Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Metal Scrap Records. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Metal Scrap Records. Mostra tutti i post

domenica 8 marzo 2015

Auron - S/t

#PER CHI AMA: Heavy/Progressive
Fresco fresco di stampa (il cd è uscito il 29 Gennaio 2015 per Metal Scrap Records), giunge dalla Russia il debut album omonimo di questi quattro musicisti. Dediti ad un prog/power metal con influenze che richiamano alla mente le piu' blasonate band hard rock degli 80's , gli Auron propongono 12 tracce, di cui le ultime 2 bonus, in lingua madre. Anche se l'artwork e il booklet parlano chiaro, la palese ispirazione prog si avverte fin dalle prime note dove tuttavia il timbro vocale del vocalist finisce per rispecchiare un po' gli stilemi canonici di un certo tipo di hard rock (avete in mente i Gotthard?): si tratta infatti di uno “strano” mix, quello proposto dagli Auron, ove le atmosfere prog presenti (Dream Theater e Symphony X su tutti) sono scevre dall'ossessiva ricerca di tecnicismi a tutti i costi, finendo per privilegiare in qualche modo melodie più care all'hard rock classico. I quattro ragazzi mostrano infatti un'ottima padronanza strumentale ove sembra che tutto sia al servizio della canzone; tecnicamente i mezzi sono notevoli e lodevole risulta il lavoro in studio da parte di fonici e produttore (riportare anche questi dettagli sul libretto non sarebbe stato male). Ho ascoltato il lavoro dei nostri più volte e anche molto volentieri, poiché era da un po di tempo che non mi capitava di imbattermi in una band dedita a tale genere e posso affermare tranquillamente che questo è un buonissimo lavoro. Le dodici canzoni proposte sono piuttosto varie, anche se l'act russo non spinge mai sull'acceleratore preferendo rimanere su più confortevoli mid-tempo; è forse questa eterogeneità di fondo che finisce per mettere davvero troppa carne al fuoco, rendendo gli Auron un buon gruppo a metà strada tra il prog e l'hard rock da capello cotonato e spandex. In episodi come l'ottima opener “Obsession” potrete apprezzare quanto appena affermato, anche se è indubbia la bellezza della song, tra l'altro una delle mie preferite. Si continua con questo mix di prog e hard rock ancora con “Word and Deed”, “Spring” e “Stranger” per poi sfociare in un classico pezzo prog (fin dal titolo) “Prelude in H-moll”. È proprio in questi episodi che i nostri risultano un po' troppo frenati e con il pedale del freno tirato. Discorso a parte merita la bellissima “Mirrors”, sicuramente la migliore del lotto e mia preferita in assoluto, un mezzo capolavoro. I restanti brani sono piacevolissimi a partire da “Heroes of Last Generation”, per finire con la title-track “Auron”. In conclusione un gran bel debutto, in un genere non cosi inflazionato al momento, che permette alla band di Saratov di mettersi in mostra e anche piuttosto bene. Adesso non mi resta che aspettare il prossimo appuntamento con gli Auron confidando in una maggiore chiarezza di idee riguardo alla strada da intraprendere. A parte tutto, comunque, davvero molto bravi. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2015)
Voto: 75

