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domenica 19 novembre 2023

The Spacelords - Nectar of the Gods

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Eccomi di nuovo a recensire gli space rockers teutonici The Spacelords, quelli che prima di scrivere un nuovo disco, devono assumere un bel po' di funghetti allucinogeni (quelli in copertina tanto per capirci) accompagnati in sottofondo da una "Light My Fire" qualunque dei Doors, senza tuttavia rinunciare anche ai dettami dei Tool e forse di qualche altra combriccola del sottobosco kraut rock. Ecco, in pochi spiccioli come recensirei questa nuova fatica del trio di Reutlingen, che rispetto alle precedenti release, si affida questa volta a quattro nuove tracce, anziché le consuete tre. 'Nectar of the Gods' apre con il basso tonante della title track, in un déjà-vu di tooliana memoria per poi stordirci con melodie caleidoscopiche che potrebbero fare da colonna sonora all'Holi Festival in India, in un tripudio di colori cangianti atti a celebrare la psichedelia offerta dal terzetto. Molto più cauta e timida, "Endorphine High" si muove nei meandri di un ipnotico post rock in salsa psych progressive, tra delay chitarristici ed atmosfere dilatate ma comunque soffuse, che con un bel narghilè e sostanze proibite a portata di mano, potrebbero stimolare ampiamente i vostri sensi. Se ci mettete poi che le durate dei brani oscillano tra i nove e i 14 minuti, beh preparatevi ad affrontare uno di quei trip che vi lascia schiantati sul divano. Un trip come quello che inizia con la terza e tribale "Mindscape", tra percussioni etniche e fascinazioni oniriche, a cui fa seguito un riffing di Black Sabbath (iana) memoria, tra stoner, montagne di groove rilasciate dal rincorrersi delle chitarre, saliscendi emozionali che servono a rendere la proposta il più appetibile possibile, senza correre il rischio di sfracassarsi le palle nell'ascoltare questi pachidermici pezzi. E invece, i The Spacelords ci impongono di mantenere costantemente la guardia alta, di settarsi armonicamente con i loro viaggi atemporali, in turbinii sonici e cosmici davvero apprezzabili. Ma questo non lo scopriamo di certo oggi, visto la maturità ormai acquisita dal terzetto germanico nei quindici anni di onoratissima carriera. Carriera che oggi vanno a celebrare con l'ultima "Lost Sounds of Lemuria", una maratona di 14.14 minuti che parte cupa, pink floydiana nei suoi tratti cosi educati, tra chitarre riverberate, atmosfere sognanti di settantiana memoria, e un organo che chiama in causa il buon Ray Manzarek, in una progressione sonora che di fatto, ci indurrà fino al suo epilogo ad ascoltare in religioso silenzio. Ancora una volta, obiettivo centrato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2023)
Voto: 75

domenica 17 settembre 2023

Palmer Generator - Ventre

#PER CHI AMA: Instrumental Psych/Math Rock
È il terzo lavoro dei Palmer Generator che mi appresto a recensire. Dopo lo split con i The Great Saunities e l'album 'Natura', eccomi qui a parlarvi oggi di 'Ventre', quinta fatica della famiglia PG (vi ricordo infatti che i membri della band marchigiana sono padre, figlio e zio). Ancora quattro i pezzi che compongono questo disco (come fu per 'Natura') per una durata complessiva di 39 minuti, quindi pronti per delle mezze maratone musicali? È un inizio comunque lento ma progressivo quello del trio di Jesi, con le melodie di "Ventre I", un pezzo di quattro minuti e pochi spiccioli, di sonorità ipnotico-strumentali, che ammiccano a destra e a manca, a tutte quelle che rappresentano palesemente le influenze musicali dei nostri, dal psych-math rock, al noise e il post rock. Non manca quindi niente per chi è avezzo a questo genere di suoni, che in questo caso, si confermano comunque tortuosi e un po' ostici da digerire nelle loro oscure dilatazioni spazio-temporali. Se il primo brano ha una durata "umana", già con "Ventre II" ci dobbiamo preparare a 10 minuti di sonorità più psichedeliche: l'apertura è affidata ad un semplice ma disturbante giro di chitarra che per oltre 120 secondi riesce nell'intento di intorpidire le nostre fragili menti. Poi parte un riffing circolare, dal mood un po' introverso, che continuerà un'opera di rincoglionimento totale per dei cervelli già comunque in panne. Lo dicevo anche ai tempi di 'Natura' che i suoi suoni ridondanti ci trascinavano in un vortice sonico da cui era difficile uscirne integri mentalmente, non posso far altro che confermarlo anche in questo nuovo disco, che trova comunque modo di stemperare i suoi loop infernali con porzioni sonore più oniriche, come quelle che aprono "Ventre III", una montagna da 15 minuti da scalare, riempita in realtà nei suoi primi cinque giri di orologio, da una blandissima spizzata strumentale che va tuttavia lentamente crescendo, irrobustendosi, e al contempo dilatandosi e diluendosi in strali psichedelico-siderali (mi sembra addirittura di udire una sorta di vento galattico dal decimo minuto in poi) che si dissolveranno in suoni dronico/ambientali nei suoi ultimi tre minuti. In chiusura, i nove minuti di "Ventre IV" che gioca su una robusta altalena sonica di "primusiana" memoria, tra giochi in chiaroscuro di basso, chitarra e batteria che approderanno ad un flebile e compassato atmosferico finale. Bella conferma, senza ombra di dubbio. (Francesco Scarci)

(Bloody Sound Fuctory - 2023)
Voto: 75

https://palmergenerator.bandcamp.com/album/ventre 

lunedì 10 luglio 2023

The Sun or the Moon - Andromeda

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Era l'agosto del 2021 quando recensivo 'Cosmic' dei tedeschi The Sun or the Moon. A distanza di due estati, eccomi con il comeback discografico dei nostri in mano, 'Andromeda'. I nostri ci ripropongono, ancora attraverso un tema di tipo cosmico, il loro ispiratissimo connubio tra kraut rock e psichedelia, spingendoci indietro nel tempo di quasi 50 anni. Si perchè anche questo lavoro, come il precedente, affonda le proprie radici musicali, in band baluardo di quelle sonorità, Pink Floyd, Tangerine Dream, Ozric Tentacles e Hakwind, giusto per fare qualche nome qua e là a casaccio. E "Operation Mindfuck", che sembra fare il verso a 'Operation Mindcrime' dei Queensryche, in realtà si muove su fluttuanti sonorità oniriche, con tanto di sensuali percussioni che ne guidano l'ascolto interstellare, verso galassie lontane, e la voce del frontman a deliziarsi con vocalizzi puliti e delicati. Con "Psychedelik Kosmonaut", le cose cambiano drasticamente (ma sarà la sola traccia del disco a scostarsi cosi violentemente dalle altre) con una proposta più incalzante, come se i Rammstein suonassero cose dei Kraftwerk in versione più danzereccia, e con le voci in lingua madre, a sancire il senso di appartenenza a questo genere. "Planet 9" nuovamente imbocca la strada dell'opening track, tra lisergiche atmosfere rilassate, pulsioni cosmiche, suggestioni prog e aperture jazzy, con flauto e pianoforte veri punti di forza di un brano che sembra frutto di pura improvvisazione. Anche "Andromedan Speed Freaks" prosegue su binari affini, anche se a metà brano irrompe un robustissimo riff di chitarra, per poi successivamente rientrare nei ranghi di un sound cosmico, composto ed illuminato, pronto ad accompagnarci nelle esotiche contaminazioni di "The Art of Microdosing". Una song quest'ultima, che riassume nella sua interezza la proposta dei teutonici, che vede chiamare in causa anche i Cosmic Letdown in quelle parti più orientaleggianti, e che peraltro, nelle sue fosche melodie, concede il palesarsi di una ugola femminile e di un ispiratissimo sax, vera ciliegina sulla torta di questo inebriante pezzo. Si prosegue sui tocchi di piano di "Into Smithereens" ed una voce che, inequivocabilmente, chiama in causa i Pink Floyd, per un brano dotato peraltro di un'animosità splenica davvero emozionante. "Surfin' Around Saturn" (splendido questo titolo per cui è stato anche girato un video) ci fa fluttuare nel vuoto spaziale tra sonorità di doorsiana memoria e una forte vena pinkfloydiana che rappresenta probabilmente la principale influenza per i nostri. Analogamente, per la chiusura affidata all'ancor più eterea "40 Days", un pezzo che, seppur strumentale, rappresenta con il suo lungo assolo prog, il vero pamphlet dei The Sun or the Moon. Siete pronti anche voi quindi per un nuovo viaggio interalattico? (Francesco Scarci)

