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giovedì 23 aprile 2020

Ecnephias - Seven - The Pact Of Debauchery

#PER CHI AMA: Gothic/Dark, Moonspell, Burning Gates
E dopo dodici anni, eccomi a recensire il sesto lavoro della band potentina; mi mancano i primi due dischi, compensati però da un EP, 'Haereticus' nel 2008, e poi mi potrei tranquillamente considerare un fedele devoto alla causa Ecnephias. A parte gli scherzi, non posso negare la mia stima nei confronti dell'italica creatura, capace nel corso della propria carriera di mutare pelle, adattarsi a situazioni complicate, lottare caparbiamente contro tutto e tutti (mulini a vento compresi) e arrivare oggi a rilasciare questo settimo sigillo, intitolato 'Seven - The Pact Of Debauchery'. Nove nuovi brani per saggiare lo stato di forma di Mancan e soci, cercando di capire come il sound dei nostri sia evoluto dopo le dipartite di Sicarius Inferni e Khorne, presenti nel precedente 'The Sad Wonder of the Sun'. Ebbene, quella trasmutazione verso il gothic rock che citavo come completata nella vecchia release, qui è ormai assodata e la band non fa altro che esplorare ed ampliare il proprio raggio d'azione. Se l'inizio di "Without Lies" chiama ancora in causa i vecchi Moonspell, con la voce del buon Mancan a rappresentare il marchio di fabbrica per il nerboruto trio, quello che mi convince davvero in questa song è la componente solistica forte dell'ottimo lavoro del bravo Nikko, con le chitarre qui dotate di un eccellente taglio classicheggiante, peccato solo per la loro esigua durata. I temi legati alla magia, al paganesimo e all'occultismo non mancano nemmeno in questo cd e "The Night of the Witch" lo conferma a chiare lettere a livello lirico, laddove a livello musicale invece, sono le ormai consuete atmosfere sinistre venate di una discreta aura malinconica a farla da padrona. Il riffing è pacato, le keys dipingono paesaggi che mi ricordano da lontano Rapture, Enshine e Slumber, mentre quello che mi esalta sempre un sacco sono decisamente i cori, cosi evocativi, epici e coinvolgenti, tanto da ritrovarmi alla fine del brano con il pugno volto al cielo. Arriviamo anche alla traccia che non necessita di sottotitoli, "Vampiri", con quel suo mood dark new wave che mi evoca una band nostrana, i Burning Gates. Pur trovando che il cantato in italiano caratterizzi maggiormente la proposta del trio lucano, capisco di contro che la possibilità di esportazione del prodotto Ecnephias fuori dai confini nazionali, potrebbe divenire più complicato. Spettacolare intanto l'assolo sciorinato in questo brano dal sempre bravissimo Nikko, in quello che forse alla fine dei conti, risulterà essere anche il mio pezzo preferito. "Tenebra Shirt" è una traccia piuttosto lineare nella sua progressione, non tra le più memorabili inserite nella discografia degli Ecnephias, ma comunque un onesto episodio di fine atmosfera. Molto meglio l'inquietante incedere ritmato di "The Dark", che nel suo break centrale, cerca di coglierci di sorpresa con uno stralunato fuori programma, giusto una manciata di secondi per disorientarci dallo stato di intorpidimento in cui stavamo per cadere, si perchè talvolta la proposta dei nostri sembra un po' depotenziata, insomma col classico freno a mano tirato. L'incipit di "Run" mi ha fatto pensare per una frazione di secondo alle operistiche partiture dei Therion, ma tranquilli nulla di tutto ciò viene poi qui esplorato, anche se Mancan alterna il proprio growling ad un cantato molto pulito, ma niente paura perchè è giunto il momento anche dello spazio etnico grazie all'utilizzo di percussioni che non mi fanno tanto pensare al Mediterraneo, piuttosto al voodoo africano. Un sintetico incipit ci introduce a "The Clown", la traccia sicuramente più ricca di groove e mi verrebbe da dire anche quella più canticchiabile (mi scuserà Mancan) con quel suo coretto "I saw a clown..." che si stampa nella testa; ottima poi la melodia di fondo su cui si staglia l'ascia sempre vigile di Nikko. L'apertura de "Il Divoratore" nasconde nelle sue iniziali percussioni melliflue (eccellente anche Demil dietro alle pelli) un che del misticismo di Twin Peaks, a cui fa seguito l'arpeggio della sei corde qui a braccetto con le tastiere, e il cantato di Mancan qui particolarmente carico di emotività, a rafforzare la mia ipotesi che in italiano la proposta degli Ecnephias renda molto di più. E per chiudere in bellezza, ecco che anche la conclusiva e arrembante "Rosa Mistica" ci concede gli ultimi minuti di punk dark wave cantata in italico lingua, in quella che fondamentalmente è la song più violenta del disco, e che sembra quasi una bonus track a prendere le distanze da tutto quello ascoltato fino ad ora. Per concludere, a parte quella sensazione percepita in un paio di occasioni di un sound talvolta privo di incisività, la settima release degli Ecnephias va assaporata con una certa calma e armonia dello spirito. Detto questo, la mia stima nei confronti della band rimane immutata per carisma, professionalità e una certa ricerca di originalità. Per il resto, è sempre una certezza e un piacere aver a che fare con i nostrani Ecnephias. (Francesco Scarci)