venerdì 18 luglio 2014

Navalm - Recovery of Sync

#PER CHI AMA: Techno Brutal Death, Cannibal Corpse, Nile
Quintetto ucraino, i Navalm fanno parte di quell'ondata di gruppi provenienti dall'est Europa che si propone come bacino d'utenza primario per quello che riguarda metal ed affini. Il cd in questione, pubblicato per la Metal Scrap Records nel 2013, ci propone un bel gruppo dedito al death estremo con alcune sortite nel technical death metal (in alcuni punti mi hanno ricordato i Nile). 15 tracce che scorrono via senza intoppi, rispettando i canoni dettati dai capolavori del genere (pescare tra le migliori uscite dei Cannibal Corpse, Napalm Death e Pestilence potrebbe esservi d'aiuto per capire in che lidi sonori ci troviamo); le composizioni sono di buon livello, la preparazione del gruppo è invidiabile e i suoni sono più che sufficienti. Non ho idea di quali siano i trend di missaggio in auge dalle parti dell'ex Unione Sovietica, ma sembra che di un bel filtro “effetto grattuggia” sulle vocals proprio non se ne riesca a fare a meno; in questo caso però il cantante riesce a produrre un growl bello tosto e quindi il filtro serve più che altro come aiuto alla povera ugola del singer, martoriata per 40 minuti. Menzione particolare e i miei più sinceri complimenti alla prestazione della sezione ritmica: batteria e soprattutto basso, fanno un figurone sfoderando una performance di livello primario. Bravissimi. Per quello che riguarda la tracklist, mi sento di consigliare le prime due songs “ Let Others Pray” e “Sign” e la mazzata da poco meno di 2 minuti “Frank Decomposition”; molte tracce hanno una durata inferiore ai 2 minuti, esplicando la marcata attitudine del gruppo a spaccare tutto in tempi brevissimi. Poche decelerazioni, i ritmi si mantengono molto alti per tutta la durata, quando si rallenta lo si fa per poco e per dare spazio a svisate di basso (Steve DiGiorgio docet) mai troppo stucchevoli, ma che anzi, aiutano a rendere più edulcorato un contesto che potrebbe risultare fin troppo aspro. Cresce con gli ascolti “Recovery of Sync” e risulta essere una bella sorpresa; niente di fenomenale, ma finisce per farsi volere bene. E per i Navalm può considerarsi un ottimo risultato. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2013) 
Voto: 65 

giovedì 10 luglio 2014

I Miss My Death – In Memories

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Theatre of Tragedy, Therion, Lacrimosa, Epica
Gli I Miss My Death sono una giovane band, formatasi nel 2007 proveniente dall'Ucraina che ci offre il loro primo full lenght, 'In Memories', dal sapore classico, carico di venature gotiche e vampiresche, uscito per la Metal Scrap Records in questo 2014. La produzione è cristallina, fin troppo simile a certe vecchie cose dei Theatre of Tragedy ('Velvet Darkness They Fear') o degli Epica in forma meno power, più romantica e oscura. Il suono è buono ma troppo nitido che non riesce a pungere come dovrebbe; le chitarre sono spesso sovrastate dalla presenza di tastiere sempre in primo piano e tutto ruota sul duo canoro dei fratelli Krivovyaz, Elena e Sergey, che oltre a prestare il suo possente growl, è anche chitarrista della band. Per Elena una super nota di colore (senza nulla togliere al fratello) poiché intona note soavi esaltanti, con la sua splendida voce (e non solo) di stampo lirico - operistico dosata divinamente in tutti i brani (ascoltate la title track, "Earl Pale" o "Trail into the Past" e toccherete con mano il canto di Elena semplicemente vicino alla divinità!). Il cd è molto lungo e supera i settanta minuti: nelle sue dodici tracce troviamo spunti dal doom dei primi Paradise Lost (quelli di 'Gothic') e dei Tiamat (quelli di 'A Deeper Kind of Slumber' anche se il suono qui è meno sperimentale e più classico), troviamo il gusto cinematografico vampiresco di certe intro a la Cradle of Filth ("Midnight in the Labyrinth"), oltre ad alcune trame musicali prese a prestito dai Therion (quelli di 'Vovin') e per chiudere immancabilmente il riferimento ai Lacrimosa. Il sestetto va tenuto d'occhio seriamente poiché ci sono gli estremi per creare qualcosa di delizioso che in questo cd non sempre riesce a emergere, ma solo perché a volte risulta fin troppo patinato e il sound troppo pulito perde il suo slancio, divenendo eccessivamente derivativo, sempre bello ma in alcuni casi dall'originalità incerta. Siamo nettamente al di sopra della media e se pubblicizzato bene, 'In Memories' potrebbe anche sbaragliare certa concorrenza più blasonata che sforna nel genere, sterili album a ripetizione. La band ucraina ha le carte in regola e un asso speciale nella manica da giocare a suo vantaggio, una voce solista femminile magica e ipnotica che supportata a dovere potrebbe portare gli I Miss My Death a vette altissime nel doom, ovvero, diventare i nuovi 3rd and the Mortals... e scusate se è poco! Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

