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sabato 29 luglio 2017

Sahhar - Kliem It-Tmiem

#PER CHI AMA: Black Metal
Proveniente da Malta, Sahhar è una one man band attiva dal 2006, che ama identificarsi nel "cold realm of black metal", sebbene l'ascolto di questo lavoro non s'identifichi realmente in questo genere, seppur si trovino numerose tendenze a riguardo. Si potrebbe discutere a lungo e in largo riguardo le caratteristiche fondamentali del black metal e si potrebbero fare diverse deroghe ad esse, ma tenderei a definirlo più black che ad inquadrare l'opera verso un metal cosiddetto sinfonico. Le tracce sono assai numerose (anche se il mastermind dichiara che l'album è assai lungo è per commemorare una decade di black metal), gli spunti diversi, e contrastanti sfumature si possono cogliere nel corso dell'ascolto di 'Kliem It-Tmiem'. L'impressione è quella di una musica che vuol essere epica, mistica, a tratti rabbiosa e veloce, senza i tipici toni diminuiti scandinavi che darebbero quella patina di malvagità al disco. Non sfuggono ahimè all'udito alcune sfortunate peculiarità di questa release: una drum machine opaca e dal suono ovattato fa sentire quasi esclusivamente i battiti di grancassa e il crash; la chitarra elegantemente distorta e compressa - per quanto in queste condizioni musicali possa essere preferibile un suono non troppo invadente e pulito - è magra, non eccessivamente incisiva e dai tratti innaturali. Si percepisce l'utilizzo delle tastiere che tentano di trasmettere una qualche aria peculiare ("Zliega" ne è un esempio) mentre un minimo di varietà è creato dai cori, dagli archi e da varie atmosfere, ma alla fine faccio fatica a capire se l'utilizzo di questi orpelli riescono a migliorare la performance dei brani. Una delle note sorprendenti del cd è la tecnica vocale, mutevole e potente, del frontman che trascina e sorregge la più discutibile base musicale. I testi in maltese risultano piacevoli, la fonetica semitica è particolarmente apprezzabile nei momenti più cadenzati e atmosferici. Alla fine però, ribadisco che l'eccessivo numero di song presenti rischi di rendere un po' pesante e noioso l'ascolto, a causa di una durata a dir poco estenuante per il genere proposto, complice anche un sound un po' troppo sintetico che priva di mordente l'intera opera. Non si discute la varietà delle composizioni, magari suggerirei al buon Sahhar di aumentare la creatività a scapito di un disco un po' più breve e fruibile. (Kent)

martedì 30 maggio 2017

OSS - Primo

#PER CHI AMA: Industrial/Drone/Noise
Una bustina in plastica contenente un foglio, questo leggermente più spesso del normale, macchiato, seccato e dall'aspetto usurato. Ecco il primo approccio con 'Primo', lavoro degli OSS, duo industriale proveniente dall'alto Veneto. Un canto alpino: "Era una notte che pioveva", sono i secondi iniziali di "Solda'", traccia d'apertura di quest'opera prima. Subito la base ritmica evidenzia l'utilizzo della drum machine, con il suo incedere marziale, mentre un synth ad onde quadre, fa da tappeto a vitree voci. Questo stile viene mantenuto in "Mazariol", titolo che si rifà al leggendario folletto che si aggira nella marca trevigiana, un brano che vede l'inserimento di un basso distorto ed insieme ad un'evoluzione ritmica della drum machine, conferisce un altalenante senso di moto dalle tendenze tribali. Un misterioso piano introduce "Anguana", una traccia con andamento circolare, proprio come le ceste di vimini che queste ninfe mitologiche facevano riempire vanamente di acqua coloro che si attardavano fuori casa la sera. Il movimento crescente, a cui si somma un synth accompagnato da una voce, narra l'incontro con questa fata dell'acqua, mentre altri pattern di drum machine e synth si aggiungono alla base e arricchiscono progressivamente il suono. "Biasio" è la song che più si avvicina al noise. Il theremin dei primi minuti infonde un senso spettrale, un lamento leggero che si trasforma sempre più in una spirale d'agonia che porta a suoni ridondanti e volumi crescenti fino alla completa saturazione, prima di cadere nuovamente a picco verso la fine. Il disco mostra l'attitudine tipica dei primi approcci post-industrial e power electronics, con suoni onesti, minimali e scarni. Il range dinamico è la vera potenza del disco che vede innalzarsi crescenti picchi sonori nel corso delle composizioni. Un esordio sicuramente di buone prospettive per questo progetto anche se l'EP dura solamente 25 minuti, ma sono certo (ed auspico) che in futuro il problema sia invece quello di contenere il minutaggio. (Kent)