giovedì 21 novembre 2019

Asphodèle - Jours Pâles

#PER CHI AMA: Post Punk/Depressive Black/Shoegaze
Gli Asphodèle si sono formati nel 2019, ma non pensate che siano dei pivelli. La band francese che consta di cinque membri, include infatti batterista e chitarrista degli Au Champ des Morts, una band che ho particolarmente apprezzato nel 2017 con l'album 'Dans la Joie', la ex vocalist degli Amesoeurs, il cantante dei Aorlhac (che abbiamo già incontrato su queste pagine) e il bassista degli svedesi Gloson. Insomma, potrebbe risultare fuori luogo parlare di super gruppo però, se rapportato ai circuiti underground, non mi vergognerei affatto ad affermarlo. Che attenderci quindi da questo quintetto inedito? Vi risponderei semplicemente che tutti e cinque i musicisti hanno portato le loro pregresse esperienze in questo 'Jours Pâles', cercando di conglobarle con quelle degli altri. Pertanto, dopo l'intro strumentale di "Candide", ecco palesarsi in "De Brèves Étreintes Nocturnes" la voce di Audrey Sylvain, a portarmi con la sua timbrica, indietro di una decina di anni quando la brava cantante si dilettava con i vari Neige e Fursy T. nel loro inequivocabile concentrato di post-punk, shoegaze e depressive rock. Ad inasprire il sound però con echi post-black, ecco la chitarra sbilenca di Stéphane Bayle, uno che da 25 anni suona anche (e soprattutto) negli Anorexia Nervosa e ha pertanto una vaga idea di come fare male, a fronte anche di una nuova esperienza nei blacksters Au Champ des Morts. La musica degli Asphodèle si muove quindi in ambiti estremi anche se l'utilizzo massivo delle female vocals, smorzano la vena feroce della band, sebbene le ritmiche si confermino taglienti anche nella title track e il growling/screaming di Spellbound, cerchi di fungere da classico contraltare della soave performance della gentil donzella. Il sound dei nostri si arricchisce comunque di molteplici sfaccettature, dai break acustici della già citata title track, alle asprezze più black oriented di "Gueules Crasses", song dotata di una epica e gelida aura, grazie alle chitarre di scuola scandinava, mitigate dalle melodie vocali della particolare Audrey. Il disco scivola velocemente verso la fine attraverso altri pezzi, alcuni decisamente malinconici ("Nitide") ma comunque molto vari, altri che strizzano l'occhiolino più pesantemente allo shoegaze ("Réminiscences") song che trovo quasi fuori posto in questo contesto sebbene Spellbound cerchi di mantenere con la sua timbrica una certa connessione col depressive black. A chiudere invece "Décembre", un pezzo in stile Shining (quelli svedesi) che sancisce un disco interessante che sembra però mostrare qualche intoppo a livello di songwriting o comunque non avere una fluidità musicale ancora acclarata. 'Jours Pâles' è un lavoro discreto suonato da ottimi musicisti che paiono ancora non particolarmente amalgamati tra loro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 68

https://ladlo.bandcamp.com/album/jours-p-les

lunedì 27 agosto 2018

End of Green - The Sick's Sense

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Depressive Rock, Type O Negative
Il sesto album degli alfieri teutonici del "depressed subcore" (sic), un sottogenere languidamente mogio del gothic metal, vi sembrerà un po' un disco strimpellato dai Type O Negative a una convention emo, cantato dal tipaccio dei Seether mentre fa pulizia etnica di nutrie nella sua cantina e composto da Lydia Deetz nel giorno del suo ciclo mestruale. Cos'altro potevate aspettarvi da un mamlone di Stoccarda di uno e novanta che si fa chiamare Michelle Darkness (sic)? Con l'eccezione di un paio di chitarrismi alla Justice-for-raffiche (l'opener "Dead City Lights"), il resto dell'album si disperde freddo come una pozzanghera di sangue sul pavimento, tra melodie alla Mission, vocioni e tiritere pling-noise mid/ottanta ("Die Lover Die"). Ascoltate questo disco mentre vi recate al compeanno di vostra nonna indossando una t-shirt di rete a maglie larghe ostentando un anellino al capezzolo. (Alberto Calorosi)