(Metal Scrap Records - 2014)
Voto: 70

lunedì 26 maggio 2014

Spatial – Silence

#PER CHI AMA: Death/Doom
Fresco fresco di stampa giunge tra le mie mani questo dischetto, prodotto di una band polacca attiva dal 2010 e dedita a una sorta di bel mix tra death, doom e metal classico. Gli Spatial, lo dico subito, riescono a farsi amare già dal primo ascolto. Ne serviranno diversi però di ascolti, per apprezzare appieno il lavoro del “nostro” quintetto, ma quello in questione è un cd che già al primo dimostra essere di ottimo livello. Questo cd ha il pregio, notevolissimo, di districarsi agevolmente tra le varie sfumature del metal più moderno, con un occhio sempre attento a non lasciarsi sfuggire quello che di buono il passato ha saputo offrirci; e ne ha un altro di pregio, quello di essere di difficile etichettatura. Mi spiego meglio: siamo di fronte ad un gran bel disco metal, ma sarebbe troppo riduttivo parlare di death, oppure di doom, di thrash, di power o di classic addirittura...perché tutti questi “sottogeneri” vengono toccati dalla musica degli Spatial, che si dimostreranno essere assai versatili, sempre misurati e mai eccessivi. In poche parole, siamo di fronte ad una band matura, sotto tutti i punti di vista. C'è una buonissima preparazione tecnica agli strumenti e c'è un'ottima capacità di comporre; quindi, c'è quasi tutto. Spiegherò più avanti il motivo di questo mio “quasi”. Addentrandosi poi nei meandri della musica, scopriamo 11 tracce (di cui l'undicesima in lingua madre) che potrei provare a catalogare come doom metal (come caratteristica principale) miscelato più che sapientemente con voci tipicamente death, sebbene le clean si distinguano per la loro bellezza. Le chitarre sparano riffoni che colpiscono duro, ma sono capaci anche di arpeggi celestiali; la batteria non tocca mai velocità supersoniche ma è in grado di far viaggiare le canzoni su binari ben definiti. Si ondeggia la testa, e pure parecchio; il suono del disco, freddo il giusto e ben definito, aiuta gli Spatial nell'impresa di produrre canzoni in cui si sentono bene e distintamente tutti gli strumenti, tanto da far venire voglia di girare la manopola del volume verso la tacca “max”. Le quattro canzoni con cui si apre il disco, quindi i primi 20 minuti di ascolto, sono quasi perfette: "Arka Chaotis", "Silence", "Nightrage" e "Knights of the Forgotten Realm" sono devastanti, per bellezza e precisione. Eccoci arrivati alla spiegazione di quel mio “quasi” precedente: quelle che vi ho elencato rimangono, ovviamente per chi scrive, le migliori del lotto; poi il disco si assesta su livelli sempre piuttosto alti, ma senza grossi scossoni, si arriva alla fine. Secondo me, una migliore ridistribuzione della playlist, avrebbe giovato ancora di più alla qualità di un prodotto, che ripeto, rimane più che buono. Una bellissima sorpresa, un bel disco che si fa ascoltare e riascoltare volentieri; per questa ragione, aspetterò' con ansia una nuova release degli Spatial. Complimenti ragazzi, ottimo lavoro. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2014)
Voto: 80