lunedì 6 marzo 2017

Zorndyke - Witchfun

#PER CHI AMA: Thrash/Death Old School, Nunslaughter
A distanza di quattro anni da 'On Mayor Altar's Edge' tornano gli Zorndyke con quest'ultimo 'Witchfun'. Ultimo non tanto perché sia la loro ultima release discografica, ma perché effettivamente si son sciolti dopo la sua pubblicazione. Leggendo il booklet c'è un certo sentore di un disco d'addio, con i lunghi tempi di (de)composizione e produzione dell'opera, i saluti ai dimissionari della band i quali hanno contribuito alla creazione del disco, e le foto delle loro numerose avventure. Ma c'è stranamente anche la presentazione di due nuovi membri e questo lascia uno spiraglio di incertezza (nonostante in Encyplopaedia Metallum sia cambiato lo status in "split-up"). Parlando di cose più concrete, la sensazione e gli umori, che emana la band padovana non sono cambiati nel corso del tempo, anzi probabilmente si sono resi leggermente più cupi con quest'uscita. L'artwork a matita rappresenta al meglio la musica fetida che i nostri propongono, e i titoli delle tracce sono tutti riconducibili al fare occulto e alla stregoneria di diversi immaginari. "The Brown Jenkin" è la bestiola della strega Keziah nel racconto 'I Sogni della Casa Stregata' di Lovecraft, "Osculum Infame" è il saluto rituale al demonio, mentre la traccia di apertura non poteva che essere "Haxan", come l'omonimo film-documentario svedese sulla stregoneria che negli ultimi anni è stato saccheggiato da un notevole numero di band, soprattutto in ambito doom. Essa è un'introduzione lenta, pesante con accelerazione thrash, tutto il contrario della potenza che fuoriesce dalle successive "Ten Thousand Needles" e "Reavers Of Their Eternal Sleep", che accennano ritmiche veloci e selvagge con sonorità classiche stile speed/thrash anni '80. Queste sonorità hanno prevaricato la componente crust punk del precedente lavoro, componente che non manca nemmeno in questo lavoro ma che risulta decisamente meno marcata. Il disco si alterna così tra suoni oscuri e produzione pessima, sfuriate death, cavalcate crust e puntatine chitarristiche thrash. "Be Bewitched" è la prova principe della violenza di questa band, in cui la voce mostra spasmodici cambi tra growl e scream ed insieme alle ritmiche furiose, dispensa inattesi sberloni sonori. L'ultima "Unctorial March" è forse il punto più alto di questa stregoneria con il suo sviluppo e il suo trasudare sulfureo. Come dico spesso, il ritorno a sonorità vecchia scuola ha creato tante band valide e altre un po' meno, il che contribuisce a distinguere i musicisti dai perditempo. Io sono il primo che non sopporta la semplicità, ma in certi casi la si può trascendere, e qui la conclusione è univoca: attitudine. Musica veicolo di bestialità, musica non curante del resto, musica per suonare e godere del suonare. E se non ci sono questi prerequisiti non c'è metal estremo vecchia scuola. Cari saluti ai Zorndyke. (Kent)