(Silverdust Records - 2008)
Voto: 45

https://www.facebook.com/endofgreenofficial/?ref=ts

venerdì 13 luglio 2018

Unreqvited - Stars Wept to the Sea

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
Unreqvited is a Canadian solo project formed back in 2016. The debut album entitled 'Disquiet' gained some recognition among the blackgaze, post rock and atmospheric black metal fans. It was indeed a quite interesting debut, which mixed those styles, always putting a great effort on creating an intense atmosphere with undoubtedly beautiful melodies. That album had quite long instrumental sections and extensive ambient and quiet parts that, though being nice, had a negative effect after some listens. The album sounded at times a little bit unfocused. In my opinion, the debut lacked more metal infused sections which could have helped to achieve a stronger final result.

Now, only two years after their debut, Unreqvited makes a comeback with a sophomore album entitled 'Stars Wept to the Sea'. The question for me was, will the new album have exactly the same sound, including the strengths and weaknesses? Well, after some listens, the answer could be yes. The overall sound and style remains the same. Unreqvited plays a blend of atmospheric post-rock/metal with a strong blackgaze and ambient influence. It’s pretty clear that Unreqvited has a masterful talent to create delicate and beautiful melodies with a hypnotic atmosphere, as it is clearly the heart in the long opening track “Sora”. But the band sounds even better when it mixes its softer side and beauty with some black metal, like it happens with the second song, “Anhedonia”. When both worlds are fused, the band achieves its greatest level, and the music itself becomes more interesting. The problem, at least for me, is that the rest of the album has a little portion of metal and very few vocals; I personally miss his shrieks which give a special and intense boost to the album. Songs like “Kurai”, “Empirean” or “White Lotus”, have little or no metal and an almost inexistent intensity. Yes, they contain some beautiful melodies, but the album can be considered neither a metal album nor an ambient work which, in this case, can be confusing. I personally love both styles and prior to this album, I have enjoyed albums which combine both worlds. But with Unreqvited, I have the feeling that I am missing something, the quality and beauty are there, but I honestly think that it should have contained more tracks like the aforementioned “Anhedonia” or the excellent closer, “Soulscape”. This is probably the best track of 'Stars Wept to the Sea', not only because it has some metal or at least a blackgaze touch, but because it has some tweaks and variety, which make the already mentioned excellent taste for the melodies bright more than ever.

In conclusion, with this sophomore album, Unreqvited follows the same path of the debut, repeating the good and bad aspects of that work. I personally think that this band could be greater if the tracks would include much more black metal, and obviously more vocals. Merging both worlds with a more balanced mix, could make the band´s music more focused. This also would help to create more enriching compositions with more tweaks and surprises. (Alain González Artola)

martedì 29 maggio 2018

Granada - Silence Gets Louder

#PER CHI AMA: Alternative Rock, Radiohead
Successivamente all'immancabile abbrivio floyd-tronico (ma 'Silence Gets Louder' è forse un sequel di 'Silence is the New Loud' dei Kings of Convenience? Ahia, ahia, piano con le uova marce) qualcuno nell'ombra afferra il grosso interrutore e SCLANG dà corrente. Luce nei riflettori, al massimo gli ampli. Pubblico virtuale che inneggia all'unisono. Il suono ruvido della chitarra entra e non esce più. I beneaugurali suoni arena-oriented vi risulteranno più old-fashioned ("Smile", cfr. i Cure post 'Pornography') oppure nu-new-wave ("Breakthrough" e "Angel", cfr. con gli Editors di "White Lies") a seconda della vostra età anagrafica ma soprattutto di come vi siete svegliati stamattina. Sul retro (OK a questo punto dell'articolo fareste bene a girare il vostro ipod a testa in giù) viene svelata l'anima (brit) pop della band (i Radiohead sul double-decker rosso di "The Sky is Falling in") ma anche (e più genericamente) dollaro-pop alla Coldplay and/or Arcade Fire ("Siren" e "Miracles"). Apprezzabile la conclusione a-là-Radiohead di 'Kid-A', mirabilmente affidata alla mi-lamento-ballad-destrutturata "I Can Take Care of You". Songwriting derivativo eppure solidissimo. (Alberto Calorosi)