sabato 15 marzo 2014

Halberd - Ruthless Game

#PER CHI AMA: Thrash Death, Exodus, Kreator
Esistevano, fino a qualche anno fa, le cosiddette “scuole” del metal: quella tedesca, molto classicheggiante, impassibile nel suo immobilismo e poco avvezza ad innovazioni di qualsivoglia tipologia; quella americana, che conosciamo tutti come la più varia; quella scandinava, votata ad un estremismo più accentuato e, per amor di patria, quella italiana che vedeva draghi ed elfi combattere sulle varie copertine dei più disparati gruppi che narravano interminabili saghe Tolkeniane (trend durato una decina d'anni). Per carità, l'Italia del metal è soprattutto altro, ma commercialmente ed internazionalmente quella è stata la corrente più nota. Nel corso degli ultimi tempi un vero e proprio tsunami è arrivato dalla Russia, portando una vagonata di gruppi con sé, dei più disparati generi e devo ammettere, che l'asticella della qualità è piuttosto spostata verso il basso. Vi confesso che mi sono avvicinato a questo lavoro degli Halberd con una certa diffidenza; diffidenza nata da approcci non proprio piacevoli con alcuni lavori giunti dall'ex Unione Sovietica. Risultato: prontamente smentito (dannati pregiudizi...). Ad un primo impatto sembra di trovarsi di fronte ad una band tedesca: strutture quadrate, chitarroni potenti e instancabili in quei riffoni “pieni” di plettrate alternate. Un sound pregevole, l'onda d'urto che scatena rischia di fare del male alle mie casse Wharfedale, che nonostante tutto mi invitano a far salire, di qualche tacca ancora, il volume. Musica da headbanging puro, senza compromessi e di una corposità notevolissima; vi assicuro che gruppi ben più blasonati degli Halberd non sono riusciti nello stesso intento di questi ragazzi, cioè quello di produrre musica per cuori di puro metallo e per thrashettoni della prima ora. Chi ama o ha amato gruppi tipo Kreator, Exodus, Death Angel, Testament o più recentemente Municipal Waste e Toxic Holocaust troverà pane per i propri denti: potenza, velocità, riffing killer, doppia cassa a volontà e tanta qualità. Il mix di elementi qui proposti sfiora la perfezione, sinceramente non ricordo un EP di questa qualità, nel corso dell'ultimo decennio; non mi sento di consigliare una traccia in particolare perchè sarei in difficoltà, sono “solo” 5 pezzi e meritano di essere ascoltati tutti d'un fiato, 20 minuti di pura goduria metallosa. Personalmente, si aggiudica la palma di migliore del lotto “Army of Reproachers” anche se la successiva title track non lascia scampo, con il suo devasto sonoro. Ve lo anticipo: non sarà una proposta che verrà ricordata per le innovazioni musicali proposte; qua di innovazioni, non ce ne sono proprio. C'è una cosa che, a mio avviso è più importante: c'è l'onesta. C'è l'onestà di proporre qualcosa che piaccia, prima di tutto, a chi suona; poi, benvenga, anche all'ascoltatore. Gli Halberd mi danno l'idea di essere il classico gruppo con “poche idee ma tutte estremamente chiare”; gli Halberd non sono nati per fare sperimentazioni, e non hanno neanche l'arroganza di proporle ad ogni costo. Fanno la loro onesta musica e la fanno bene, molto bene; avete presente quel giubbino di jeans smanicato pieno di toppe che avete nell'armadio? Passato di moda, ok, ma per voi sempre bellissimo...ecco, gli Halberd sono un po' come quel giubbino: forse non più di tendenza, ma oggettivamente di ottima fattura. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 90