(Baphomet in Steel - 2016)
Voto: 65

https://www.facebook.com/ZORNDYKE-53181357269/

venerdì 3 marzo 2017

John, the Void - II

#PER CHI AMA: Post-Metal, Cult Of Luna, Amen Ra
Sono cresciuti. Questa è la prima cosa che mi passa per la mente dopo i primi minuti di 'II', il nuovo lavoro dei bad boys di Pordenone, John, the Void. Dalla regia però mi dicono che tecnicamente è il loro primo full-length, sinceramente non ricordo se il loro primo lavoro l'avevo vagliato come un EP, ma se non ricordo male le tempistiche erano piuttosto prolisse (mai quanto questo, s'intende). Si nota subito che i brani sono più strutturati, più pensati e completi rispetto all'impressione avuta dall'ascolto del precedente self-titled. E il suono è sicuramente più ricercato e calibrato per far emergere sensazioni e scenari durante il suo ascolto. Quello che mi balena in mente è: degrado provinciale notturno, ruggine e vetri rotti. "John Void" è ossessione, ripetitività, inadeguatezza alla vita. Opener lunga, lacerante e schietta nel dire chi si è, cosa si vuole, perché non si è e perché non si vuole. La successiva "Enter" (traccia che a mio parere sintetizza nei suoi oltre 14 minuti, tutto l'album e la proposta del gruppo), dato il titolo e i suoi primi minuti, sembra voler dire che la song precedente era solo un avvertimento e ora comincia il vero viaggio promosso dai John, the Void. La voce è tagliente, incontrastabile, grama nell'incidere tra le cupe bordate chitarristiche, le quali creano polverosi vortici sonori, mentre i ritmi monolitici trascinano inevitabilmente nell'abisso creato dal sestetto friulano. Queste prime tracce che segnano la prima metà del disco sono d'impatto, enormi, violente, fanno muovere (al giusto ritmo) la testa nei momenti aggressivi e svuotarla nelle parentesi più dilatate. Si apre quindi la sezione oserei dire più "soft", con l'eterea "Obscurae Terrae", la quale segna una cortina dal sapore droneggiante a metà del disco. La seguente "Neon Forest" anche se movimentata da caustiche accelerazioni, corrode la prospettiva claustrofobica con delicati inserti melodici, mentre l'ultima "Season" culla fino alla conclusione di questo viaggio con pacata dolcezza. Le tracce si amalgamano perfettamente l'una all'altra, tanto che è facile lasciarsi trasportare e non rendersi conto che il disco è già ricominciato. In conclusione, 'II' è un lavoro che corrisponde ai canoni compositivi del post-metal ma con una propria personalità evidenziata dagli inserti elettronici molto più marcati rispetto al disco precedente e dall'atmosfera qui fredda e oppressiva. Atmosfera che vale tutto l'ascolto dell'opera. (Kent)

(Drown Within Records/Dullest Records/Dingleberry Records - 2016)
Voto: 70

https://johnthevoid.bandcamp.com/album/ii

domenica 12 febbraio 2017

Intervista con Hungry Like Rakovitz


Conosciamo qualcosa di più dei grinders Hungry Like Rakovitz. Di seguito il link all'intervista che il nostro Kent ha avuto con la formazione bergamasca:

sabato 28 gennaio 2017

Intervista con Shores of Null


In occasione del tour autunnale dei Shores of Null, abbiamo incontrato la band capitolina e fatto due chiacchiere per sapere un po' di più del loro passato, presente e futuro. Di seguito il link all'intervista:

