounds (and I think the suffocating and sick "Thin Line"); no fear though, because the quartet of Holmsund comes out even more fiercely and ready to crash your bones. I am shattered by their impetuousness, by their dark gray, almost the same while watching the sun setting fast on the horizon, leaving soon place for a dense fog which possesses you with the darkness of the night. Hostile, neurotic, glacial, fearful, are just some of the adjectives that come out of my mind after listening to this disfiguring "Rural", an album to have in your collection at any cost. Raving! (Francesco Scarci - Translation Sofia Lazani)

domenica 22 gennaio 2012

Moloken - Rural

#PER CHI AMA: Post Metal, Sludge
Li avevamo lasciati poco più di un anno fa, nell’autunno del 2010 con il loro primo brillante full lenght, “Our Astral Circle” e ora finalmente ritornano i fratelli Bäckström, come sempre egregiamente supportati dalla Discouraged Records, con un nuovo lavoro. Il sound non cambia cosi palesemente rispetto al precedente album, e di certo non può essere un male, se eravate rimasti piacevolmente impressionati da quella release. La musica dei nostri continua dunque a viaggiare in territori post metal/sludge, di quello però dalle tinte più fosche, meno accessibile, più carico di rabbia e di certo meno pregno di facili melodie. “Rural” è un album incazzato, mettetevela via. Nelle sue sette song e nei suoi lunghi cinquanta minuti, alterna umori che serpeggiano tra il furibondo e l’irascibile, lasciando saltuariamente spazio a frangenti al limite del post rock (la seconda metà di “Ulv”). Quel che mi stupisce maggiormente nella nuova opera dei Moloken, è una certa combinazione nei suoni che escono dalle corde delle chitarre, talvolta veramente deliranti o del tutto disarmonici (penso al finale psicotico di “Waltz of Despair” per esempio o all’ipnotico inizio della già citata “Ulv”, song pachidermica – della durata di 16 minuti – feroce ma al contempo oscura, che rimembra quei vaneggiamenti di scuola Ved Buens Ende), che contribuiscono a disorientare non poco l’ascoltatore. La tribale e schizofrenica “Casus” funge da ponte di connessione con “Blank Point” e a poco a poco inizio a realizzare quanto di buono sia contenuto in “Rural”, un lavoro a dir poco controverso, sicuramente di difficile digestione, ma data la sua complessità, dall’importante divenire. Le vocals di Niklas continuano ad essere al limite del cavernicolo, cosi come sottolineato nella precedente recensione, ma poco importa in quanto misuro la band nella sua capacità di variare le proprie sonorità e vi garantisco che non c’è un attimo di tregua in cui si corra il rischio di appisolarsi o adagiarsi, sebbene si abbia l’impressione che il sound dei nostri possa talvolta rimanere intrappolato in sonorità doomish o addirittura psichedeliche (e penso alla soffocante e malata “Thin Line”); nessuna paura però, perché il quartetto di Holmsund ne esce ancor più inferocito e pronto a maciullarvi le ossa. Sono sconquassato dall’irruenza dei nostri, dal loro cupo grigiore, quasi stessi osservando il sole che tramonta veloce all’orizzonte, lasciando ben presto il posto ad una fitta nebbia che si impossessa dell’oscurità della notte. Ostili, nevrotici, glaciali, paurosi; sono solo alcune degli aggettivi che escono dalla mia mente dopo l’ascolto di questo deturpante “Rural”, album da avere ad ogni costo nella vostra collezione. Farneticanti! (Francesco Scarci)