giovedì 13 marzo 2014

Def/Light - Transcendevil

#PER CHI AMA: Black Symph./Death, Cradle of Filth, Behemoth, Dimmu Borgir 
Scrivere recensioni ogni tanto è più difficile del previsto, per una certa fatica nel reperire le informazioni delle band. Il cd di quest'oggi mi arriva direttamente dalla etichetta discografica dei nostri, ma zero informazioni incluse e il web non brulica certo di notizie che agevolino la mia vita. L'intro che apre 'Transcendevil' mi è di aiuto almeno per individuare il genere proposto, richiamandomi i bei tempi andati, quegli anni '90 in cui il black sinfonico capitanato da Cradle of Filth, Emperor e Dimmu Borgir, andava per la maggiore. I ragazzi dei Def/Light, band ucraina alla sua seconda fatica, devono essere stati dei grandi estimatori dell'epoca (come il sottoscritto del resto) tuttavia arrivano con un po' di ritardo con la propria proposta. Un black metal dalle tinte vampiresche che fin da "Neo-dont-s" richiama Dani Filth e soci. Che palle penserete voi. Anch'io devo ammettere l'ho pensato, per quanto sia un fan della prima ora di tutte le band che ho citato sopra. La voce da vampiro non manca al buon Pavel Chinenkov e nemmeno quell'aura mefistofelica che da sempre ammanta la proposta della band di Suffolk. E cosi, per semplificarvi la vita nel comprendere al meglio i Def/Light, potreste pensare ad una versione più death metal oriented dei Cradle/Dimmu, che alterna sfuriatone black tempestate da organi e tastiere con ritmiche serrate in pieno stile death (e Behemoth) condito da qualche buon assolo. Le vocals seguono un po' questo andamento, passando dallo screaming al growling, ma il singer (come Dani del resto) alla fine, canta un po' troppo per i miei gusti, stancandomi dopo qualche manciata di pezzi. Le parti più orchestrate ("Homo Novus" e "Dark Liturgy" ne sono la dimostrazione più lampante) che fungono da bridge tra le parti veloci e quelle più atmosferiche, sono state prese in prestito direttamente da "Progenies of the Great Apocalypse" dei Dimmu Borgir. Tante ombre e poche luci alla fine su questo 'Transcendevil' che giunge con più di 10 anni di ritardo rispetto agli originali. Ecco l'originalità, ciò che realmente manca ai sei guerrieri ucraini, sebbene le keys (ottima a tal proposito la bonus "Septem Millio") e le chitarre non siano affatto deprecabili, mentre pollice verso per il drumming, per quanto veloce sia, alla fine il suono della batteria risulta troppo plastificato. Insomma, niente di nuovo sotto il sole, ma musica per soli nostalgici del black sinfonico. (Francesco Scarci)

(Metal Scrap Records - 2013) 
Voto: 60 

domenica 8 dicembre 2013

Vadikan - Hydrargyrun

#PER CHI AMA: Gothic metal, Nightwish
Album di debutto per questa giovane female fronted band russa, che all’attivo ha due demo (uno uscito nel 2008 e uno nel 2010). Tutti i testi sono cantati in russo, ma nel booklet fortunatamente c’è la traduzione a fronte, grazie alla quale è stato possibile scrivere la recensione. Il sound si avvicina al melodic gothic metal, ma con una vena più soft come ci sarà modo di accorgersene più avanti nell’ascolto. Si parte dolcemente con "Break the Templates" che ricorda i Nightwish, più oscuri. La voce femminile ha una nota più lineare e quasi funebre, che il cantato in russo marca ancora di più. Si sente anche una parte growl, ma si sposta dal secondo piano all’appena percettibile. Il ritmo cambia dal flemmatico all'allegro, con una chiusura netta; è così che "A Kiss Across the Eyes" parte, rallentando però durante il suo incedere. La voce tende ad essere appena poco più acuta, sicuramente più viva rispetto al brano precedente. Le chitarre sono perlopiù melodiche e ritmiche, mai troppo preponderanti sulla batteria. Altro discorso con "Chestnut Candles": cupa, grave. Addirittura la vocalist sembra sul punto di cantare una litania funebre, cosa che mi mette un po’ i brividi. Questa sensazione si ripresenterà anche nella canzone "Autumn Again" (che è anche ciò che ho pensato guardando fuori dalla finestra e vedendo la nebbia abbracciare gli alberi che perdono le foglie), ma con la tendenza ad essere più acustica e suadente. Lasciandoci alle spalle queste sensazioni, ci si ridesta con "Eyes of the Muse". Come accennato in precedenza, la vena soft si può sentire in questo brano, tendente più ad un rock melodico che non ad un metal vero e proprio. Preludio alla vena più metal nella title track "Hydrargyrun", la chitarra è messa in primo piano, mentre la batteria in sottofondo scandisce imperterrita il ritmo. La ciliegina sulla torta arriva però con la traccia migliore di quest’opera: "I Remembered You. Finalmente i nsotri tirano fuori le unghie e il motivo cambia in qualcosa di più accattivante. Degna di nota è la batteria che apre il brano, mentre la voce soave non disdegna di sottolineare le parti più romantiche di tutta l’opera. E via di headbanging. Nel battesimo del fuoco non può mancare una composizione totalmente strumentale come "Suspense": già il nome funge da biglietto da visita, essendo inquietante per certi tratti e sperimentale per altri. Curiosa e molto piacevole. La nota stonata si ha con la bonus track "Wicked Love": ripetitiva, fiacca, al limite della noia. Fortunatamente ha influito poco sull’opinione di questa prima fatica, che globalmente si può definire come deliziosa e interessante. Certo, come ogni prima uscita si sente molto il “freno tirato” per tastare i gusti del mercato, ma qualcosa mi dice che già al secondo cd ci sarà un maggiore coinvolgimento. (Samantha Pigozzo)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 65

