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lunedì 3 febbraio 2020

Deemtee - Flawed Synchronization with Reality

#PER CHI AMA: Experimental Black, Deathspell Omega, Ved Buens Ende
Stravagante proposta quella della one-man-band madrilena dei Deemtee. Capitanata dall'enigmatico NHT, membro tra gli altri di Alien Syndrome 777, As Light Dies, Autumnal e Garth Arum, tutte band caratterizzate comunque da una certa personalità, questa prima release intitolata 'Flawed Synchronization with Reality' presta il fianco ad una psicotica rivisitazione di un black contaminato, sperimentale e spesso fuori dagli schemi. E non poteva esserci complimento migliore per i Deemtee almeno da parte del sottoscritto da sempre alla ricerca di sonorità originali. E il buon NHT, rischiando il più pericoloso deragliamento, mi sa ipnotizzare con un sound davvero particolare. Parlandoci in tutta franchezza, ci sono delle cose che non ho amato particolarmente di questo cd, tipo quando il factotum percorre strade un po' grezze o piattine, di contro ci sono momenti di folgorante genialità. Penso alla prima delirante "Birds" che sfoggia una lunga parte centrale tra atmosfere da incubo, spoken words ed una ritmica in stile meshugghiano dotata poi di un'evoluzione sonora che finisce per abbracciare anche un che della stravaganza di Devin Townsend. Rimango già conquistato dai primi dieci minuti di questa release che in un qualche modo riesce a contaminare la propria proposta anche di quello scorbutico sound della scena transalpina. L'influenza dei Deathspell Omega diviene ancor più forte nella seconda "Badtrip Culmination", una song dalle ritmiche sghembe e malate, che chiama in causa anche gli Aevangelist ed una band in cui il nostro polistrumentista presta i suoi servigi, ossia gli Aversio Humanitatis. È un assalto all'arma bianca quello che ci investe nelle note persuasive e insane della seconda traccia che esalta le potenzialità di questo alterato ensemble ispanico che chiude con quello che parrebbe il verso ammaliatrice delle sirene. Siamo invece in territori più death oriented con "Glowing Serpents Everywhere", anche se a livello ritmico percepisco un che degli australiani Alchemist che erano finiti nel dimenticatoio ma che riemergono nelle note di questa song che si muove anche in territori più criptici, tipici del doom e che addirittura sfoggia un cantato pulito. È comunque una costante ricerca della soluzione ad effetto a caratterizzare il disco che per intenderci palesa ancora qualche spigolo da smussare. Le idee sono buone, in taluni casi ottime, ma poi emerge qualcosina che come dicevo non mi entusiasma poi troppo. Nella terza canzone emergono le influenze degli Alien Syndrome 777 e mi sta bene, non mi esaltano invece troppo le ritmiche, che suonano troppo obsolete, cosi come quei riffoni in testata a "Multiverse Recoil", cosi influenzati dal sound americano, non mi eccitano poi tanto. Il pezzo è un chiaro esempio di come si possa coniugare il techno death statunitense con il prog, esperimento a tratti riuscito, in altri momenti veramente complicato da digerire. Da apprezzare però enormemente il tentativo di sperimentazione da parte di NHT, che prosegue nell'ambient sci-fi con "Mirror of Confusion" (con tanto di spoken words in lingua madre) e nelle titubanze in chiaroscuro di "Tunnel of Melting Black Stars", un'altra chiara dimostrazione di ricerca di originalità da parte del musicista spagnolo con un pezzo di marca Ved Buens Ende, in grado di accompagnarci con le sue svergole asperità fino alla conclusiva " Nobody Out There", gli ultimi tre minuti di chitarra acustica e voci pulite che chiudono in modo totalmente inaspettato un disco dai molteplici risvolti, sorretto da idee grandiose che mostrano quanto ci sia ancora spazio per deviare completamente dai binari dell'ovvietà e dell'ordinarietà. (Francesco Scarci)