lunedì 22 maggio 2023

Ashinoa - L'Or​é​e

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock strumentale
Non ho ben capito la reale data di uscita di questa release dei francesi Ashinoa. Il sito bandcamp riporta infatti marzo 2022 come release date, mentre il flyer informativo in mio possesso, recita Maggio 2023. Mah, fatto sta che il quartetto di Lione ha rilasciato questo vinile per la Fuzz Club Records, cercando di coniugare le molteplici anime della band nei 12 brani inclusi in questo 'L'Orée', un disco fatto di suoni cinematico-elettronici, che mi ha fatto immediatamente balzare nella testa gli inglesi Archive (ascoltatevi l'iniziale "Vermillion" con quella sua chitarra southern per dirmi se anche voi non avete avuto la medesima sensazione). A differenza dei più blasonati colleghi di oltremanica però, i quattro galletti ci sorprendono con un approccio strumentale, ma quella valanga di campionamenti che si possono ascoltare lungo questo minimalistico percorso post industriale, suppliscono alla grande la malefica assenza di un vocalist. E cosi, si rivela meraviglioso farsi inglobare dalle sperimentazioni psych/kraut rock/trip hop dei nostri, manco ci trovassimo di fronte ad una versione strumentale dei Portishead fatti di acidi che decidono di lanciarsi in ritualistiche porzioni di "massive attackiana" memoria ("Koalibi"). Ci sono anche sonorità più fredde o tribali ("Space Cow", "Fuel of Sweet" e l'etnica "Disguised in Orbit"), spoken words interlocutorie ("Falling Forever"). Ma nelle note di questo lavoro, troverete ben altro: dall'elettronica orchestral-jazzistica della roboante (splendide le distorsioni chitarristiche a tal proposito) e psicotica "Feu de Joie", alla più cibernetico-pachidermica (per quei suoi suoni vicini al barrito di un elefante) "Yzmenet", che vi permetterano di apprezzare ulteriormente le alterazioni visionarie di questi pazzi Ashinoa, di cui non posso far altro che incentivarne l'ascolto. Esploratori coraggiosi. (Francesco Scarci)

(Fuzz Club Records - 2022)
Voto: 75

https://ashinoa.bandcamp.com/album/lor-e

mercoledì 10 maggio 2023

Major Parkinson - Valesa – Chapter I: Velvet Prison

#PER CHI AMA: Pop Rock
Non è stato per nulla semplice recensire questo monolitico lavoro dei norvegesi Major Parkinson, non tanto per la lunghezza dell'opera a dire il vero, ma per i suoi contenuti. La band era portavoce di un certo progressive rock, almeno nelle vecchie release; in questo 'Valesa – Chapter I: Velvet Prison ' mi sembra che le sonorità si siano ulteriormente ammorbidite, mettendo in scena una proposta che puzza piuttosto di pop (in taluni frangenti rock) assai commerciale. Ecco, un qualcosa che avrei voluto recensire, a dirvi in tutta franchezza, viste anche le 17 song che i nostri hanno buttato in questo lavoro, dico 17!! Che palle. E se le prime tracce sono un buon modo per avvicinarsi alla band e scoprirne le peculiarità, ad esempio un uso importante dei synth e di ambientazioni stile colonna sonora da commedia romantica ("Behind the Next Door", che peraltro mi sembra in una versione live, come tanti altri brani in questo disco, vedi la "springsteeniana" "Sadlands"), piuttosto che di un uso spropositato del pianoforte (la strumentale "Ride in the Whirlwind") che arriva a farmi sbadigliare, potrei citarvi un altro bel po' di pezzi per cui non posso dirmi un grande sostenitore della band scandinava. "Live Forever" sembra trascinarmi agli anni '80 con quel suo sound che chiama in causa ancora il Boss, che rimane tuttavia altra cosa. Come cigliegina sulla torta, i nostri ci piazzano poi una bella vocina di una dolce fanciulla e il gioco è fatto. O forse no, almeno non per il sottoscritto, che preferisce passare avanti e magari lasciarsi persuadere dal criptico gospel di "Jonah", forse la song che ha toccato maggiormente le mie corde. Altri pezzi da segnalare? La noiosissima (almeno nella prima metà) "Irina Margareta", che fortunatamente si ripiglierà nella seconda parte. La sintetica e stralunata, almeno per i canoni di questo disco, "The House". Forse la punkeggiante "MOMA", ma anche questa alla fine non mi convince granchè. Non so poi se "The Room" volutamente faccia il verso a "Time After Time" di Cindy Lauper, cosi come pure a Madonna, ai Queen (nel synth iniziale di "Fantasia Me Now!") o altri mille artisti degli anni '80, ma per me è ormai già troppo da digerire. I Major Parkinson rimangono sicuramente ottimi musicisti con una vera e propria orchestra di violini, violoncelli, arpe, tenori, soprani, trombe al seguito, che tuttavia poco, anzi per niente, si sposano con i miei gusti musicali. Mi spiace, ma per me è un no grande quanto una casa, almeno sulle pagine del Pozzo dei Dannati. (Francesco Scarci)