http://vadikan.org/

giovedì 24 ottobre 2013

Aruna Azura - A Story of a World's Betrayal

#PER CHI AMA: Brutal Death/Jazz/Progressive/Hard Rock
Murmansk è la più grande città del mondo posta all'interno del Circolo polare Artico e anche la città che ha dato i natali a questi stralunati Aruna Azura. Li appello in questo modo perché il primo pensiero che ho fatto ascoltandoli, è stato “suonano dannatamente come gli Infernal Poetry”. Proprio la band nostrana infatti rappresenta la maggiore influenza per questo quintetto dedito a sonorità techno death progressive, che esce per la Metal Scrap Records. Si parte con “Rites” e già mi sembra di essere sulle montagne russe, con le chitarre, schizoidi, che si rincorrono tra sali e scendi da urlo e le vocals belle corrosive. Ma con l’inizio di “Disaster Lullaby” non vi è già più traccia delle influenze riscontrate nella opening track. I ritmi sono lenti, delicati, con la voce che passa con una certa disinvoltura dal growling terrificante al cleaning e le ritmiche che piano piano acquisiscono una maggiore grinta per tornare a pestare in modo convulso e disarticolato, con un break affidato ad una chitarra spagnoleggiante ed un finale in cui convergono una miriade di influenze, decisamente estranee al metal. Disorientato da questa ninna nanna, passo a “Empty Dawn”, smanioso di capire quali diavolerie ha da offrirmi questo cd. Il suono di una radio trasmette programmi confusi, la frequenza si aggiusta e nelle orecchie mi ritrovo un’altra band, dedita a sonorità space rock progressive, con una voce pulita che francamente non si dimostra di buon valore. Calma ragazzi, tanto la sorpresa è dietro l’angolo e i ragazzoni russi ci prendono per i fondelli ancora una volta, offrendoci un mix tra death metal, hard rock e glam. Fate voi. Preparazione tecnica superlativa, ottime le linee di chitarra, un po’ confuso l’utilizzo delle tre modalità vocali, la produzione forse è un po’ troppo ovattata. Sono disorientato perché riesco ad apprezzare (e tanto) questo disco, solamente a tratti. Alcuni frangenti (quelli più ruffiani) sono di bassa digeribilità e cosi la seconda parte della terza traccia diventa inascoltabile, tanto da spingermi a skippare alla successiva “Substance”. Il rombo di un motore di una moto apre la song, accompagnata da un riffing sincopato, a tratti brutale. Gorgheggi cavernosi si alternano a un cantato stridulo e contestualmente la musica si infila tra queste maglie, passando da un feroce riffing serrato ad aperture rock. Diavolo, mi piace. Non mi piace più. Come devo fare per assimilare questo lavoro? Invito anche voi a dare un ascolto a questo disco perché anche gli undici minuti di “Let Them Live” non mi sono certo d’aiuto, soprattutto quando nel tessuto della song compare Louis Armstrong con ”What a Wonderful World”. Troppa carne al fuoco e forse miscelata non proprio nel migliore dei modi. Gli Aruna Azura, forti del loro isolamento nell’estremo nord, hanno messo insieme in un bel calderone, le influenze provenienti dai mondi più disparati: jazz, brutal death, progressive, thrash convergono in un esplosivo concept relativo ad un viaggio in differenti mondi, ove ormai giace il ricordo di una civiltà che si è autodistrutta... (Francesco Scarci)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/arunaband