martedì 27 dicembre 2016

NAG - S/t

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore, Kvertelak
I NAG sono un trio proveniente da Stavanger - e cito testualmente - Norway's West Coast. Il loro nome deriva dalla parola norrena atta ad indicare la rabbia repressa. Leggendo la presentazione della band ci si potrebbe disperare al pensiero dell'ennesimo clone che evoca le parole "black metal", "hardcore punk", "crust", "punk metal" e qualche riferimento al Nord Europa. È difficile per il sottoscritto comprendere poi se il tono dell'ensemble è ironico o meno, quando affiancano espressioni riguardanti l'attuale erosione della socialdemocrazia con la necessità di formare una band punk hardcore. Tornando alla musica, il trio norvegese riesce a superare le aspettative grazie ad una vena che oserei definire "allegra". L'iniziale "Mute" è una piacevole opener grazie al quel suo mood tipicamente raw black metal. Un'atmosfera che si ritrova ancora marcatamente in "Back to the Castle" e più sporadicamente in alcuni tratti di altre tracce. Il punk dei NAG è più vicino a gruppi hardcore e crust britannici o svedesi, basta passare in rassegna le successive "Fray", "Empire" e soprattutto l'ultima "What If You Are Right", per cogliere questa peculiarità. Ogni tanto però, i nostri cadono vittima di clichè "americani" o quei tipici tremolo picking che ormai ritroviamo ascoltando qualsiasi band che non vede l'ora di usare l'aggettivo "blackened" per autoreferenziarsi. "Soon" è la song che mi ha colpito maggiormente: in un pur breve minutaggio, riesce a fondere canti corali e riffs che potrebbero ricordare gruppi come i Thyrfing e offrire inoltre accelerazioni belle tirate con una delle poche apparizioni dei blast-beats in questo disco. "The Last Viking", ascoltata con leggerezza, potrebbe essere confusa con "Utanforskapet" dei Martyrdod. "Ancient Wisdom" è invece il singolo estratto da questo debut album, e a mio parere è una delle tracce che meno rappresenta l'act scandinavo. La biografia dei NAG batte il tasto su parole come aggressivi, primitivi, oscuri, in realtà la produzione è mediamente brillante, la registrazione incredibilmente pulita, il suono è leggero e con poca saturazione. Tutto assai lontano dal caos, dall'oscurità e dalla violenza, che ci si aspetterebbe da un gruppo punk. Tutto di più lontano dal "NAG". In conclusione, il gruppo presenta un disco con canzoni varie come approccio, moderatamente originali e disomogenee, conferendo in tal modo freschezza e dinamismo al proprio sound. Se cercate del punk/metal pesante, oppressivo e senza respiro, lasciate stare; se invece apprezzate la ritmica old school e non disdegnate qualche sprazzo di malvagità black metal, allora ve ne consiglio l'ascolto. (Kent)

(Fysisk Format - 2016)
Voto: 65

https://naghardcore.bandcamp.com/releases 

sabato 27 agosto 2016

Blerthrung - Blindvei

#PER CHI AMA: Raw Black Metal
Blerthrung è un duo black metal proveniente dalla ridente e solare Melbourne. Da diverso tempo non mi arrivava una elegante busta in plastica con un CD-R e un foglio di carta stampato in bianco e nero. Questo genere di cose solitamente viene visto come una scortesia ma in alcuni casi, come quello della musica che non ha interesse né verso il mezzo né verso gli altri, è benevolmente accettato (tra l'altro, visitando la loro pagina di facebook è annunciata la stampa di musicasette a cura della etichetta francese Wulfrune Worxxx). L'ascolto di questo debutto lascia un attimo disorientati al primo impatto, non riuscendo a capire la strada che voglia percorrere il gruppo a causa di troppi stili e direzioni diverse intraprese. "The Ground" ci accoglie con un accettabile, mesto e basilare depressive black, "The Black Plague" e "Their Virus" non sono classicamente veloci, e men che meno oscure e malefiche, anche se cercano di strizzare l'occhio al lo-fi scandinavo ricordandomi i primi demo degli Abruptum. Gli intermezzi e "Cracks In The Stone" approcciano arie melodiche e gothiche, con un cambio di sonorità poco piacevole. Le uniche tracce che mi ricordano piacevolmente, dal punto di vista concettuale, il black metal vecchia scuola sono le ultime "What We Have Grown" e "Ancient Wisdom", in cui finalmente si sente velocità, tiro e un po' di tenebra australe. La volutamente scarsa qualità sonora, l'estetica disperata, naturalistica e oscura non bastano a giustificare il genere e la sua esecuzione. A mio parere il gruppo australiano non ha sbagliato qualcosa nel ricettario del "voler essere black metal", ha semplicemente composto musica ancora acerba e senz'alcun impatto. (Kent)