domenica 7 maggio 2023

Edredon Sensible - Montagne Explosion

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde/Kraut Rock
Due anni fa presentavamo la band di Tolosa come un tossico mix di Seefeel, Ottone Pesante e Naked City. Oggi siamo qui a riproporveli con la stessa esilarante verve ma con caratteristiche più evolute: detto che squadra che vince non si cambia, l'accoppiata di due percussionisti e due fiati si dimostra tutt'altro che logora di idee e punta dritta al salto di qualità. In effetti il nuovo disco, intitolato 'Montagne Explosion', parte subito a mille all'ora con un brano, "Poulet Gondolé (Chasuble)", accelerato ritmicamente e molto vicino allo Zorn più scanzonato e divertente passando per "Une Bonne Soupe Au Lard" che, tra strampalate grida euforiche, ci espone un tema ipnotico e paranoico. Krautrock per forma e sostanza, un sound compulsivo, sull'orlo di una crisi di nervi, suonato da sax impazziti e una ritmica cara ai Tambours du Bronx (in un numero ristretto di percussionisti) quanto ai giochi percussivi di Byrne in 'Rei Momo'. Il tutto vale anche per "GQ" e "Where Is un Alcool Japonais Qui Aime Se Baigner En Restant à La Même Temperature" . Canoni sonori che si ripercuotono in tutto il disco e lo caratterizzano fortemente. Lungi però dal pensare che gli Edredon Sensible siano ripetitivi anzi, dimostrano infatti in questo secondo full length, di aver raggiunto un consolidamento stitlistico di tutto rispetto ed una fantasia compositiva sopra la media. Di certo usare i concetti compositivi che sono più identificabili con la musica elettronica pulsante ed ossessiva, tanto per fare un nome alla Miss Kittin and the Hacker, in forma sempre progressiva, psichedelica e jazz fuori dagli schemi, non è proprio da tutti, e anche il suo ascolto non è proprio per un vasto pubblico. Il quartetto francese è senza freni e viaggia sulle onde del free jazz più libero permettendosi di mandare più di una volta in orbita l'ascoltatore, come un vero e proprio progetto di musica trance, mantenendo sempre un fortissimo legame con le fondamenta del jazz più d'avanguardia ma anche quel tocco frizzante di certo acid e free rock, come se gli Us3 riprendessero una song per riproporla in chiave psichedelica, dallo sterminato catalogo del maestro Zorn. Titoli di canzoni strani per una musica complessa e carismatica, fatta per essere compresa da una piccola nicchia di veri ascoltatori e adoratori di sperimentazione intelligente, suonata da musicisti con la M maiuscola. Quando "Lo Pastour Bai Amouda" stravolge e silenzia il tutto, passando ad un canto appena sussurrato e folk, rurale e ancestrale, con sperimentazioni vocali nel ricordo delle divine scuole di Meredith Monk, Joan la Barbara e l'ancestrale mistico di Sharron Krauss, rivela un brano assai suggestivo composto in compagnia delle belle voci di Lola Calvet, Lisa Langlois, Noëllie Nioulou, Marthe Tourret, in una traccia molto diversa e inaspettata per lo stile della band, ma davvero intrigante. Come già accennato, l'efficacia percussiva della band, si apprezza alla grande in "Where Is un Alcool Japonais...", che potrebbe rientrare nel catalogo dei Banco de Gaia (stupendi peraltro i momenti in cui la musica sembra incepparsi), mentre nei brani a seguire ci si gioca la carta dell'atmosfera e dell'esotico, ampliando ulteriormente la rosa di sonorità toccate dal quartetto. "Danke Schoen Paul" è il brano più d'impatto e disturbato del lotto, con degli stop musicali interrotti da cori stile festa di capodanno e urla forsennate tra sax impazziti e ritmi trascinanti, mentre "Gros Pinçon" è una spettacolare, straziante e lunghissima marcetta progressiva, in stile no wave, coinvolgente e stralunata, che mi ricorda lo stile dissonante di 'Eine Geschichte' dei Palais Schaumburg, unito a certe atmosfere impossibili di Terry Riley, per una melodia insana, intensa e malata. Questo è un vero disco per appassionati ascoltatori, indifferenti alle etichette di ogni sorta, questa è vera avanguardia sonora. Fatevi avanti gente, qui ce né per tutti i gusti! (Bob Stoner)

(Les Productions du Vendredi - 2023)
Voto: 84

https://edredonsensible.bandcamp.com/album/montagne-explosion

giovedì 23 marzo 2023

Dez Dare – Perseus War

#PER CHI AMA: Alternative/Garage Rock
In un rituale cosmico di circa 35 minuti, Dez Dare ci delizia con un altro album di psichedelia acuta, stralunata, astratta, figlia di una serie di teorie musicali molto personali, che ruotano attorno a questo musicista australiano con sede a Brighton (UK). La peculiarità nell'accostare strade diverse dalla psichedelia è innegabile nello stile di Dez Dare (al secolo Darren Smallman), passando dalle immagini dell'artwork, colorate e allucinate, al bel video di "Bozo", questa volta il nostro menestrello sonico, crea muri sonori con un ammasso di suoni provenienti da variegate direzioni. Che siano le chitarre fuzz dei Dinosaur Jr, il garage dei Gorilla, il krautrock, il noise rock, il fattore hippie caro a Brant Bjork, il proto punk degli Stooges, la prima synth wave elettronica o il mondo immaginario messo in musica da Daevid Allen, poco importa al nostro incredibile figlio, non dei fiori, ma dei funghi allucinogeni. Ogni cosa nel suo mondo è psichedelia, quindi, nelle sue composizioni, ci si può trovare di fronte ad un cantato che ricordi i primi riverberi dei Monster Magnet ("OUCH!"), o che un effetto vocale, diciamo alla The Pop Group (!?!), sia inserito in un contesto ipnotico di un rock scheletrico proveniente dallo spazio ("My Heels + My Toes, My Lies + My Nose"), ricordando l'effetto follia di "The Return of Sathington Willoughby", brano d'apertura di 'Brown Book' dei Primus. Tutto questo è praticamente concepito con una logica di libera espressione, di fatto tra le mura domestiche, un "Do It Yourself" anticonvenzionale, che rende tutti gli album di Dez Dare un'esperienza cosmica unica. Il suo è uno stile altamente originale, da puro e simpatico anti divo e artigiano del suono, dove il canto/parlato alla Beastie Boys, si confonde con quello dei Fu Manchu e con il tipico approccio punk, in un'atmosfera costantemente dilatata, sormontata da montagne di fuzz e xilofoni dal retrogusto dark. In effetti, come tutte le sue realizzazioni, non è facile descrivere le sue opere, si possono fare degli accostamenti a priori, ma il mood compositivo con cui genera e degenera la sua musica, scardinando il modus operandi della maggior parte delle bands che suonano questo genere, gli permette di essere veramente unico, nel bene e nel male dell'opera, e nel percorrere la strada che porta alle infinite lande della psichedelia sotterranea. L'orecchiabilità dei suoi brani è un'altra delle sue caratteristiche, poiché anche 'Perseus War', si contraddistingue per la sua facilità di approccio, anche se tutto è allucinato ed ipnotico a dismisura e nulla è lasciato al caso, e questo lo si percepisce benissimo ascoltando la ricercata musica di Dez Dare. I 2:54 minuti del singolo "Bozo", sono un apripista splendido. Garage rock degno dei 500ft of Pipe, guidato da una ritmica spinta alla Hawkind, rumori di fondo, feedback, un tremolante xilofono giocattolo e umore lo–fi. Un video divertente accompagna il brano, surreale e spettrale, decisamente geniale, come del resto anche il video inquietante di "Bloodbath-on-HI". Penso che in ambito sotterraneo Dez Dare non abbia tanti rivali, lui è diversamente psichedelico, in senso talmente ampio, che l'impossibilità di paragonarlo a qualche altro artista è reale. La sua arte riesce a parlare delle lotte dell'universo per la sua sopravvivenza come della pressione quotidiana che l'uomo subisce nella sua esistenza contemporaneamente, attraverso suoni ed immagini, che sdoganano con una certa naturalezza, incubi, sogni, allucinazioni e figure da cartone animato, atmosfere horror e commedie satiriche del sabato sera. La proposta di quest'artista è forse quanto di meglio il mondo psych rock oggi possa offrire, un rock disagiato, che non guarda necessariamente al virtuosismo, che abbandona la veste patinata e torna allo splendore del sottosuolo, fa rumore intelligente, oltrepassa il confine nuovamente, e illumina come le band di un tempo. Una musica adatta per i più folli ma sani di mente, una musica da evitare per i puristi e poco liberi all'ascolto. (Bob Stoner)

