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sabato 12 marzo 2011

Enough to Kill - A Reason for...


Finalmente giungono al debutto sulla lunga distanza i milanesi Enough to Kill, dopo anni di gavetta: basti pensare che il Mcd d’esordio della band è addirittura datato 2000 per capire da quanti anni il combo calca la scena. Noti originariamente come Legion, fautori di un death melodico, i nostri hanno pensato bene di sterzare il tiro e andare verso sonorità, passatemi il termine, più ruffiane, o forse dovrei dire più al passo con i tempi? Si, infatti le dieci tracce contenute in “A Reason for…” pescano un po’ qua e là nel panorama metal internazionale, lasciandosi soprattutto influenzare da sonorità tipiche swedish (In Flames e Soilwork), dal metalcore di stampo americano (As I Lay Dying e Killswitch Engage) ma anche da suoni nu metal. Quindi, niente di nuovo sotto il sole penserete voi; in effetti il disco non brilla certo in fatto di originalità, tuttavia, pur non nutrendo grossa stima nei confronti di questo genere, che altro non è che una forma involuta del death metal svedese melodico, devo dire che ho potuto apprezzare non poco la release in questione. Le chitarre si presentano belle possenti, arrembanti nella loro andatura ma al tempo stesso assai melodiche e ricche di groove, anche con qualche pregevole assolo tipo in “Lost Forever”, dove peraltro ha prestato la sua voce nel ritornello Flegias dei Necrodeth. Altre songs estremamente valide, pur non offrendo granché di nuovo ad un genere per cui più volte ho detto non aver più nulla da dire, risultano essere “Dark Way” e “New Dawn”, due ottimi pezzi che rappresentano la sintesi perfetta di quello che è l’Enough to Kill sound: ritmica incalzante (ma talvolta anche rallentata in una vena vicina a quella dei Meshuggah), ottime linee melodiche, clean and growling vocals, qualche spruzzatina di synths a riempire in modo consistente il sound del quintetto meneghino guidato da GL (bassista tra l’altro dei già citati Necrodeth). In sostanza, pur trattandosi di un disco notevolmente derivativo, devo ammettere che mi è piaciuto parecchio ascoltarlo e riascoltarlo. Magari non rientrerà nella mia top ten dell’anno, tuttavia credo che se i nostri abbandonassero un po’ i cliché tipici del genere, puntando un po’ di più su degli arrangiamenti fantasiosi e sulla creazione di ambientazioni più oscure (come in “Slivers of a Wrong Age”), grazie all’abuso indispensabile dei synth, in un futuro ne sentiremo davvero delle belle da questi ragazzi. Non perdeteli di vista e seguite attentamente la loro evoluzione! (Francesco Scarci)

(Deadsun Records)
Voto: 70