lunedì 22 agosto 2016

Haiden - S/t

#PER CHI AMA: Progressive Sludge, Mastodon, Russian Circles
Primo lavoro per gli Haiden, un EP della durata di poco più di venti minuti, in cui questo trio belga propone un post-metal strumentale, anche se mi viene leggermente forzato definirlo tale poiché il sapore che deriva dall'ascolto di questo lavoro omonimo risente molto del polveroso sound desertico statunitense e di una certa vena progressive. Al primo ascolto infatti, il lavoro dietro alle pelli mi ha ricordato quel prog anni '70 tipicamente italiano che si mescola al funky-jazz, di cui possiamo trovare il suo apice nelle colonne sonore dei film polizieschi. Inutile dire che i due chitarristi seguono strade dicotomiche. Le composizioni, a differenza di altri loro colleghi dediti a questo genere strumentale, non sono lunghe, ripetitive o strazianti, ma sorprendentemente eterogenee sia come struttura che come idee. Idee, che forse risulteranno fin troppe nell'evoluzione del dischetto; e anche se alcune davvero buone, faticano talvolta nell'amalgamarsi tra loro alla perfezione. Ad ogni modo, il risultato che ne deriva è decisamente ammirevole per un EP di debutto orientato a sonorità già esplorate e sfruttate fino allo sfinimento. I primi secondi di "Harae" aprono il disco con riffs ridondanti e sonorità calde, graffianti, sature, tipicamente stoner. La seconda, "Chabe", si distingue invece per l'iniziale cavalcata sottovoce alternata a bruschi cambiamenti di dinamica e ritmo, mentre le successive "Valken" e "Mimas" giocano, rievocando i Neurosis, su ritmi tribali e chitarre a tratti noise e dissonanti. L'ultima song, "Hekla" (chissà se il titolo si riferisce al nome del vulcano islandese/ndr), è la traccia più particolare del disco, e lungo il suo scorrere possiamo trovare ampie bordate sonore, eclettici arpeggi, fulminei cambi di tempo. In pochi minuti, questo debut ci propone una rassegna di pensieri frizzanti e vivaci, nonostante la patina data in sede di mastering sia volutamente cupa e chiusa. Tecnicamente, il gruppo di Gent avrebbe ancora molte cose da dire e potrebbe di certo dare ancor di più; non ci resta che aspettare un full length in cui sono certo che il psichedelico trio raffinerà non poco la propria proposta. (Kent)