lunedì 30 gennaio 2023

Kamala - Limbo666

#PER CHI AMA: Psych Rock
A dicembre dello scorso anno usciva il nuovo disco dei Kamala, band tedesca con base a Lipsia, che avevamo lasciato con ottime credenziali ai tempi del precedente album del 2019, 'Your Sugar'. Oggi il quintetto ci grazia con un disco ancora più elegante e curato, guidato a dovere dalla bella e ispirata voce di Christian Kamper, e da un guitar style delicato e tanto efficace, dedito a raccogliere stilemi artistici di stampo jazzistico ma rivolti ad un suono frizzante, intimo, e decisamente rock, anche se in maniera molto originale e soft. La caratteristica principale che identifica questa band è il modo moderato, ricercato e sofisticato con cui si apprestano a divulgare il verbo del rock, in una veste decisamente accessibile e volutamente, passatemi il termine, intellettuale, in molti casi ai confini di tante altre derive musicali. A modo loro, i nsotri presentano un crossover sonoro diviso tra alternative rock, soul, '70s rock, psichedelia teutonica (tra echi lontani di Harmonia e La Dusseldorf), new wave, free jazz e fusion. Tutte queste idee sono però filtrate da un gusto musicale assai melodico che, come scrissi nella precedente recensione, li avvicina ad un certo modo di fare musica, simile a band di culto, dal tocco vellutato ed ipnotico, note per la loro capacità creativa; parliamo di artisti come gli Aztec Camera oppure la psichedelia dei The Dukes of Stratosphear. La cosa interessante è, che quando la band teutonica si sposta da questo terreno le cose cambiano, come in "Freudian Autocorrect", brano in cui la band, pur tenendo alto il tasso di qualità esecutiva, non riesce ad esprimere la sua magia completamente, ma la dirotta verso qualcosa di non propriamente suo, formando in questo caso, uno spartiacque tra le prime quattro tracce del disco, una più bella dell'altra (il mio brano preferito in assoluto rimane "Talking Dirty"), e le restanti quattro che chiudono il disco. Posso dire comunque, che lo spartiacque è veramente momentaneo, perchè la successiva "Yuko & Memori", rimette in carreggiata i miei sentori verso quest'opera, ripristinando l'equilibrio sperato, con un inizio quasi psychobilly, introdotto da una chitarra in lontananza che riecheggia ad un virtuosismo alla maniera di un Van Halen d'annata, per poi correre con quella verve nobile e luminosa che contraddistingue la band. Il rock scorre multicolore ed in molteplici direzioni, mai troppo rumoroso, quasi tenuto in sordina, per non offuscare con il rumore e lo strepitio di muri di distorsione, le capacità di questi ottimi musicisti (la sezione ritmica è notevole con il suo tocco pulsante ma sempre composto). "Narcissus" è una lunga ballata dai colori vividi, cari a certa neo psichedelia inglese degli anni '90, e mette in mostra le notevoli capacità vocali di Kamper, che ricorda molto da vicino il Jeff Buckley più intimista. La conclusione è affidata a "Blindspots", coronata di piccole gemme ritmiche e variazioni geniali che amplificano la bravura tecnico/compositiva di questi musicisti. 'Limbo666' è un album curato nei dettagli, compreso l'artwork di copertina, dove colori e fantasia sono uno standard fin dal loro EP d'esordio, un suono caldo e pieno tutto da gustare. Aggiungerei anche, che 'Limbo666', è la loro più completa uscita discografica, il rock che si mostra nella sua forma migliore, rinunciando a muscoli e giubbotti di pelle. Alla fine ne consiglio l'ascolto a chi ama la musica rock d'ampie vedute, suonata a dovere. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 79

https://kamalapsych.bandcamp.com/album/limbo666

lunedì 14 novembre 2022

Hyndaco - Starship Tubbies

#PER CHI AMA: Psych Rock
Psych rock che ci catapulta indietro nel tempo di mezzo secolo quello proposto dagli italiani Hyndaco in questo debut EP intitolato 'Starship Tubbies'. Cinque pezzi che delineano, sin dall'iniziale "Rosalipstick", un genere che evidenzia immediatamente come le radici musicali dei nostri affondino negli anni '60/70 grazie ad un garage rock visionario, guidato da una grande prova al basso di Lorenzo Ricci e un lavoro ai synth, tanto retrò quanto lisergico a metà brano, a cura di Andrea Ugolini. Questi a mio avviso i due pezzi forte del quintetto nella prima song, anche perchè il vocalist, in tutta franchezza, non mi fa proprio impazzire, complice un cantato all'inizio troppo impersonale. Nella successiva "Atlantika" infatti, il buon Lorenzo Vitali prova a modulare in miglior modo la sua ugola che nella song d'apertura sembrava più difficile da gestire. Allo stesso tempo, anche la musica sembra decisamente più compassata ed elegante, l'unico problema è l'eccessiva velocità con cui i nostri decidono di chiudere un brano che stava mostrando un discreto lavoro alla chitarra solista da parte di Francesco Lucchi. Con "Lubber" le atmosfere si fanno più delicate e suadenti grazie ad un gioco di armonizzazioni che rendono il tutto davvero piacevole da ascoltare, con una mistura che combina un caleidoscopico mix tra blues rock, kraut e psichedelia di settantiana memoria, con una prova vocale qui davvero convincente. La macchina Hyndaco qui sembra davvero oliata e il risultato è sorprendente anche quando il frontman ci regala uno strabiliante urlaccio a fine brano. Mi iniziano quasi a conquistare questi ragazzi, complice una consapevolezza nei propri mezzi ed una certa creatività che va via via migliorando con l'avanzare dei brani. Ho ancora problemi a digerire la voce nella title track ma un altro bel giro di basso, accompagnato da un bel lavoro di chitarra e tastiere che dipingono landscape che mi spingono a immaginare tramonti infuocati, mi fanno soprassedere sulla performance "ballerina" del frontman italico. Non chiedetemi il razionale di queste sensazioni, non ve lo saprei spiegare. Cosi come non riuscirei a spiegarvi per quale motivo l'inizio di "Foxtrot" mi abbia evocato i Depeche Mode nelle sue note di synth o i The Cure nel suo incedere darkeggiante mah, reminiscenze di tempi splendidi che furono. Per ora gustatevi questo primo episodio degli Hyndaco, potreste rimanerne sorprendentemente ammaliati. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2022)
Voto: 72