(GrimmDistribution - 2019)
Voto: 77

https://deemtee.bandcamp.com/releases

mercoledì 12 giugno 2019

Marche Funèbre - Death Wish Woman

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Paradise Lost
In attesa di ascoltare il nuovo Lp dei belgi Marche Funèbre, la band ha pensato di regalare ai propri fan, nell'autunno 2018, un EP ('Death Wish Woman') di una mezz'oretta che tenesse calde le orecchie degli amanti del death doom del quintetto di Anversa in vista dell'inverno. E cosi, ecco tre nuove tracce più la cover "As I Die" dei Paradise Lost. E proprio ai primi vagiti di Nick Holmes e compagni, la band belga sembra rifarsi, anche se francamente siamo lontani dalla genialità dell'act britannico. "Broken Wings" è una stilettata death metal, solo leggermente sfiorata in qualche soluzione atmosferica, dalle reminiscenze doom che fanno parte del bagaglio dei nostri, mentre a livello solistico, i punti di contatto con il "Paradiso Perduto" si fanno più forti. Con la title track, il registro non sembra cambiare: ancora death secco e diretto ad inizio e fine canzone, mentre nel bel mezzo del brano fa la sua comparsa una voce pulita e una ritmica più adeguata ai canoni dell'ensemble, che ci riporta in mente i Candlemass più epici. "A Departing Guest" è un viaggio di quasi tredici minuti all'insegna di un doomish sound che questa volta evoca i My Dying Bride, ma la song è cosi lunga che nel suo malinconico svolgersi, si possono scorgere altre influenze, soprattutto nel dicotomico uso della voce, sia in pulito che growl e nella comparsa di atmosfere dal sapore quasi stoner che cozzano un pochino con le più intransigenti accelerazioni death. Non so, non mi convince granché, mi sembra un po' troppo eterogenea, anche quando le chitarre nel loro rifferama, celebrano nuovamente i primi Paradise Lost. E si arriva finalmente a "As I Die", visto che ero curioso di verificare come i Marche Funèbre avrebbero modificato il mitico brano dei PL: se nulla cambia da un punto di vista prettamente strumentale, è a livello di cantato che la song ne esce penalizzata, non tanto quando il vocalist dà libero sfogo al proprio growl, piuttosto quando usa il clean o continua a ripetere "As I Die", mah da rivedere. Alla fine mi sento di dire che 'Death Wish Woman' è un lavoro raccomandato solo per i fan del combo belga, per gli altri, il suggerimento è di ascoltarsi i precedenti full length dei nostri. (Francesco Scarci)

domenica 24 marzo 2019

Gloomy Grim - Obscure Metamorphosis

#PER CHI AMA: Black/Death, primi Dimmu Borgir
Dei finlandesi Gloomy Grim ho amato alla follia 'Blood, Monsters, Darkness', loro primo album ormai datato 1998. Da allora, ogni qualvolta usciva un lavoro della band, speravo potesse accadere il miracolo della ripetizione di quel fantastico debutto, ma niente da fare. Ultimamente, quando tra le mani mi è capitato l'EP 'Obscure Metamorphosis', devo ammettere di aver avuto il solito sussulto, speranzoso di ritrovarmi un piccolo gioiellino che attendo ormai da oltre vent'anni. Purtroppo l'aspettativa è stata delusa anche questa volta, non perchè le quattro tracce qui contenute siano delle ciofeche, semplicemente perchè lo standard qualitativo non riflette ancora quello altissimo dell'esordio dell'act di Helsinki. Quattro brevi tracce (per un totale di poco più di 13 minuti) di black vecchia scuola, sporcato qua e là da venature sinfoniche-orrorifiche ("Stars Above Me") che hanno più di un rimando ai primi Dimmu Borgir. La band non si scorda nemmeno come ci si lancia in cavalcate death come nel finale di "Crawling Saviour". "The Lord of Light" è la perfetta sintesi tra black e death, tra atmosfere cupe, ottime fughe chitarristiche (interessante l'assolo posto ad inizio brano) e qualche buon inserto di tastiere che si ripetono anche nella conclusiva "Impressive Physical Sight", una song molto atmosferica che abbina un riffing black con uno a tratti di scuola Morbid Angel e stop'n go spettrali che ci danno modo di capire che la band è viva e vegeta, nonostante gli ampi rimaneggiamenti a livello di line-up. Quel che voglio portarmi a casa è soprattutto la voglia della band di tornare a proporre qualcosa fuori dagli schemi. Per ora il risultato è uscito solo a metà, ma la strada imboccata potrebbe anche essere quella giusta. (Francesco Scarci)