martedì 26 luglio 2016

mercoledì 20 aprile 2016

Chrch – Unanswered Hymns

#PER CHI AMA: Doom, Solitude Aeturnus, Earth, Cathedral
Non esistono compact disc dei Chrch ma solo audiocassette o vinili, ed io sono il fiero possessore di uno di quest'ultimi. Tre tracce, quarantacinque minuti. Il combo californiano, con questo debut album, evoca un doom ipnotico, estenuante, con tratti psichedelici e poderosi fendenti sonori. “Dawning” si apre con movimento paradossalmente veloce, ove le chitarre granitiche dettano il ritmo, il basso è enorme, distorto e riempie ogni poro dell'anima. La voce pulita di Eva si alterna con lo screaming arcigno di Chris in un orrorifico dialogo. Verso metà brano si entra in un banco di nebbia sostenuto da arpeggi puliti dai contorni liquidi, dove la voce femminea accompagna l'ascolto tra il monolitico pronunciarsi della linea ritmica e un'eterea chitarra solista. Durante quest'onirico viaggio, la nebbia si dirada progressivamente fino a far tornare le distorsioni sovrane e aumentando il ritmo esponenzialmente fino a ritrovarsi nel movimento iniziale, che colpisce con ancor più forza e malvagità. Segna l'inizio del lato B “Stargazer”, song che si rivela la parentesi melancolica del disco e culla l'ascolto nell'agonia della saturazione sonora. Le chitarre sono melodiche e l'atmosfera sognante non si perde nemmeno quando nella seconda metà del brano, il tutto s'incupisce con sporadici scream e chitarre maggiormente aggressive. La conclusiva “Offering” rallenta ulteriormente il ritmo trascinandoci in un buio e interminabile oblio. Le pennate si fanno ancor più lente, il sustain e i feedback invitano la materia grigia a dissolversi, le urla angoscianti avvertono dell'impossibilità della salvezza, le basse frequenze non lasciano quartiere. 'Unanswered Hymns' è un disco a dir poco mastodontico a livello di suoni, volumi e songwriting. Riesce a catturare, emozionare, distruggere e tumulare tutto ciò che si è provato. L'ascolto è altamente consigliato sia ai proseliti della scena stoner-doom americana che a coloro che sono più affezionati alle funeree atmosfere continentali. (Kent)

(Battleground Records - 2015)
Voto: 80

sabato 16 aprile 2016

Valgaldr – Østernfor Sol

#PER CHI AMA: Black Old School, Satyricon
La nota tela di Theodor Kittelsen è un piacevole primo impatto con il debut album dei norvegesi Valgaldr. E proprio come il dipinto è stato più volte ripreso da altri gruppi (Burzum in primis), il duo propone un black metal privo di qualsiasi originalità. Purtroppo, questa scelta di riprendere gli stilemi anni '90 si scontra con una mancanza di oltranzismo che non riesce a esaltare il prodotto finito. Il disco si apre con “Tusen Steiner”, traccia energica e dinamica la quale mi rimembra la tipica aggressività di un arcinoto gruppo elvetico, mentre la seconda “Et Slott I Skogen” si addentra con il suo riffing sgargiante su territori riconducibili alle melodie tipiche di gruppi come Satyricon, le quali ritroveremo pure in “Slagmark”, la traccia a mio parere più inconsistente dell'opera. “Taakenatt” è veloce, granitica, diretta e grazie alla sua monotonia rispetta tutti i canoni della genuinità tipica del metal oscuro scandinavo. Questa song, insieme alla traccia successiva rappresentano le prime composizioni dell'opera capaci di evocare un minimo di oscurità, soprattutto “Aske Til Aske” con il suo arpeggio semplice ma efficace.“Vargnatt” segna l'inizio della seconda parte del disco e saccheggia spudoratamente la musicalità di 'In the Nightside Eclipse'. Questa seconda metà, grazie a tracce come “Over Fjellheimen” e “Begravelsesferd”, placa la rabbiosità e la grinta thrash/black per affacciarsi verso parti più pacate ed evocative grazie anche a un approccio corale a livello vocale. A livello sonoro invece, le pecche principali del disco si potrebbero ricondurre a un songwriting matematico e ripetitivo, il quale nonostante i plagi non riesce ad amalgamare pienamente il tutto. Inoltre, troviamo una batteria debole e prevedibile che manca totalmente della furia tipica del genere; infine, un taglio delle frequenze alte che invece di enfatizzare una ricercata cupezza o suono wannabe “old school” non fa altro che togliere dinamica alle ritmiche. In conclusione, questa prima fatica non colpisce granchè nel segno e la sua piattezza è gravata ulteriormente dal potenziale derivante da tutte le idee riciclate. Perseguire uno stile sorpassato e esaurito nel suo ambito non è un male anche se è limitante, ma la mancanza di creatività non può essere giustificata. (Kent)