giovedì 3 maggio 2018

Swans - Deliquescence

#PER CHI AMA: Rock Sperimentale
...ancora mantiene qualche cronosoma di "Bring the Sun" e compie definitivamente la sua exuvia su 'Deliquescence'. Deliquescenza inversa: l'entrata di "Frankie M" (diciotto minuti: appena un pelino autoindulgente chioserebbe non senza una parte di ragione qualche maligno brufoloso affetto da alitosi) sarà ampiamente ridimensionata su 'The Glowing Man' (che si tratti di una seconda deliquescenza di "The Apostate"?). Deliquescenza retroattiva: "Just a Little Boy" nella versione 'The Gate' appare stranamente intermedia tra le due precedenti live ('Not Here/Not Now') e studio ('To be Kind'), perlomeno negli intenti. Deliquescenza assente, già, nelle (non troppo) sorprendentemente identitarie "Cloud of Forgetting" e "Screen Shot", guarda caso entry-track dei rispettivi album. Deliquescenza della deliquescenza: è ipotizzabile che lo stesso Michael Gira sia a conoscenza dell'impossibilità di oltrepassare la (a tratti prosaica) magniloquenza di "The Knot" (quasi quarantacinque minuti) senza apparire autocaricaturali (cfr. il Neil Young di "Driftin' Back") e, per questa medesima ragione, abbia annunciato lo scioglimento della band. 'The Gate': centocinquanta minuti, tre canzoni da T-B-K, una da T-S e quattro inedite (poi su T-G-M). 'Deliquescence': centocinquantacinque minuti, tre canzoni da T-G-M, una da T-B-K e tre inedite. La deliquescenza live impeccabilmente testimoniata su questi monumentali e autocompiaciuti live è senz'altro parte imprescindibile del processo creativo e compositivo successivamente formalizzato in studio. Ma nove ore tra live e studio per assommare ventuno canzoni in poco più di due anni (la discografia dei prolificissimi Beatles totalizza poco più di otto ore e centottanta canzoni in nove anni) sembrano un cicinino troppe. Ma soltanto nella patetica opinione di qualche qualche gibbuto detrattore affetto da psoriasi. (Alberto Calorosi)

(Young God Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/SwansOfficial/

venerdì 16 marzo 2018

Ghâsh - Goat

#PER CHI AMA: Blackgaze/Post Rock
Altra one-man-band proveniente dal Cile, questa volta capitanata da Mr. Ghâsh, che con il suo progetto omonimo, assicura i propri servigi per la cannibale Pest Productions. Come spesso capita, le produzioni della potente etichetta cinese, sono all'insegna di suoni depressive e blackgaze, che viaggiano a cavallo tra black e post-rock. E la band di oggi, originaria della capitale cilena, non è da meno, con un lavoro di sei deliziosi pezzi, che ci guidano da 'Fenix" fino alla conclusiva "Goat", attraverso chiaroscuri malinconici, luci e ombre, saliscendi emotivi, torrenziali flussi sonici e cascate melodiche. Il tutto è guidato da splendide chitarre in tremolo picking, screaming vocali, tonnellate di riverberi e montagne di atmosfere catalizzatrici una straziante malinconia interiore, quella che fa versare lacrime quando pensi a ricordi mai assopiti, ad amori andati o a persone care perdute. Ecco cosa mi ha portato l'ascolto di 'Goat', un breve gioiellino di musica che non ha le pretese di colpire per la sua perizia tecnica o le acrobazie musicali dei suoi esecutori, ma semplicemente vuole arrivare dritta al cuore, sfruttare quella sua intensità e colpirci nel nostro punto più debole, l'anima. E là, conquistarci. Dite poco? Ghâsh con me ci è riuscito. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2017)
Voto: 80