mercoledì 24 luglio 2013

Karm Rage - SoCiym

#PER CHI AMA: Thrash metal
Ecco, prendete “SoCiym” degli ucraini Karma Rage e ascolterete un disco talmente thrash metal vecchia scuola che uno dice: “ma cavolo... è un album del 2012?!” Loro sarebbero anche da ammirare, mi sembra che cantino in ucraino (o forse russo?) e questa è una scelta coraggiosa, e tutto sommato non ci sta neanche malissimo. Non mi sbilancio sui testi, però prometto che, appena torna dalle ferie, chiedo alla badante di Odessa del mio vicino una valutazione. Cosa ascolterete se piazzerete il ciddì nel vostro lettore? Come vi dicevo thrash di quello classico, batteria che picchia, un basso dal suono oscuro e le chitarre che ci sparano riffoni al rasoio. Ecco: le chitarre sono il punto più forte dell’album. Si sente che i due chitarristi ci sanno fare, parti lente e veloci si susseguono come si deve e gli assoli sono a modo. Il cantato è quello tipico del genere con parti ora ringhiate, ora più calme e mi sembra il lato più debole del loro lavoro. Il disco è ben prodotto, tutto si sente come si deve. Le tracce si somigliano in maniera davvero preoccupante, vi consiglio “Кто ты есть?” (che dovrebbe voler dire “chi sei tu?” - Спасибо Google traduttore) che mi è parsa la migliore. Riassumendo, un disco carino, che potrà piacere a chi si avvicina per la prima volta la genere thrash, gli altri si annoieranno. (Alberto Merlotti)

(Metal Scrap Records)
Voto 55

https://myspace.com/karmarage

sabato 13 luglio 2013

Ungrace - Feed the Demons

#PER CHI AMA: Brutal Death/Thrash, Darkane, Morbid Angel
Bella botta! Questa volta la furia che si abbatte sulla mia casa, come la peggiore delle intemperie, viene dall'est Europa, dall'Ucraina per essere più precisi. Si tratta degli sconosciuti, almeno per il sottoscritto, Ungrace e "Feed the Demons" rappresenta la loro seconda release. Indicati da più parti sul web, come industrial death band, mi avvicino con grosso interesse, ma vengo immediatamente investito dalla roboante opening track, "...Will Kill You", che mi dà il benvenuto con sonore mazzate nei denti: ritmiche serratissime, vocals thrashettone e un riffing efferatissimo che esplode nel suo solo finale. Un po' Pantera, un po' brutal death, cosi al primo impatto: "All My Demons" è un uno-due sferrato nel mio stomaco che mi mette al tappeto: suoni belli pieni, un dualismo vocale growling/thrashettone, un bel po' di blast beat, qualche bel cambio di tempo, corredato da rallentamenti vari, e anche una voce "quasi" pulita, a rendere il tutto più commestibile nella sua parte più grooveggiante. Il gioco è fatto. Inteso come la mia attenzione è stata catturata. Vorrei sottolineare ovviamente che non siamo di fronte a nulla di innovativo, però senza ombra di dubbio, il sound di "Feed the Demons" è quello classico che ti fa scuotere un bel po' la testa, come ai bei tempi andati prima che la mia fluente chioma di capelli mi abbandonasse e lasciasse il posto alla piazza grande. Un po' nostalgico non c'è che dire, ma rivisto comunque in chiave moderna, l'album del quartetto di Zaporizhzhya, regala avvincenti momenti: il breve solo di "Sacrifice" e il suo finale inondato da fiumi carichi di groove, l'impercettibile elettronica di "Glamour & Pathos" che fa da sfondo alle scorribande ritmiche di questa eccelsa cavalcata. Eccellente la produzione che esalta enormemente il risultato finale del platter. La nevrotica "Sick Passion" viaggia su binari cari ai Darkane, anche se uno splendido break centrale ne esalta il valore rispetto ai master svedesi. La breve "Bleeding Thoughts" è un adrenalinico pezzo di due minuti, carico di energia e assai esaltante. Con il trittico di pezzi finale, si passa da un riffing in stile Morbid Angel con "No[w] More Hate" al blitz brutal di "S.L.F." per concludere con l'outro, ma con una ghost track si nasconde dietro l'angolo ad esplodere spaventosamente nelle mie casse e per cui non posso esimermi dall'esaltare un eccellente lavoro di death metal che farà la gioia di tutti gli amanti di simili sonorità. Esplosivi! (Francesco Scarci)