https://www.facebook.com/hyndacoband

venerdì 21 ottobre 2022

Anderes Holz - Continuo

#PER CHI AMA: Alternative/Kraut Rock
Il nuovo album del trio teutonico è un agglomerato di stili che sconvolge e appassiona al tempo stesso. Uscito via Tonzonen Records, 'Continuo' si presenta a meraviglia, con uno splendido artwork curato dall'artista kazako, Anton Semenov, ed al suo interno, come in uno scrigno magico, troviamo sonorità che gravitano attorno al mondo dell'avantgarde, dell'art rock e del progressive. Basta guardare il video di "Morgenwelt" per capire quanto gli Anderes Holz spingano il confine delle loro creazioni sonore sempre più in là, utilizzando i canoni della fantasia più sfrenata per orchestrare brani inconsueti, ipnotici, frenetici e folli. L'uso di voci femminili e maschili, una cetra elettrificata prende il posto della chitarra elettrica, il theremin, il gong a vento giapponese, registrazioni e rumori in ambiente, un basso pulsante e percussioni di scuola kraut-rock, le arie provenienti dall'irraggiungibile galassia degli Amon Duul deformano lo stile rock di questo stravagante trio. Tre musicisti eccentrici che riescono a coniugare spinte di classico metal (globus) e certa cultura hippy, con il folk, il german prog ed il prog d'avanguardia, e ancora con il futurismo di Nina Hagen e qualche attitudine punk vicine al Kalashnikov Collective, che in "Şıfr" arriva ad emulare un jingle che troviamo in "Walls (Fun in the Oven)", un brano nientepopodimeno che dei mitici Crass. Senza dimenticare poi gli istinti folk metallizzati dei Subway to Sally in sottofondo, il tutto poi riletto in salsa psichedelica ed ipercolorata, come i loro video frenetici che li ritraggono in rete. La sensazione è alla fine di essere davanti a dei menestrelli impazziti, dalle tinte raggianti ma anche dall'umore dark, che adorano l'estro camaleontico di Peter Gabriel e il classicismo esuberante di Ian Anderson, e che costruiscono, usando esclusivamente la loro lingua madre, un miscuglio musicale simile ai pezzi più moderati dei Die Apokalyptischen Reiter (epoca "Samurai") concepiti in una veste più acida, trasversale e ritmicamente fuori contesto, come nel caso di "Schwan", che in un riff dal taglio metal primordiale, si vede infiltrare una specie di rumba che lo annienta e lo smembra ritmicamente. La psichedelia drammatica di "Buto" è un vortice oscuro inaspettato ma alla fine tutto l'album lo troverete pieno di sorprese. L'alto tasso di teatralità mi rimanda a gruppi altamente allucinogeni e misteriosi, impossibili da categorizzare, come i Gong, anche se qui il free jazz è poco presente a discapito del concetto progressivo che risulta una costante compositiva. Comunque, ci troviamo di fronte ad un potenziale esplosivo di art/punk/rock progressivo e moderno, sicuramente circondato da nostalgie retrò, ma che si mostra perfettamente al passo con i tempi e che, senza pietà, arriva a spiazzare l'ascoltatore nota dopo nota. Un insieme di brani curati e ottimamente prodotti da Matt Korr, un suono pulsante e pieno, con numerose sfaccettature che lo accomunano a tante altre band di varie epoche ma che in realtà rendono l'identità della band tedesca inconfondibile e assai personale. Un disco da ascoltare più volte e a volume alto, per apprezzarne tutti i colori e i mille volti di una band che dire istrionica è dir poco. Ascolto fortemente consigliato. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 82

https://anderesholz.bandcamp.com/album/continuo-2

venerdì 30 settembre 2022

Brennensthul – No

#PER CHI AMA: Jazz/Kraut Rock
Esce via Tonzonen Records/ Headape Records il nuovo album dei Brennensthul, ed è intitolato semplicemente 'No'. In realtà questo titolo si attiene molto al corso musicale del disco, poiché individuare con esattezza quale genere stia suonando il quartetto tedesco, è cosa assai ardua, e a chi li vorrebbe più sulla sponda acid jazz o più sul versante sperimentale del kraut rock, la risposta sarebbe appunto in sintonia con il titolo, un secco "No", per uno stile come per l'altro. La giusta definizione li comprenderebbe infatti contemporaneamente all'interno delle due scene musicali e non solo. La musica di questo quartetto di Amburgo è sofisticata come il jazz, contiene una grossa ma mai pesante componente sperimentale vicina al kraut rock, un piglio funk, una buona dose di psichedelia e sfumature pop, che la rendono accessibile anche a chi non è abitudinario delle esplorazioni musicali più libere e stravaganti. Vi si trova anche della soul music, come nel singolo "Xpress Yourself", ed il collegamento con l'acid jazz, come nel primo omonimo album, è meno marcato che in passato. La componente sperimentale è più evidente, portando notevole qualità in più alle composizioni, che risultano sempre sofisticate e molto variegate. A volte il suono delle chitarre è acido, ruvido, e risulta un po' strano per lo stile in questione, ma nelle parti più in evidenza dona un tocco caldo e molto free rock ai brani. Nota importante è per la bella voce di Eva Welz, che con il canto ed il suono del suo magico sax, trascina la band nei territori più variegati, dalle atmosfere jazz più classiche all'avanguardia, come in "Turtledrive", oppure nella eterea psichedelia della strumentale "Common Slider". Questo disco ha un altro fattore che gioca a proprio vantaggio in maniera strategica, ovvero che la stupenda voce in questione canta in lingua madre quasi tutti i brani, unendo la sua grazia vocale all'aspra pronuncia del tedesco, e devo ammettere che è proprio un bel connubio, che trovo più originale dei pochi brani cantati in inglese. L'intro psichedelico ed il brano "Ja Ja", valgono da soli il disco, mentre la title track s'illumina di un fascino proprio. Non possiamo dimenticare poi come una ritmica profonda e suoni molto intensi e caldi riescano a mettere in evidenza anche un lato sperimentale della band, che trova il suo punto di partenza dai pochi secondi del minimale crescendo rumoroso di "Urknall", passando per la splendida coda finale, progressiva e psicotica di scuola Zorn, di "Machine Gun Mammut", un brano che nei suoi sette minuti circa, racchiude tutti gli stili compositivi della band. Il disco si chiude con "Drei", che inaspettatamente s'immerge in un clima da balera folk all'interno di una festa popolare di paese, mostrando un lato alquanto eclettico del quartetto, naturale e marcato. Decisamente questo nuovo disco dei Brennensthul unisce ed evolve le anime espresse dalla band nei suoi precedenti lavori, un netto salto in avanti, un album di carattere, un'opera matura. Da ascoltare con molto interesse verso i particolari e alle sue evoluzioni sonore. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records/Headape Records - 2022)
Voto: 82

https://brennenstuhl.bandcamp.com/album/no

venerdì 29 luglio 2022

Sound of New Soma – Musique Bizarre

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
L'ultima opera di questo duo tedesco, composto da Alex Djelassi e Dirk Raupach, è un parto cospicuo di 12 brani (ovvero un doppio album) messi insieme con parti scritte e donate da altri musicisti della Tonzonen Records. Compagni di scuderia (tra cui membri di The Spacelord, Vespero, etc), che hanno partecipato attivamente con le loro idee, alla realizzazione di questo undicesimo disco targato Sounds of New Soma. L'ambiente sonoro di 'Musique Bizarre' si muove attorno al regno della psichedelia più tenace e multiforme (guardatevi i video nel loro canale youtube per farvi un'idea), ipnotica e orientata verso forme di German rock, con un gusto per un certo immobilismo sonoro che induce verso l'estasi sensoriale, profuso in tutti i brani, anche se per ognuno di loro si può descrivere un universo interiore diverso dall'altro. Il mondo psych, da 'Timewind' di Klaus Shulze ai Tangerine Dream, incontra l'elettronica moderna con l'intento di riorganizzare la forma più robotica del kraut rock degli esordi, ed in sostanza tra queste tracce, si riconfermano i sentori cosmici del disco precedente, anche se qui la sezione ritmica gioca un ruolo fondamentale nel dirigere il viaggio cosmico. "Berlin Marrakesch" è una lunga suite che come preannuncia il titolo, farà la gioia dei psyconauti più vicini alle escursioni esotiche nel ricordo degli Aktuala dell'omonimo album del 1973, tra ambient sintetico, elettronica vintage e rintocchi dal sapore etnico, che riportano ad un Magreb futurista e proiettato in un deserto di qualche altra sconosciuta galassia. "Waidmann" si alterna a sapori post industriali e classicismo, con una tromba inaspettata che squarcia l'atmosfera di scuola Vangelis, che l'avvolge e ne stravolge il verso iniziale, mentre per "Klausz" (il titolo è fuorviante) credo sia indubbia la ricerca di una composizione per rendere omaggio all'infinito musicale del maestro Sakamoto, autore di brani simili, come "Hibari". In questo disco appaiono molte composizioni di lunga durata, tra le tante "Gökotta", che mi ha colpito più di altre per la sua locazione industrial/kosmische musik, mentre "Balkenspirale", è un altro brano di lunga durata ispirato e alimentato dalla mano sapiente (in fatto di rock psichedelico) degli The Spacelord, e sviluppato secondo i canoni ipnotici degli Ozric Tentacles ed anche dei Porcupine Tree di un tempo. In definitiva i Sounds of New Soma riconfermano il loro amore per certa ambient psichedelica ben strutturata e raffinata, ispirata dai grandi maestri del passato e con l'aspirazione massima di ripercorrerne le orme e rinverdirne le idee, con il rischio concreto che l'originalità non sia sempre una prerogativa. Comunque, dopo questa ennesima buona prova, per il duo tedesco l'appellativo migliore è quello di nipotini talentuosi dei Tangerine Dream, provenienti direttamente dalla costellazione di Alpha Centauri. (Bob Stoner)

