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martedì 31 agosto 2021

Manes - How the World Came to and End

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Avantgarde Music/Jazz
Dopo l’ascolto di quest’album, giunsi alla conclusione che in Norvegia ci doveva essere qualcosa di strano nell’aria, perché i gruppi norvegesi si sono rivelati, giorno dopo giorno, sempre più ispirati e in grado di reinventarsi musicalmente disco dopo disco. I Manes non sono mai stati esenti da tutto ciò: iniziata la loro carriera nel 1993 come blacksters super incalliti, hanno saputo evolvere il proprio sound in modo magistrale ed estremamente eclettico dapprima con 'Vilosophe' nel 2003. È seguito poi lo sperimentale 'View', presagio di cosa ci avrebbe riservato il futuro, arrivando con 'How the World Came to and End' a stravolgere totalmente la loro musica, con questo straordinario disco, che ho fra le mani. Questo lavoro sfugge infatti totalmente alla definizione di musica metal, perciò chi non dovesse avere una mentalità notevolmente aperta, si mantenga a distanza di sicurezza. Chi invece come il sottoscritto, ha saputo apprezzare l’evoluzione stilistica del sestetto scandinavo, potrà tranquillamente avvicinarsi a questa delirante produzione. Non saprei proprio da dove iniziare, tanto si presenta spiazzante all’orecchio dell’ascoltatore questo full length. Si parte con “Deeproted” che ci mostra subito la direzione cibernetica abbracciata qui dalla band: la voce di Asgeir è sempre ben riconoscibile su delle basi techno-jungle, che contraddistinguono il sound dei nostri. Con la successiva “Come to Pass” (e l’ottavo pezzo “The Cure-All”), assistiamo all’incredibile: l’uso di vocals rappate e suoni hip hop, stile Pleymo, inserito in un contesto oscuro e ipnotico, che termina in una fuga elettronica alla Prodigy. Con la terza traccia si celebrano atmosfere degne dei migliori Archive, mentre con “A Cancer in our Midst” vi è una ripresa dei suoni tanto cari ai Depeche Mode, con la sola differenza che le vocals sono filtrate, simil industriali. L’album di questi pazzi scatenati, viaggia lungo i binari del paradossale, attraversando lande desolate dal sapore vagamente jazzato, città futuristiche dai suoni spaziali e paesaggi notturni fatti di ritmi elettro-trip hop. I Manes hanno sempre avuto una marcia in più, versatili e dall’enorme inventiva: tutti i dieci brani riescono a catapultarci all’interno di un vortice di forme e colori, dal quale ne usciamo profondamente turbati e intontiti. Seguendo le orme dei compatrioti Arcturus e Solefald, ma ancor di più dei pionieri Ulver, i Manes hanno plasmato la loro mutante fisionomia, destabilizzando, con il loro sound, l'ormai “vecchia” concezione di musica metal. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2007)
Voto: 80

https://manes.no/

domenica 6 maggio 2012

Manes - Vilosophe

#PER CHI AMA: Avantgarde, Ulver
Mi aspettavo grandi cose dai Manes! Immaginavo che se mai ci fosse stato un seguito di “Under Ein Blodraud Maane”, quell'album avrebbe preso le distanze dal black metal o quanto meno avrebbe sconvolto l'audience "estrema" con delle soluzioni imprevedibili e assolutamente fuori dagli schemi. Sicuramente le mie previsioni sul futuro artistico dei Manes potevano apparire atipiche per un fan di vecchia data del gruppo, ma il desiderio di ascoltare qualcosa di nuovo dal genio di questi norvegesi era troppo forte per potermi accontentare di un sequel in linea con il precedente album o di un lavoro che si affermasse semplicemente come una buona conferma. Non c'è che dire! Ogni personale aspettativa nei confronti di “Vilosophe” è stata pienamente soddisfatta e anche oggi, come in occasione dell'uscita dell'esordio “Under Ein Blodraud Maane”, mi ritrovo ad esultare per un altro capolavoro a nome Manes, un album che, oltre a tagliare definitivamente i ponti con il passato, prende il largo verso un'esplorazione musicale senza ritorno, amalgamando gli elementi stilistici più disparati in una collezione di otto brani veramente straordinari. Ecco allora ritmiche jungle, psichedelia e space rock che si fondono in un corpo unico, quasi ad assumere le sembianze di un appetibile e moderno rock alternativo, ma nascondendo tra le trame di un'apparente ‘normalità’ qualcosa di subdolo e poco rassicurante. È come se in una sorta di continuazione con le atmosfere terrificanti e gelide del loro passato, i Manes ci fissassero sorridendo mellifluamente e sotto le mentite spoglie di una nuova accessibilità covassero i medesimi sentimenti disillusi e cinici di un tempo. Viene quasi naturale l'accostamento dei Manes ai conterranei Ulver, non tanto per il tipo di musica proposto ma per la simile metamorfosi che entrambe le band hanno affrontato in questi anni, passando improvvisamente dal black metal ad una forma musicale estremamente più libera e multiforme. Per il resto, classificare un album come “Vilosophe” risulta talmente arduo da rendere futile ogni tentativo: a giungere in mio aiuto sono allora gli ascolti della band, che vanno da Hawkwind, Pink Floyd e David Bowie fino ad Aphex Twin, Massive Attack e Mogwai, influenze che in “Vilosophe” si disperdono fino ad annullarsi, per poi ricomparire improvvisamente tra l'irruenza delle chitarre, i camaleontici e melodiosi passaggi vocali, le note struggenti di un piano e i ritmi spezzati di drum'n'bass. Cerebrali e sofisticati, eleganti ed irriverenti, poliedrici ed inclassificabili: questi erano i Manes del 2003, una band geniale che sicuramente ha fatto discutere e che probabilmente avrà visto l'insorgere delle solite accuse di "tradimento" da parte dei puristi del black metal. Ho lasciato volentieri certe chiacchiere a chi pensava ancora di aver qualche voce in capitolo sulle scelte musicali di un artista e limitandomi a riconoscere il valore di “Vilosophe”, un album straordinario che ha fatto dell'avanguardia e della libertà artistica una lezione di stile. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 90