domenica 16 giugno 2013

Deathember Flower - Architect

#PER CHI AMA: Fusion Death, Arch Enemy, Chimaira, Death, Dark Tranquillity
Della serie piccoli Dark Tranquillity crescono, ecco arrivare dall'Ucraina i Deathember Flower, quartetto capitanato dalla vocalist Christina, che ci regala quaranta minuti di sonorità apparentemente di chiara matrice swedish. Niente di male fino a qui: l'amore spassionato per i suoni di Michael Stanne e soci si manifesta nell'opener, "My True Face", con linee di chitarra (anche a livello dei solos) che richiamano palesemente i gods svedesi, growling vocals (complimenti Christina) belle incazzate che si alternano ad altre sussurrate. Si, insomma, niente di nuovo e tutto alquanto derivativo anche da altri mostri sacri della scena svedese. Rimango basito invece quando parte la seconda traccia, la title track, in cui i nostri spostano il baricentro della propria proposta, migrando negli States e andando a ripercorrere le gesta dei Death, udibile prettamente nei giri di chitarra del duo di asce formato da Andrey e Valentin, che ci regalano un favoloso assolo conclusivo; ma nella song si può ascoltare la cantante anche in una veste decisamente più pulita e inconsueta. Visibilmente scosso dalla nuova direzione intrapresa dal combo ucraino, mi avvicino a "Insidious" con una certa titubanza mista a curiosità, non sapendo cosa aspettarmi: e in effetti, una nuova sorpresa é ancora dietro l'angolo, con i Deathember Flower che si travestono da heavy thrash band, con vocals quasi speed metal. Ma che diavolo sta succedendo: controllo che in realtà "Architect" non sia una raccolta di più artisti, ma non posso che confermare che questo rappresenti il debut della band di Zaporizhia. E allora corro veloce ad ascoltare gli altri pezzi: "Chaos Theory" è un pezzo di techno death con vocals che si rifanno quasi alla nostrana Cadaveria, stridule e aggressive, mentre la musica viaggia su ritmiche serrate, ricche di cambi di tempo e stop 'n go. "Nano" è un'altra song interessante, in cui oltre a metter in mostra le doti canore della eclettica vocalist, brava sia in chiave clean che in quella growl, decisamente vicina per timbrica ad Angela Grossow, degli Arch Enemy, i nostri presentano anche un suono dall'attitudine più alternativa, che mantiene un certo contatto con la musica estrema solo nelle sue ritmiche cadenzate e pesanti. Il death/thrash di "See No Future" finisce per richiamare anche le sonorità degli Arch Enemy anche se è sempre la performance di Christina a tener banco, mentre il sound incalzante, mostra anche le eccelse doti tecniche degli altri membri della band. I nostri picchiano che è un piacere anche con il trittico conclusivo di song, che palesano anche altre influenze, non del tutto identificabili in un movimento ben definito, ma che in realtà rappresentano un po' la summa di quello che è il Deathember Flower sound: un concentrato inpetuoso di techno death, swedish, thrash, speed e heavy metal, insomma una fusion che nella conclusiva strumentale "A New Era" potrà forse dare risposta a tutte le domande che mi frullano in testa. Complimenti per il coraggio. Da tenerli monitorati, please... (Francesco Scarci)