(Grimm Distribution/Murdher Records - 2018)
Voto: 67

https://gloomygrim.bandcamp.com/album/obscure-metamorphosis-ep-2018

giovedì 1 novembre 2018

Cryostasium - Starbound

#PER CHI AMA: Psych Black, Oranssi Pazuzu
Nel 2017 me lo ero perso, ma fortunatamente qualcuno mi ha dato una mano a recuperare l'EP 'Starbound' della one-man-band statunitense Cryostasium. Pensate che Cody Maillet, il factotum di turno, ha partorito una cosa come 32 lavori, tra split vari, EP, collaborazioni e full length, in quasi 15 anni di militanza nell'underground, senza contare le sue altre innumerevoli creature. Insomma una fucina di idee che convogliano in questo EP di quattro spettrali pezzi. Il dischetto si apre con la title track, che propone quello che amo definire cosmic black metal e dove in realtà convogliano sonorità estreme con elementi più ricercati, quasi psichedelici. Questa caratteristica si fa ben più marcata in "Magnetic", dove i suoni glaciali di un lento black primordiale vengono inquinati da voci lontane e da gelide (e stralunate) interferenze dronico-ambientali che rendono per certi versi affascinante questo EP. Come al solito, siamo al cospetto di un'opera di non facile assimilazione: quel ronzio confuso di chitarre black, unito alle sperimentazioni dell'artista di Boston, rendono l'ascolto decisamente complicato, un po' come se stessimo ascoltando i Burzum sotto l'effetto della mescalina. Metteteci poi una registrazione lo-fi e potrete lontanamente capire come il suono risulti impastato e ancor più confondente. Aggiungete poi una componente vocale che sembra arrivare dalla costellazione della Lyra per cercare un contatto con la razza umana e capirete ulteriormente quanto sia complicato approcciare questo cd. E dire che in "Melancholera" il frontman statunitense non si perde in troppe chiacchiere, optando per concedere maggior spazio ad una musica alienante, mentre in "The Eye" il nostro polistrumentista opta per aumentare il numero di giri, in un pezzo dal piglio post black, un attacco arrembante dai forti connotati horror, ascoltate la tastiera della traccia per credere. Le sonorità divengono ancor più becere con la conclusiva "Adventurine", l'ultima testimonianza di un malefico sound proveniente laddove Vega splende nel cielo. Mi sa tanto che gli extraterrestri siano sbarcati sul pianeta Terra, ma questo già lo avevo già immaginato guardando il delirante artwork di 'Starbound'. (Francesco Scarci)

(Grimm Distribution/Metropolitan State Records - 2017)
Voto: 65

https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/012gd-cryostasium-starbound-ep-2017

lunedì 15 ottobre 2018

Nadir - The Sixth Extinction

#PER CHI AMA: Thrash/Death/Goth
Nati all'inizio degli anni '90 con il monicker Dark Clouds, cambiato poi in quello attuale circa un decennio più tardi, i Nadir ci offrono questo delizioso nuovo album, ultimo arrivato in casa della band ungherese che si dimostra prolifica come pochi in fatto di release. Ormai non si contano più gli album del combo di Budapest, nella loro pagina bandcamp se ne trovano undici a partire dal 2005 fino ad oggi e solo per questo dovrebbero ricevere un premio alla carriera. 'The Sixth Extinction' si riallaccia concettualmente al precedente lavoro da cui prende in prestito il titolo di coda per concepire e battezzare il nuovo nato. Il quintetto magiaro si sbizzarrisce nel riformulare le varie anime artistiche del gruppo, spostandosi tra death, doom, goth e thrash metal con naturalezza e soprattutto con notevole sicurezza, impatto e orecchiabilità. La costruzione dei brani è compatta, solida, ben sostenuta da una performance vocale di tutto rispetto, un ottimo artwork e chitarre sofisticate e taglienti. Di certo non vi annoierete con quest'album visto che al suo interno, brano dopo brano vi troverete richiami a Obituary, primi Paradise Lost e Rapture, con un tiro non comune ed un pathos diabolico e coinvolgente. I Nadir sanno esattamente come e cosa ottenere dalle loro composizioni, si nota e si sente che la gavetta è stata fatta, sono cresciuti a dismisura ed hanno appreso tutti i segreti per creare un buon album metal sotto tutti i punti di vista, dando vita forse alla loro release più matura, equilibrata, ricercata e intensa. Vi è un'anima oscura che esce allo scoperto, un lato melodico e drammatico che in realtà è presente in tutta la loro discografia, ma che qui affina le armi e si rende maestosa, moderna e drammatica, anche grazie ad una super produzione che alza la qualità d'ascolto e rende giustizia a dei musicisti di tutto rispetto. Come riuscire a staccare le orecchie dal tenebroso incedere di "Fragmented", resistere al passo in levare di "Along Came Disruption" che sembra una cover degli Alice in Chains suonata dagli Obituary, al magnifico, gotico e malinconico trittico di "Ice Age in the Immediate Future", oppure alla conclusiva, visionaria e più sperimentale "Les Ruins" con quel buio illuminato dagli stravaganti intro dei mitici Celtic Frost. Non esitate pertanto a farvi investire da questo disco, ascoltatelo e riascoltatelo per scoprire le mille sfaccettature in esso contenute e quanta passione stia dietro a queste note. Una medaglia d'onore più che meritata, una band degna di nota. Ascolto obbligato! (Bob Stoner)