martedì 5 luglio 2022

Grombira - Lunar Dunes

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Se una volta la Germania era identificata come la patria di wurster, crauti, birra e thrash metal, ora mi verrebbe da dire che la scena abbia virato drasticamente verso sonorità progressive, psichedelico-sperimentali. Non ultimi questi Grombira che tornano con un nuovo album, 'Lunar Dunes', ed un concentrato assai interessante di ipnotiche sonorità mediorientali che mi riconducono immediatamente ad un altro lavoro recensito su queste stesse pagine, ossia 'In the Caves' dei russi Cosmic Letdown che fece sobbalzare il sottoscritto e soci, per quei suoi contenuti fuori dall'ordinario, cosi mistici e avvolgenti. Si presentano in modo altrettanto simile i quattro musicisti di Würzburg che con l'opening track "Saraswati Supercluster" e i suoi oltre 15 minuti, ci catapultano nel loro mondo fatto d'improvvisazione, la classica jam session dove dar voce a tutte le idee che pullulano le menti dei nostri, da sonorità orientaleggianti appunto, allo space rock, passando attraverso psichedelia, kraut rock, jazz e chi più ne ha più ne metta, il tutto ovviamente proposto in chiave quasi interamente strumentale, fatto salvo per alcuni cori che impreziosiscono la lunghissima ed avvolgente traccia, che ha ancora modo di mettere in luce nel finale una splendida linea di basso e una spettacolare porzione percussiva. Con "Civilization One" le cose non cambiano poi di molto, soprattutto a livello di durata, con altri 13 stravanganti minuti ad attenderci. L'inizio della song mette in luce una componente elettronica in background (quasi una voce robotica generata però da uno degli strani strumenti suonati dalla band) che va a collidere con la classica e immancabile parte mediorientale. La traccia ha però modo di evolvere in modo imprevedibile, con dei sample femminili, registrati peraltro a Essaouira (Marocco) dal polistrumentista sheyk rAleph, una delle menti della band, durante le sessioni di registrazione. Comunque, il pezzo è evocativo, per quella sua miscela di rock e musica etnica. L'inizio di "Dune Tune" mi ha ricordato un pezzo dei Bowland, una band iraniana che si mise in mostra qualche anno fa a X Factor: partendo da suoni della tradizione locale ma poi lavorando in modo raffinato sul proprio sound, quello che mi rimane in testa è un che evocante usi e costumi mediterranei (Grecia in modo particolare). Gradevole, ma prende le distanze da quello space rock che avevo apprezzato nelle prime due tracce, sfociando qui in un world fusion che si è completamente perso per strada la componente rock. Lo stesso dicasi per la successiva "Mad Mullahs", in cui confluiscono suoni, colori e profumi del nord Africa con la strumentazione classica che si unisce ad una serie infinita di strumenti etnici in una danza tribale che si completerà con la conclusiva danzereccia e vorticosa "Moonface Kumneitodis". Bravi sicuramente, ma indicati per un pubblico decisamente dai gusti raffinati e ricercati. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 75

https://grombira.bandcamp.com/

domenica 8 maggio 2022

Transnadežnost' - Monomyth

#PER CHI AMA: Kraut Psych Rock
Visioni cosmico stroboscopiche per i Transnadežnost', band originaria di San Pietroburgo e dotata del nome verosimilmente più impronunciabile al mondo. Fatte le dovute premesse, perchè non domandatemi domani come si chiama questa band, non saprò rispondervi, andiamo a dare un ascolto a 'Monomyth', album di debutto uscito nel 2018 e dedito a sonorità space prog rock strumentali. Questo almeno quanto certificato dall'opener "Pacha Mama". La successiva "Ladoga" sembra infatti portarci in altri mondi, dilatati e lisergici, oscuri e magnetici, suonati peraltro con un certo spessore tecnico compositivo. Chiaro, poi manca una voce a guidarci nei meandri di questa release e per me spesso questo costituisce un problema, ma mi lascio comunque ammaliare dalle sonorità a tratti anche arrembanti che i nostri hanno da offrire nel loro sperimentalismo sonoro. Intanto si prosegue nella conoscenza della band russa e in "Kailash" si sconfina in suoni orientaleggianti che sembrano condurci a meditazioni mantriche di natura buddista, comunque inserite in un robusto contesto rock sofisticato dotato di una bella cavalcata finale. Quando accennavo agli sperimentalismi, ecco che "Star Child" mi viene in aiuto con un assolo di sax (che ritornerà anche nel finale) inserito in un atmosferico e seducente contesto musicale jazz/blues. "Huldra" sembra invece proseguire quel percorso psichedelico-meditativo-desertico messo in scena in "Kailash", con la sola deroga che qui troviamo finalmente una voce a prendersi la meritata scena. Certo, non proprio una performance memorabile, ma comunque accresce il tenore della proposta dei nostri. "Chewbacca" è un breve ma suggestivo pezzo prog rock (che mi ha peraltro evocato i Porcupine Tree) pronto ad introdurci a "Day/Night", il brano più lungo ma anche strutturato di 'Monomyth', quello in grado di combinare tutte le sfaccettature del quartetto russo, addizionate di una componente doom che ben s'incastra nelle allucinate derive stoner, kraut, tribal, prog, space, jazzy rock dei Transnadežnost' che vi ingloberanno in quest'ultimo ipnotico e delirante viaggio. (Francesco Scarci)