(Fallen Angels Productions - 2015)
Voto: 60

https://valgaldr.bandcamp.com/

giovedì 14 aprile 2016

Ashen Horde - Nine Plagues

#PER CHI AMA: Death/Black, Akercocke, Mithras
La seconda fatica per gli Ashen Horde, one man band californiana del polistrumentista Trevor Portz, è un concept album horror incentrato su nove piaghe che affliggono gli abitanti di un piccolo villaggio isolato. L'opera, oscura ma di brioso ascolto, non è di facile descrizione a causa delle sue numerose sfumature che ricoprono le composizioni, ma sin dall'inizio chiara e forte è l'impronta progressive in gran parte dei suoni che richiamano nomi del calibro di Morbid Angel, Immortal, Behemoth e Strapping Young Lad. “Desecration Of The Sanctuary” introduce epicamente l'opera e, subito dopo terminato l'accomodamento con le sonorità create dal nostro musicante hollywoodiano, non lascia scampo complici le sfuriate death/black e le ritmiche sincopate che con l'avanzare della traccia diventano sempre più serrate, innalzando malvagi muri di blast-beats. L'opener, insieme all'ultima song, “A Reversal Of Misfortune”, sono le composizioni più prolisse del disco con l'evidente compito di accompagnare l'ascoltatore dentro e fuori da questo concept e a mio parere sono anche le tracce meglio riuscite del disco grazie a questa loro funzione pedagogica capace di coinvolgere ulteriormente l'ascoltatore. Le piaghe invece centrali viaggiano su distanze più brevi e colpiscono dirette e precise, alternandosi tra furiose accelerazioni e rallentamenti marziali, trovando nel binomio creato da “Feral” e “Famine's Feast”, un accostamento a dir poco letale. Altri brani, come “Atra Mors” e “Dissension”, trovano invece la loro forza nel riffing sinistro che rende l'atmosfera fredda, gelida, notturna e soprattutto angosciante. Nonostante tutta la malignità che trasuda, il disco abbonda di melodia la quale, seppur mascherata da toni cupi e macabre pennate, esce palesemente negli assoli e pare essere il marchio che contraddistingue complessivamente il sound degli Ashen Horde (mi sovviene un'analogia con l'ossessiva passione per la scala minore armonica nei Death). Alla fine 'Nine Plagues' è fonte di linfa fresca per il metal estremo figlio delle classiche band death e black, che a livello puramente sonoro rimane ancorato al passato senza cercare particolarità come fatto da altri act quali StarGazer, Mithocondrion o Portal. Questo non significa che il disco suoni banale o semplicemente già sentito, anzi sono certo che gli amanti del classicismo apprezzeranno particolarmente le scelte di Mr. Portz. A livello più personale, una pecca che trovo in quest'opera, seppur riconosca la preparazione tecnica e l'alchimia ricercata dal mastermind statunitense, è la mancanza di una certa espressività nelle composizioni, in quanto il disco si muove costantemente a livelli massimi di rabbia e potenza. Non c'è alcun riff particolare o qualche passaggio che mi coinvolga realmente o mi rimanga in mente, ma sono conscio che 'Nine Plagues' sia certamente un lavoro complesso, pieno di elementi, che necessiti di numerosi ascolti per essere assimilato a pieno. Sono sicuro che con pochi accorgimenti, gli Ashen Horde potrebbero sorprenderci ancor di più in un (speriamo breve) futuro. (Kent)

