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sabato 19 luglio 2014

Falloch - This Island, Our Funeral

#PER CHI AMA: Post Rock/Shoegaze, Alcest
Li stavo aspettando al varco da tre anni, li ho anche dati per dispersi ad un certo punto, ma finalmente gli scozzesi Falloch hanno dato seguito al meraviglioso 'Where Distant Spirits Remain' del 2011, con un lavoro nuovo di zecca, che fin dal suo epilogo sembra voler dare una certa continuità al debut album, concentrandosi su sonorità che miscelano amabilmente post rock e shoegaze, il tutto intinto di un tenue folk. Il risultato, come potrete intuire, non è affatto male, anche se devo ammettere che il quartetto di Glasgow ha perso un po' di quella magia e di quel misticismo e folklore che avvolgevano il precedente Lp. Non fraintendetemi però, l'album è godibile in ogni suo momento, dalla lunga opening track, notturna e malinconica alla successiva traccia, in cui le ritmiche sembrano pestare non poco, ma dove a convincermi non troppo è invece la performance vocale, un po' sottotono rispetto al passato, in quanto sembra aver perso parte del suo calore primigenio. La musica riesce a ritagliarsi i suoi consueti spazi acustici e le sue classiche ambientazioni autunnali, affrescando ancora l'etere di quelle immagini tipiche delle verdi colline scozzesi. Una voce femminile fa capolino nella terza song, più che un reale brano, un passaggio verso la lunga quarta traccia. Tiepida, dalle spiccate atmosfere post- nelle sue nervose chitarre, il brano vede affiancarsi alle clean vocals anche delle urla che rappresentano un retaggio della precedente release. L'influenza dei francesi Alcest tiene banco, ma in 'This Island, Our Funeral' è completamente scomparsa quella componente black che ogni tanto divampava in alcuni pezzi di 'Where Distant Spirits Remain'. Non che sia un difetto, ma il feroce turbinio estremo rendeva l'album più dinamico e imprevedibile. Un altro interludio e poi i 10 minuti della traccia numero 6 (non me ne vogliate ma i titoli delle canzoni non ci sono), che per certi versi mi ha ricordato gli ultimi Lingua, quelli prima dello scioglimento, ma anche qualcosa dei A Perfect Circle, segno che la band in questi ultimi tre anni ha subito comunque una certa mutazione/evoluzione musicale, a discapito di quella componente black folk di cui dicevo poc'anzi, dando invece maggior peso a un approccio all'insegna dello shoegaze/alternative rock. Non so dirvi se questo sia bene o male, io li preferivo nella loro veste primordiale, ma 'This Island, Our Funeral' è l'esatta fotografia di quello che i Falloch sono oggi, una validissima band che ha le carte in regola per sfondare e ottenere il successo che merita con un piacevole mix di suoni che strizzano l'occhiolino ai trend più in voga del momento. Ah dimenticavo: la mia song preferita dell'album? L'ultima, quella di cui non vi ho parlato volutamente. 12 minuti da pelle d'oca, per cui vi incito all'ascolto... (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2014) 
Voto: 80 

sabato 22 ottobre 2011

Falloch - Where Distant Spirits Remain

#PER CHI AMA: Shoegaze, Epic, Folk, Alcest, Agalloch
Talvolta scrivere una recensione è la cosa più facile che ci sia al mondo: ci sono band infatti che consentono alle dita di battere sulla tastiera alla velocità della luce ciò che la musica ha da trasmettere. Credo che gli scozzesi Falloch (nome che si rifà alle cascate omonime di Crianlarich) siano una di queste: mi è bastato infatti premere il tasto play e lasciarmi immediatamente conquistare dall’avvolgente musicalità della band di Glasgow e dalla raffinata furiosa delicatezza dei propri suoni. Come al solito, vi avrò disorientato, ma con mio sommo piacere, preferisco non farvi capire nulla per instillare nel vostro animo, la curiosità ad andare avanti nella lettura della recensione. I Falloch sono una band con tutte le carte in regola per sfondare nel mondo della musica metal: miscelando infatti lo shoegaze dei transalpini Alcest con la spiritualità, l’epicità e la furia del sound degli statunitensi Agalloch, il duo, formato da Andy Marshall e Scott Mclean, ha sfoderato una prova eccezionale, tanto da spingermi a definire “Where Distant Spirits Remain”, il mio album del mese. Dall’iniziale “We are Gathering Dust” dove forte è il richiamo agli Alcest, passando attraverso le prove di “Beyond Embers and the Earth” dove invece più marcata è l’influenza della band di Seattle del periodo “The Mantle”, con sfuriate tipicamente black che si alternano a passaggi più onirici o di derivazione “Pink Floydiana“, l’ensemble ci accompagna con somma maestria attraverso un malinconico viaggio nel cuore della tradizione celtica. Ne è testimonianza “Horizons” con quel suo forte flavour folk, neppure fosse uscito dal film “Braveheart”. L’epicità sgorga a tonnellate anche nella successiva “Where We Believe”, la song forse più selvaggia, vuoi anche per l’uso di vocals più aggressive che si contrappongono con quelle estremamente pacate che si ritrovano nel corso di tutto l’album. Mi piace, mi piace e mi piace, non sapete voi quanto: parti acustiche, ambientazioni autunnali, sfuriate black interrotte da break autunnali pregni, stragonfi di malinconia e dolcezza (complice anche la presenza di una voce femminile). Le chitarre affrescano con assoluta semplicità paesaggi molto più vicini a quelli del nord est degli USA o del Canada, piuttosto che ricordare le desolanti colline scozzesi. Colori caldi infatti riscaldano il nostro animo, ascoltando questo esagerato lavoro, che ha preso posto nel mio stereo e non vuole assolutamente abbandonarlo. Non so che altro dire a proposito di un album che si candida ad essere seriamente tra i miei top dell’anno. Magico e poetico! (Francesco Scarci)

(Candlelight Records)
Voto: 90