mercoledì 4 maggio 2022

Einseinseins - Zwei

#PER CHI AMA: Post Punk/Kraut Rock
Prendete un contesto strettamente post punk/elettronico/new wave dotato di un fascino retrò, come può essere la musica della band californiana Nass//Zuruck, munitelo di un equipaggiamento da combattimento che varia tra il glam di stampo Bowie, epoca 'Yassassin', (magari nell'ottima versione reinterpretata nel lontano 1984 dai Litfiba), e ritmiche di basso e batteria al vetriolo, molto familiari ai New Model Army della prima era ('Vengeance'), alleggeritene la verve underground, aumentatene la parte progressiva, ed incollate ad una vena compositiva brillante ed efficace; forse in questo modo vi farete un'idea, anche se solo parziale, di quest'ottima band tedesca. Cosi ho trovato i berlinesi Einsenseins, annoverati tra le fila di progarchives tra riferimenti al krautrock e ai Vangelis, con cui mi trovo peraltro d'accordo, decisamente mi trovo di dissentire sugli Hawkind o i Can. A mio avviso l'accento new wave che compare in questo terzo album intitolato 'Zwei', aumenta una certa distanza nei confronti delle uscite precedenti, inanzitutto bisogna dire che è squisitamente orecchiabile fin dall'iniziale "Graf Zahl", che sembra evocare lo spettro del Bowie di "Heroes". Come seconda traccia, con un riff alla Placebo ed un'ossessiva voglia di vocals robotiche di casa "Galactica" dei Rockets, si presenta "Plastikliebe", bella e piena di fascino tecnologico vintage (compreso il suono dei vecchi modem per l'ingresso in rete). La formula più orecchiabile che supporta questo ottimo album è alquanto funzionale e presente in maniera continua su tutte le composizioni, e dona una continuità d'ascolto notevole per l'intero album. "Regit Etarak" s'insinua in quel labile confine che separa appunto le intuizioni di Vangelis e Kraftwerk e la synthwave/new wave, che agli inizi degli '80 portò molte band al successo, notevole quanto inaspettato il rimando ai The Cure del suo riff principale ed il finale ancorato nel post punk più duro. Ecco il momento del mio pezzo preferito, "Gasetagenheizung", con una splendida sezione ritmica ossessiva, pulsante e decisamente coinvolgente che potrebbe essere stata, proprio come detto prima, patrimonio dei New Model Army. Inoltre il brano è condito da rasoiate di chitarra in puro stile The Sound, con voci sparse qua e là provenienti da un lontano cosmo oscuro che riempiono di mistero e tenebrosità quest'ipnotica traccia. "Nachtigall" insieme a "Nur Fuchs" sono le due tracce più lunghe del trio berlinese. La prima più atmosferica e magnetica, basata sul suono dei synth e dotata di una certa vena più progressiva, la seconda, che risulta essere l'altra mia traccia preferita di questo disco, costruita con i suoni tipici dei primi New Order, quelli di "ICB", o tra le note stonate e malinconiche del capolavoro 'Always Now', dei Section 25. Tirando le somme, 'Zwei', è un gran bel disco, sicuramente con dei canoni stilistici preimpostati ma sempre e comunque, in tutte le sue parti, ben confezionato e carico di stile che eleva il trio tedesco ad uno standard creativo e qualitativo molto più alto se paragonato alle loro precedenti uscite. Un'opera assai interessante per un album composto con l'urgenza creativa di un tempo, note che devono uscire a tutti i costi ed essere ascoltate da qualcuno per forza. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 80

https://einseinseins.bandcamp.com/

sabato 23 aprile 2022

Gong Wah - A Second

#PER CHI AMA: Psych/Post Punk/Indie
Li abbiamo apprezzati un anno e mezzo fa quando i nostri uscivano con il loro album omonimo. Tornano oggi i tedeschi Gong Wah, forti di un nuovo lavoro all'insegna di quelle sonorità kraut rock, elettronica e fuzzwave che avevamo avuto modo di apprezzare nel debut. 'A Second' segna il passo del secondo capitolo per la band di Colonia che vede ancora l'evocativa voce di Inga Nelke dominare il palco. E la proposta dei Gong Wah la si apprezza sin dall'opener, cosi gonfia, cosi melodica e trascinante. "Heartache Jean" corre che è un piacere e noi con la fantasia proviamo a starle dietro. "The Well" nel suo incedere pop rock ci porta nel mondo fatato dei Gong Wah, dove il basso magnetico di Giso Simon si unisce al fare seducente di Inga. Le percussioni darkeggianti di Nima Davari aprono "Consolation", una danza ipnotica che non potrà non coinvolgervi nel suo mood non troppo distante pure dallo shoegaze, in un brano che ha una progressione splendida e violenta, che la identificherà alla fine di questo viaggio, tra i miei brani preferiti del lotto. Sofferenza pura per la minimalista "Baby, Won't You Come Along", tiepida e inconsistente però nelle sue zaffate droniche. Più votata al post punk con venature elettroniche invece "Paint My Soul", ancora una volta coinvolgente nelle sue note quasi danzerecce, con la voce di Inga qui sopra gli scudi. E si arriva al momento del pezzo più lungo e strutturato del disco, "One Fine Day", otto minuti di commistioni sonore tra elettronica minimalistica, IDM, kraut rock e qualche ulteriore sfumatura che solo ripetuti ascolti potrebbero palesare. Ma questo è un altro pezzo favoloso di questo 'A Second', un disco in grado di celare ancora piccole perle tipo l'irruenta e sbarazzina "The Violet Room Track". Più ritmata invece "This Life", ed è in questo genere di brani che vedo più "normalità" nella proposta dei nostri, anche se, ancora una volta la voce suadente di Inga, ravviva un po' il tutto. In chiusura la ninna nanna affidata a "A Head Is Not A Home", una ballata che chiude questo stimolante e sperimentale lavoro dei Gong Wah. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 76

https://gongwah.bandcamp.com/album/a-second

lunedì 18 aprile 2022

Glasgow Coma Scale - Sirens

#PER CHI AMA: Kraut/Post Rock
Terzo lavoro per i Glasgow Coma Scale, band originaria di Francoforte con un nome dal moniker alquanto strano, poiché il suo significato lo possiamo trovare nel fatto che, la scala di Glasgow, sia una scala di valutazione neurologica utilizzata dai medici per tenere traccia dell'evoluzione clinica dello stato di un paziente in coma. All'ascolto della loro musica direi che si percepisce bene il perchè di tale nome, visto che per certi aspetti il loro sound avvolge completamente l'ascoltatore e come buon album di musica postrock strumentale predilige l'uso di parti emozionali, composizioni colme di atmosfere cristalline, magiche,ed introspettive. Giocato su continui intrecci chitarristici che caratterizzano oggi più che mai il suono della band tedesca, di fronte ad una struttura compositiva consolidata, che tende ad evolversi verso i lidi cosmici di certe creazioni dei 35007, l'intero album è omologato su di una costante lunghezza d'onda, in modo da sostenere un perfetto filo conduttore musicale e permettere così a chi ascolta di addentrarsi in lunghi viaggi sonori pieni di luci e colori, ma anche di melodie più cupe e talvolta, esplosioni di natura quasi prog metal ("Magik"). Il disco è complesso, a volte mi sembra quasi di sentire una versione più soft dei The Fine Costant, con meno ossessione verso il virtuosismo. Qui il suono così preciso e puntiglioso mi rimanda al progetto di Sarah Longfield, ma anche agli Airbag, se solo fossero un combo strumentale. Le canzoni sono tutte piuttosto lunghe come del resto l'intero album, la produzione è molto buona e l'ascolto è, come di consuetudine per la band teutonica, piacevole, fluido e sempre interessante. Rock indipendente prevalentemente d'atmosfera quindi, con puntate nel prog di casa Marillion unite a certe intuizioni musicali dei Laura, come l'intro di "Underskin", che con l'aiuto di tastiere e programmazione (bello il trucchetto del togli corrente al brano con ripresa al minuto 2:13), che assieme alla strumentazione classica del mondo del rock, permettono di ottenere un mood complessivo d'impatto emotivo costante, omogeneo e coinvolgente. "Underskin" è forse la traccia più rappresentativa della loro visione artistica che tende a non essere mai pesante, anzi, si evolve in soluzioni di continua espansione, e questo richiede un ascolto molto certosino, per cogliere tutti gli aspetti di forma e cura che stanno dietro a questo ottimo progetto nato nel 2014. Ottimo il finale affidato alla title track che coglie un bel rimando a certe cose dei Pink Floyd più recenti. In un mondo, quello del post rock, dove è sempre più difficile ritagliarsi uno spazio di vera originalità, i Glasgow Coma Scale riescono a trovare una propria vena identificativa, lavorando molto bene su di una formula che da tempo sperimentano, fatta di fine equilibrio tra gli strumenti e gli spostamenti sonori continui che si snodano in forma naturale in elaborate composizioni, ricche e piene di pathos che si fanno subito apprezzare. Disco intenso, da ascoltare con attenzione e tranquillità. (Bob Stoner)