(Discouraged Records)
Voto: 85
 

domenica 3 ottobre 2010

Moloken - Our Astral Circle


Lo ammetto: ho appena iniziato ad ascoltare l’album di questi svedesi Moloken, che seguono l'EP di debutto “We All Face the Dark Alone”, e la mia faccia si è dipinta di un’espressione indecifrabile, misto tra curiosità, senso di cattiveria e anche stupore: questo perché l’album presenta un’alternanza di suoni, che passano dalla furia accompagnata da un growling cavernicolo alla pacatezza e alla lentezza delle note, rendendo il tutto a tratti pesante e a tratti rilassante. L’opera d’arte (perché anche la capacità di mescolare tonalità contrapposte è un’arte) si apre con le atmosfere lugubri di “Molten Pantheon”, ben sottolineate da una voce cattiva e cavernicola, alternata da chitarre e batteria ben equilibrate tra loro: il sound risulta degno del death che più death non si può, rendendo l’animo ben oscuro e pesante. Se si provasse a chiudere gli occhi mentre scorre il cd, si verrebbe attanagliati dai incubi paurosi che scaturiscono dalla menti di questi oscuri individui Svedesi, immagini che riportano alla mente le distese infinite di boschi durante il lungo inverno, che sembra non avere mai fine. Qualche barlume di speranza lo si ha con “Untitled I”, grazie ad un riffing di chitarra molto malinconico e pacato, ma che viene sconvolto quasi subito dal growling del singer. Tutto il brano, comunque, alterna la furia del trio chitarra-batteria-basso con le note della sola chitarra, come a voler risanare le orecchie prese d’assalto. “Die Fear Will” sembra voglia strapparci di dosso l’anima, grazie ad una voce disumana e agli strumenti che la seguono fedelmente, come in un turbine senza fine. È poi la volta di “Followers”, che riprende le atmosfere ferine e il sound della precedente, anche se si rivelerà un po’ più melodica. “Untitled II”, strumentale all'inizio, genera sensazioni più malinconiche e tristi ma man mano che la traccia avanza, e il ritmo si fa più serrato è un senso di oppressione a schiacciarci il petto. Arrivati a metà album, il sound rimane sempre lo stesso, anche se inizia a far tiepidamente capolino una certa vena progressive rock anni '70: ne è l'esempio “Ebeorietement”, con molti inserti di chitarra, ad opera di Patrik Ylmefors, che rallentano la traccia, giusto per lasciare un po’ di respiro alla mente (e alle orecchie). Questa pace, però si conclude ben presto con “My Enemy”: una vera e propria dichiarazione di guerra con la batteria di Jakob Burstedt e la chitarra a picchiare veramente duro, ma condito da un mood a volte rallentato e subdolamente perfido. Sembra che la band scandinava pecchi un po’ di fantasia visto che arriva anche “Untitled III” più tranquilla rispetto alle precedenti songs con quella sua verve più progressive, per la mia gioia (finalmente posso chiudere gli occhi e immaginare le distese di boschi… ma stavolta di giorno!), anche se per pochi minuti… infatti a metà brano la cattiveria non può mancare, facendo ripiombare la mente nell’oscurità più profonda di un bosco a mezzanotte (e senza luna piena). Si arriva così all'ultimo brano, “11”12”: l'inizio di chitarra non fa presagire nulla di buono, come lo dimostra perfettamente la voce lacerante poi... le vertigini che questo brano crea sono a dir poco inquietanti, quasi non si riesce a scrollarsi di dosso l'angoscia che i riffs di chitarra ripetono continuamente, asfissianti nel loro incedere e a rendere questo brano quasi eterno! Ti martella così tanto che ti viene l'istinto di togliere il cd dal lettore... ma vi consiglio di resistere, perché dovete assolutamente ascoltarla fino in fondo. Traendo le conclusioni, non nascondo che ho faticato non poco ad arrivare alla fine del disco per il forte peso che mi ha messo sul costato! C’è sicuramente da ammirare la capacità dell’act scandinavo, di associare il death metal al progressive rock, rendendo questo album veramente degno di nota e di ascolto. Può piacere e non piacere, ma merita davvero un ascolto attento, anche da chi, come me, preferisce altri tipi di metal ma che comunque vuole comunque spaziare sin nell’oscurità più profonda di questa musica, incontrando l’anima più caotico malvagia del metal. (Samantha Pigozzo)

(Discouraged Records)
voto: 70