(NGC Prod/Satanath Records/Grimm Distribution - 2017)
Voto: 75

https://nadirhun.bandcamp.com/album/the-sixth-extinction

giovedì 11 ottobre 2018

Xoresth - Vortex of Desolation

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Da un po' vado dicendo che quello delle one-man-band sembra essere un fenomeno che va diffondendosi a macchia d'olio in tutto il mondo. Ecco che il progetto di oggi ci conduce in Turchia a Izmir per l'esattezza, città natale di Dorukcan Yıldız, il factotum che si cela dietro al moniker Xoresth. La proposta del musico turco è all'insegna di un funeral doom dai tratti fortemente dronici che nelle tre song a disposizione, assume connotati fortemente caratterizzanti. Si perchè mai mi sarei sognato di miscelare questi due generi già di per sè assai ostici. Potete immaginare quindi il mio stupore quando "Illusion Before the Matter" si palesa nel mio stereo con il suo carico mortifero legato al funeral, il tutto inserito in un contesto dronico di riverberi che amplificano l'effetto apocalittico del doom con esiti davvero interessanti, ma soprattutto ipnotici, con il drone che tuttavia stempera la pesantezza di un genere che rischierebbe di stritolarci come le spire di un boa costrictor. Niente male affatto, non me l'aspettavo. Con maggiore curiosità mi avvio ad ascoltare gli oltre dieci minuti della tremolante title track. Qui ve lo anticipo, si sprofonda all'inferno, c'è poco da fare se non mettersi l'elmetto e avviarsi a scendere nelle viscere della terra. La sensazione è quella di ritrovarsi in una grotta profonda dove l'ansimare legato alla fatica eccheggia sulle pareti di quell'antro cavernoso e dove la sensazione di carenza d'ossigeno preme forte sul petto, generando un angosciante carico di ansia. Si, "Vortex of Desolation" è una song fortemente ansiogena e tenebrosa, quasi quanto la sensazione di buio assoluto che sperimentai una volta in una spedizione speleologica. Fa paura, ma è estasiante, da provare almeno una volta nella vita. Nel frattempo, Dorukcan Yıldız ci ha già introdotto nell'ultima spaventosa traccia, "Nefes", che guarda caso deriva dall'arabo respirare. Allora non mi sbagliavo con quella sensazione di privazione di ossigeno lamentata poc'anzi. In quest'ultimo brano infatti, quella percezione si acuisce ulteriormente. Ora ci si trova nelle tenebre, di fronte alla Signora Morte in persona, con spiraglio alcuno di rivedere la luce, solo ombre, voci terrificanti e un senso di fine assai palpabile in una song ambient/drone decisamente claustrofobica e assai ostica da digerire che relega questa release ad una nicchia di fan ancor più limitata. Da sperimentare però almeno una volta nella vita, questo rimane il mio comando. (Francesco Scarci)