mercoledì 6 aprile 2022

Taumel - Now We Stay Forever Lost in Space Together

#PER CHI AMA: Dark/Jazz
Il buon Bob si era divertito a recensire il debut album dei teutonici Taumel, sempre in bilico tra doom, dark e psych jazz. E cosi ero curioso anch'io di mettermi alla prova con la stravagante creatura di Jakob Diehl, lo "Sconosciuto" della serie Dark, che torna con la seconda parte del ciclo musicale chiamato 'TRAUM'. Questo secondo capitolo, dal breve titolo 'Now We Stay Forever Lost in Space Together', racchiude cinque nuove oscure e psichedeliche visioni del poliedrico artista tedesco. L'album si apre con "Now" che nei suoi suggestivi giochi di chitarra mi evoca immediatamente i Pink Floyd. Le analogie con la band inglese e tutto il seguito che si è portato dietro nel tempo, sono tangibili nei chiaroscuri del quartetto di Rheda Wiedenbrück, con sonorità che potrebbero essere accostabili anche alle colonne sonore prodotte dagli Ulver, quelle di 'Lyckantropen Themes' e 'Svidd Neger', tanto per capirci, anche se quanto composto dai Taumel suona decisamente più pensato ed articolato nella sua stravagante forma musicale. "We Stay", la seconda song, ha un piglio decisamente più improvvisato anche se la sua prima parte potrebbe essere usata come colonna sonora per il mio funerale. Dal terzo minuto in poi, le atmosfere si fanno più stralunate, e quanto messo in scena sembra più frutto di una jam session che altro, un incontro tra artisti jazz, kraut, doom, blues, psych e chi più ne ha più ne metta, visto che non sarà cosi semplice accostarsi a tali sonorità. E non importa che il tutto sia esclusivamente strumentale, i vari strumenti esplicano qui il ruolo di mille voci differenti. Con "Forever", l'atmosfera si fa ancora più noir: mi immagino uno di quei locali fumosi anni '60, con un sassofonista che suona minimaliste melodie di un altro tempo, mentre la gente attorno non si accorge di quell'omuncolo che in realtà è un artista fenomenale che ahimè nessuno comprende. E quel senso di vuoto che risiede nella sua anima si manifesta attraverso suoni glaciali e al contempo caldi, difficile da spiegare, ancor di più da capire. È con "Lost in Space" che si parte invece per galassie lontane, dove il propellente è rappresentato da strambe melodie aliene espletate da inaspettati strumenti musicali in mondi surreali che sembrano dipinti da Salvador Dalí, De Chirico o più recentemente da Willem den Broeder. Il disco chiude con "Together", l'ultima stravagante espressione musicale di 'Now We Stay Forever Lost in Space Together' (l'avevate notato vero che il titolo del disco non sono altro che i titoli dei brani?), in un viatico triste e deprimente di sonorità surrealistiche tra il suono di una tromba ed effetti vari che sanciscono la genialità di un ensemble quasi unico nel suo genere. (Francesco Scarci)

sabato 26 marzo 2022

La Fabbrica dell'Assoluto - 1984: l'Ultimo Uomo d'Europa

#PER CHI AMA: Prog Rock
Tralasciando un'intro recitata che ha l'impatto di un Pholas Dactylus appena assunto in banca e chiusa da una coda strumentale che suona grosso modo come tutti i vostri vinili progressive suonati contemporaneamente, '1984: l'Ultimo Uomo d'Europa' prosegue trainato da un tastierismo-colonia-di-slippermen ("O'Brien", "Chi Controlla il Passato Controlla il Futuro Chi Controlla il Presente Controlla il Passato") che conferisce tonalità vampire-horror alla maniera, per esempio, dei Goblin più cinematografici, dei Museo Rosenbach e possibilmente qualcuno dei nordici anninovanta (Par Lindh Project o forse certi Anglagard), chitarrismi hard gentle-primotullici (l'incipit di "Chi Controlla il Passato...", sempre lei o la chiusura di "Bipensiero") o garybaldi/biglietto-infernali ("L'Occhio del Teleschermo") alternati a rarefatti sperimentalismi kraut-psych (tutto il resto di "Bispensiero") appositamente retrodatati. Sopra le righe il power-singing di Claudio Cassio, collocabile tra il migliore Gianni Leone (Il Balletto di Bronzo) e la Giuni Russo meno nervosa, godibilissime certe esagerazioni ipertastierose alla E-L-P che popolano soprattutto "Processo di Omologazione", l'inevitabile (ma notevole) compendio dell'intero album. Del tutto fuori bersaglio, nell'opinabile opinione del sottoscritto, la scelta di mettere in scena un romanzo scostante e freddo come '1984', profondendo semplificazioni e sensazionalismi: “passo il tempo a pensare quanto vale una vita” et al.. Et molti al.. (Alberto Calorosi)

sabato 8 gennaio 2022

The Spacelords - Unknown Species

#PER CHI AMA: Psych Rock Strumentale
Devono averlo per vizio i tedeschi The Spacelords di pubblicare tre brani per volta. L'avevano fatto in occasione di quello 'Spaceflowers' che ricordo aver recensito durante il primo lockdown, lo rifanno oggi con questo nuovo capitolo intitolato 'Unknown Species'. Tre brani dicevo che si aprono con le psichedeliche melodie di "F.K.B.D.F" (chissà poi per cosa sta quest'acronimo), un pezzo nemmeno cosi lungo ("solo" otto minuti) che in tutta franchezza, non sento nemmeno cosi originale e catalizzante. Si rimane in territori strumentali votati ad un psych rock magnetico, a tratti lisergico, ma che in questa traccia d'apertura, non mi rapisce sguardo e mente. Ci riprovano con la successiva song, la title track, che ci trastullerà per poco meno di un quarto d'ora: partenza tiepida in cui a calamitare l'attenzione c'è un bel basso di pink floydiana memoria in sottofondo, mentre una chitarra dal sapore kraut rock, danza in prima fila come una ballerina indiana. L'effetto è sicuramente di grande impatto emotivo, un viaggio a luci spente in cui è sufficiente chiudere gli occhi e immaginare, un viaggio, un paesaggio, una persona, una scena, quello che volete, quello che la musica vi induce sotto pelle, fino a penetrarvi nel torrente circolatorio e da lì raggiungere il cervello come una sostanza psicotropa pronta ad alienare i vostri sensi, quasi quanto i colori sgargianti che contraddistinguono la cover artwork del disco. E iniziato questo trip mentale, non vi è nemmeno permesso scendere dal treno, che prosegue dritto con la terza e ultima "Time Tunnel" che vi porterà al mare nelle sue note iniziale. Si perchè i suoni che si sentono nei primi secondi, quando la chitarra acustica apre il pezzo, sono quelli delle onde del mare che sfiora la battigia. Ma l'immaginazione corre lontano, a falò sulla spiaggia, spinelli scambiati, pensieri sfuocati e tanta leggerezza, come giusto ci servirebbe in questi giorni di schizofrenia. Il sound monta piano tra echi orientaleggianti e fughe tra psichedelia, hard rock e stoner, ma intanto sale, sale ingrossandosi e crescendo di intensità attraverso ciclici e roboanti giri di chitarra in una sorta di infinita scala a chiocciola dove non riuscire a raggiungere la cima, tanto meno poi a scendere. Non so se realmente se sono riuscito a spiegarvi che diavolo ho sentito durante l'ascolto di questo disco, rileggendomi non ci ho capito granchè nemmeno io, ma queste sono le immagini un po' sbiadite che si sono autogenerate nella mia mente mentre il sound cosmico degli Spacelords mi assorbiva tra le sue spire. E le vostre, quali sono state? Godetevi 'Unknown Species' e fatemi sapere. (Francesco Scarci)