(Mandol Records - 2015)
Voto: 70

lunedì 30 novembre 2015

Regnvm Animale - Et Sic in Infinitum

#PER CHI AMA: Post Black/Punk, Krallice, Radioskugga, Anti Cimex, Agalloch
Prodotto curioso e ricco di variazioni stilistiche quello degli svedesi Regnvm Animale, che con 'Et Sic in Infinitum' arrivano al debutto sulla lunga distanza. Dopo lo scoglio iniziale rappresentato dalla terribilmente old school “Maya”, già dal primo ascolto si nota il sottobosco sonoro richiamante in ampia forma crust in stile anglo-svedese miscelato al black metal. L'ascolto di tracce come “Från Bördig Jord Till Salthed” e “Osäkerhetsprincipen” evoca atmosfere epiche volte ai radiosi anni '90 scandinavi, mentre altre come “Ars Moriendi” e “Förfallet” tendono più verso recenti sonorità americane dal piglio atmosferico e melodico. Menzione particolare necessitano le ultime due tracce “Inåt” e “Grund” che vedo un po' come due bonus track, isolate dal resto dell'opera. L'approccio può certamente ricondursi all'intrinseca malinconia e rassegnazione sprigionata da alcune parti precedenti nell'opera, ma queste la rielaborano con uno stile completamente differente, la prima tendente al post-punk con voce pulita e ritmi ipnotici, la seconda al folk con tanto di banjo e chitarra acustica. Tutte le liriche sono in svedese e le tre voci, grazie ai loro differenti approcci canori, regalano dinamismo durante lo scorrere della musica, sebbene le composizioni siano alquanto semplici. La produzione è limpida e basilare, rende i suoni puliti e brillanti anche nei momenti più oscuri e truci del disco, facendo risaltare le parti acustiche e melodiche. Alla fine, il risultato di questa seconda uscita dei Regnvm Animale, è un'opera dalle molteplici sfumature, con ancora qualche incongruenza nella visione d'insieme per quanto riguardo lo stile principale da adottare, in quanto capace di attirare maggiormente i fan di derivazione del black metal moderno piuttosto che quelli del crust. Comunque interessanti. (Kent)

(Self - 2015)
Voto: 70

giovedì 26 novembre 2015

Confidead - Rise

#PER CHI AMA: Hardcore/Punk/Metalcore, Pro-Pain, Madball
I finlandesi Confidead esordiscono con 'Rise', album dalle grafiche old school tattoo e dalla musica da loro chiamata “Mudlake Hardcore”, la quale altro non è che del classico hardcore punk in stile newyorkese. Le composizioni qui contenute risultano di primo acchito, pressoché identiche l'una all'altra e per questo rischiano talvolta di farci cadere nella noia: la voce è costantemente urlata con cori armonizzati, riff granitici e un ritmo assai elevato, le dinamiche quasi del tutto inesistenti. A tratti, i Confidead ricordano i Disfear, per quelle veloci melodie, le quali suonano anche piacevoli e ben inserite nel contesto dell'album, come nel caso di “Strength to Prevail” e “Fuck You All”, o alcuni feroci d-beats voluti principalmente all'inizio delle tracce, come si può ascoltare in “Song for the Dead” e “Face First”. Dopo numerosi ascolti però, il disco fatica ancora a crescere, e uscire dall'anonimato di un genere che se non ha detto tutto poco ci manca; alla fine ciò che rimane è solo qualche sporadico ricordo a livello lirico, dal dubbio contenuto intellettuale. Tuttavia la produzione patinata punta tutto su una compressione totale che enfatizza gli stop'n'go e l'impulso ritmico, che contribuisce a conferire un minimo interesse al disco. Alla fine, questo debutto per il quintetto di Järvenpää altro non è che una prima prova che dimostra che per il momento, i bad boys finnici hanno appreso bene la lezione e l'hanno replicato perfettamente le band capostipite del genere. Non c'è nulla di sbagliato in 'Rise', né fuori posto, se non una palese difficoltà nel far trasparire una ben definita personalità, che in un prossimo album, auspico possa emergere ben più forte. Avanti, ma con più coraggio. (Kent)

(Kuri Records - 2015)
Voto: 60