lunedì 1 ottobre 2018

Руины вечности (Ruins of Eternity) - Шёпот забытых холмов

#PER CHI AMA: Death Doom
Faremo un'indigestione di band russe nelle prossime settimane, ve lo posso garantire. La band di oggi arriva da Krasnoyarsk, si chiamano Руины вечности, che traslato in inglese dal cirillico, corrisponderebbe a Ruins of Eternity, mentre 'Шёпот забытых холмов' (traducibile in italiano come "il sussurro delle colline dimenticate") rappresenta il debut album. La proposta della compagine russa, che consta di addirittura sette elementi (tra cui un sinistro violino), è un death doom robusto e feroce. Non basta infatti il bieco suono del violino ad incantare l'ascoltatore con le sue sghembe melodie, qui troverete anche un riffing brutale che spezza quella meravigliosa spettralità che trasuda già dall'opening track, "Будни войны" e che pervade l'intero lavoro. L'obliquo sound di quel magico strumento ad arco apre infatti anche la seconda traccia e, fintanto che riveste il ruolo di protagonista nell'economia della band, tutto va bene. Le cose cominciano a complicarsi e a farmi storcere il naso, quando i nostri vogliono a tutti i costi, mostrare il loro lato più muscoloso. E qui iniziano i dolori, perchè in una veste diversa dal gothic doom, i sette russi non sono poi cosi adatti, perdono quella magia che contraddistingue pezzi come "Брест" o "Кто будет первым?!". Per quanto possa anche essere interessante un esperimento in cui i Morbid Angel inseriscono dei violini nella loro matrice sonora, rimane il fatto che i Руины вечности non siano i Morbid Angel e che alla lunga la pesantezza del death rischi di stufare i fan di sonorità più ispirate ed orchestrali, considerato anche il fatto che la band si avvale delle classiche eteree voci femminili ("Танк"). E allora, ve lo chiedo ancora, immaginereste mai i Morbid Angel ricamare la loro musica con violini e soavi voci di gentil donzella? Io francamente faccio fatica, e pur apprezzando tutti i clichè tipici del genere, con violini e female vocals annesse, alla fine faccio fatica a scontrarmi col muro ostico ed invalicabile eretto dal team di sette strumentisti. Se devo scegliere una song che ho però apprezzato più delle altre, citerei "Победа для мёртвых" e sapete perchè? Mi ha rievocato il mitico 'Immense Intense Suspense' dei tulipani Phlebotomized, anche se con meno classe ed ispirazione. Diciamo che la band ha ancora parecchio da lavorare per snellire il proprio sound ancora troppo farraginoso, ed indirizzarlo verso lidi più accessibili, ma sicuramente la strada intrapresa potrebbe regalare grosse soddisfazioni. (Francesco Scarci)

(Grimm Productions/MurdHer Records - 2017)
Voto: 60

https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/016gd-2017

venerdì 29 settembre 2017

Ungraved Apparition – PULSE_0

#PER CHI AMA: Dark/Death/Black, Lifelover
Capitanati da una voce dal potere terrificante, la band russa degli Ungraved Apparition approda al suo primo full length attraverso Grimm Distribution/Satanath Records, in forma strabiliante. Un death metal di vecchia scuola, rallentato sulla falsariga di un sound di matrice doom caratterizzato da un'attitudine malata in odor di suicide black metal. Il suono seppur glaciale cede spazio alla melodia mantenendosi comunque ruvido nella sua corposità e nelle vocals, che non lasciano spazio a voci pulite. Come nel migliore degli incubi, con l'ascolto di 'PULSE_0' ci si immerge brano dopo brano in un vortice di emozioni orrorifiche, perverse e depressive, che ammaliano e catturano l'attenzione di chi ascolta. Un concept incentrato su una sorta di viaggio tra la vita e la morte di pazienti all'interno di un ospedale, dove chirurghi dallo humor nero e dal sadico sarcasmo, operano su pazienti inermi che ancora devono capire se il loro destino sarà giacere in eterno tra buio e umidità o se sperare in una salvezza dell'anima. Suoni sinistri, quadrati, potenti, composizioni originali e fantasiose, spesso anticipate da interludi che ne aumentano il tono dark, maligno e perverso. Per comodità, sottolineerei i primi tre brani del disco, a dir poco memorabili. Un ruolo fondamentale poi lo gioca, come detto, la performance del vocalist Damned che canta con una voce abrasiva ed in lingua madre (almeno presumo dai titoli) ottenendo splendidi risultati, calcando sempre pesantemente la mano su atmosfere oscure e presagi a dir poco spaventosi. Belle le aperture chitarristiche di matrice primi Paradise Lost cosi come buona è la produzione del disco, ideale per il tipo di prodotto, con quei suoi inserti d'atmosfera che ricordano band come Psychonaut 4 o Lifelover. La copertina tende ad indirizzare l'ascoltatore verso ambienti più duri del tipo grindcore o brutalcore, rivelandosi altresì ingannevole ma comprensibilissima se si conosce l'intento tematico dell'opera. Uno stile particolare, un modo di intendere il dark metal assai originale, un lavoro cerebrale e affascinante in tutta la sua drammaticità. Ottimo album! (Bob Stoner)