lunedì 26 marzo 2012

Manes - Under ein Blodraud Maane

#PER CHI AMA: Black psichedelico, Burzum, Thorns
Alla luce dello scioglimento della band, vengo colto dall'improvviso desiderio di rituffarmi nel passato, tra le sonorità oscure del black metal più autentico, riscoprendo questo gioiello nero che tanto mi aveva emozionato e coinvolto quando fu pubblicato qualche anno fa. I Manes muovono i primi passi nell'underground norvegese agli albori degli anni '90 e registrano tre demo-tape nel periodo che va dal '92 al '95: “Maanes Natt”, “Ned I Stillheten” e “Til Kongens Grav de Døde Vandrer”. Dopo aver rilasciato queste tre registrazioni (le prime due sono state successivamente ristampate su mini-cd dalla Unveiling the Wicked, sottoetichetta della Hammerheart), dei Manes cominciano a perdersi le tracce e per un lungo periodo non giunge più alcuna notizia di questo duo, formato inizialmente da Sargatanas e da Cernunnus. L'allontanamento dei Manes dalla scena musicale sembrava dovuto ad alcuni problemi personali, uniti ad una forte repulsione che i due cominciavano a sentire per un ambiente sempre più distante dallo spirito anti-commerciale che aveva animato il black metal nei primi anni. Finalmente nel 1998 esce “Under ein Blodraud Maane”, album che era stato più volte posticipato e che può essere considerato come il vero e proprio debutto discografico della band, anche se il materiale in esso contenuto non è altro che una collezione dei brani migliori apparsi nei precedenti tre demo, riregistrati però con l'avvalsa di una strumentazione più adeguata. I sei brani che compongono l'album rappresentano quanto di meglio il black metal dei primi anni novanta abbia saputo esprimere, affiancandosi alle stesse atmosfere claustrofobiche e tetre delle quali si fecero eccezionali interpreti anche altri act più conosciuti come Morbid, Thorns e Burzum. Il suono dei Manes è terribilmente oscuro, la voce di Sargatanas agghiacciante, la produzione volutamente grezza e la presenza discreta di sinistri arrangiamenti di tastiera non fa altro che rendere più seducente la loro musica, conferendo ad ogni passaggio un tocco funereo. I tempi di drum-machine si assestano su velocità mai troppo elevate, sostenendo un lavoro di chitarre dalla struttura semplice, ma in una continua progressione di armonie, che passa da riff glaciali e taglienti a momenti più epici, fino a raggiungere la melodia allucinante ed ipnotica di assoli che sanno emozionare davvero, come in “Maanes Natt” e in “Uten Liv Ligger Landet Øde”. Dalle note riportate all'interno del booklet, l'intento di Cernunnus e Sargatanas appare chiaro ed esplicito: il duo si aspettava che l'album non venisse associato in nessun modo alle nuove generazioni appartenenti al "black" metal... un desiderio più che legittimo e comprensibile che va rispettato e condiviso ancora oggi, ricordando la prima incarnazione dei Manes come una delle poche entità realmente oscure che hanno fatto parte di questo genere. (Roberto Alba)

(Hammerheart Records)
Voto: 90