mercoledì 21 giugno 2017

Nagaarum - Homo Maleficus

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, Thy Catafalque
Della serie one mand band crescono, trasferiamoci quest'oggi in Ungheria, a Veszprém per l'esattezza, dove vive tal Nagaarum, che negli ultimi sei anni ha fatto uscire una cosa come 14 album. Prolifico il ragazzo, soprattutto se stiamo parlando di produzioni di una certa rilevanza, almeno gli ultimi cinque lavori che ho avuto modo di ascoltare. E allora 'Homo Maleficus', che arriva a distanza di un anno dai due lavori usciti nel 2016, si fa notare per i suoi contenuti black sperimentali. Tralasciando il bruttissimo artwork di copertina che mal si adatta alle sonorità del mastermind magiaro, muoviamoci all'ascolto di questa release, che si apre con i suoni insani di "A Befalazott", una traccia che miscela un black mid-tempo con il suono in tremolo picking delle chitarre, che contribuiscono a generare un certo mood malinconico. Le harsh vocals si alternano alle voci pulite, mentre un'intrigante linea melodica di sottofondo può evocare quanto fatto recentemente da un'altra geniale band ungherese, i Thy Catafalque. Sebbene le chitarre mostrino una ruvidezza di fondo nel loro incedere, ciò che impreziosisce la performance del musicista è una continua ricercatezza di un effetto, un'atmosfera particolare che sappia essere un po' inquietante in taluni momenti (e penso a "Az Elvhű", song post black doom, meritevole soprattutto nella seconda metà), oppure che offra una melodia vincente che sovrasti la furia generata dal black ("Vassal Nevelt", vera top song del cd) o ancora che sappia creare delle atmosfere lugubri e psichedeliche al tempo stesso, quasi surreali ("Cipelők"). Aggiungerei poi che la peculiarità di Nagaarum sta anche nell'iniziare un brano in un modo e concluderlo in maniera totalmente diversa, generando pertanto la percezione di aver gustato in 5-6 minuti, tutte le catartiche suggestioni sonore dell'artista ungherese. A tal proposito penso anche agli sperimentalismi di "Mens Dominium" o al doom dronico iniziale di " Dolgunk Végeztével", una song irrequieta, irrazionale, tribale, con dei vocalizzi stralunati cosi come con la sua ritmica che si muove tra punk, thrash, psych, industrial, avantgarde, black, doom e quant'altro, sorprendendo ancora una volta per un eclettismo sonoro che trova pochi eguali nella scena odierna. Dieci minuti di questo tipo lasciano addosso la sensazione di trovarsi sotto l'effetto di una qualche sostanza psicotropa, di essere avvinghiati da un senso di paranoia, di vedere ragni mostruosi che si muovono sul soffitto o vedere ombre minacciose laddove non ve ne dovrebbe essere traccia. La complessità musicale di questo 'Homo Maleficus' ha un che di portentoso ed entusiasmante. Si giunge ahimè al capolinea con l'ultima "Kolontár", cinque minuti di sonorità al rallentatore capaci di produrre quell'ultimo stato di angoscia che via via si trasformerà in quiete. Gran bell'album (ma mezzo punto in meno per la cover), ora fate come me, andatevi a riscoprire i precedenti lavori. (Francesco Scarci)

(Grimm Distribution/NGC Prod. - 2017)
Voto: 75

https://nagaarum.bandcamp.com/