https://pestproductions.bandcamp.com/album/goat

sabato 10 febbraio 2018

Deadspace - The Liquid Sky

#PER CHI AMA: Black/Shoegaze/Depressive Rock, Novembre, Katatonia
È stato un po' un amore a prima vista quello che ho avuto con gli australiani Deadspace: ho dato un ascolto quasi per sbaglio al loro ultimo 'The Liquid Sky' e in un battibaleno, mi sono ritrovato ad aver acquistato la loro intera discografia. Perché mai penserete voi? Ebbene, vi basti premere il tasto play del vostro lettore e dopo l'intro, affidata a "The Aching...", farvi rapire dalle splendide melodie di "Void", cangiante, melodica ed aggressiva in un connubio artistico in bilico tra post-black e sonorità più intimistiche, tipiche dei nostri Novembre, e ancora fughe in territori progressive (splendida a tal proposito la sezione solistica) che appunto, hanno fatto in modo che mi perdessi la testa cosi precocemente per questo ensemble originario di Perth. Più cupa "Below The Human Scumline", forte di un'ottima sezione ritmica e di un dualismo vocale scream/clean che ne conferisce dinamicità e drammaticità. "Reflux" richiama per linee melodiche 'Brave Murder Day' dei Katatonia, sebbene l'irruenza musicale sfoci ancora in partiture black, stemperate però da cori puliti che ne fuorviano il risultato complessivo. La durata non eccessiva dei brani (che si assesta sui quattro minuti, a parte un paio di picchi oltre i sette) agevola non poco l'ascolto e l'assimilazione della proposta sonora dei Deadspace, che anche in "The Worms Must Feed" fanno stropicciare gli occhi per l'eleganza mista a ferocia. "Kidney Bleach" è una ballad, si avete letto bene, in cui fa la sua comparsa anche una gentil donzella, Portia Gebauer, che ben duetta con il fratello Chris, frontman della band. Con "Comatose" si esplorano i territori del dark-depressive rock, in una song che vede una seconda ospitata, Drew Griffiths dei Ur Draugr, e che si dilaterà nella suadente strumentalità di "Only Tears", prima del gran finale affidato alla title track. Gli ultimi minuti della storia narrata dai Deadspace (trattasi di un concept album) culminano con un'altra song dall'inizio rilassato che ben presto sfocerà in un arrembante progressione mozzafiato sempre a cavallo tra black, rock dalle tinte progressive, shoegaze, dark e gothic, che sanciscono l'emozionalità di un disco davvero interessante e che per lungo tempo ci darà modo di parlare di questi notevolissimi Deadspace. (Francesco Scarci)

(Talheim Records - 2017)
Voto: 85

domenica 3 settembre 2017

Distant Landscape - Insights

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock, Katatonia, Anathema, Riverside
Meglio non trovarsi in un qualche turbine emotivo prima di ascoltare il debut album dei nostrani Distant Landscape, rischiereste di venire sopraffatti dalla malinconica proposta che Marco Spiridigliozzi (mastermind della band) e i suoi compagni hanno prodotto. Io l'ho fatto e quale struggente mal di stomaco ne ho ricavato, lo sa solo il buon Dio. Già, perché dopo aver inserito 'Insights' nel mio lettore e avviato l'opener "Same Mistake", mi sono fatto trascinare da quel senso di sconforto, generato dalla perdita di una persona amata, colpa di melodie strazianti che hanno toccato con facilità le corde già sensibili della mia anima, anche se con sonorità (e vocals), che mi hanno evocato inequivocabilmente 'The Great Cold Distance' dei Katatonia, prima vera fonte di ispirazione dei nostri. Lo struggimento prosegue con le note delicate di "Cage Inside Us", una lunga traccia (oltre nove minuti) che partendo da atmosfere intimistiche, cresce pian piano di ritmo ed intensità, passando da un rock seducente ad un sound più robusto ed incazzato, sebbene mostri poi un finale più equilibrato e psichedelico. "First Insight" si apre con un arpeggio e la voce di Marco che emula con eccellenti risultati, il ben più famoso collega svedese, in una song intrisa di tristezza, soprattutto a livello lirico. Ripeto, meglio non ascoltare il disco se non siete sereni, l'effetto potrebbe essere destabilizzante, qui con la voce di una gentil donzella (Judith dei Raving Season), ad aumentare il carico di sofferenza. L'attacco roboante delle chitarre di "The Desire" lascia intendere un passato doom dei nostri, e quel riffone che chiama in causa gli Anathema periodo 'Pentecost III'/'The Silent Enigma', ne è la prova, anche se poi la tensione si allenta e torna lo spettro dei Katatonia ad aleggiare sui nostri, fatto salvo per chiudersi con una eterea spiritualità che ha smosso anche echi degli Alcest. Ancora un arpeggio in apertura per "The Change", e ancora malinconia grondante da ogni linea melodica che sia di voce o di chitarra, che mi accompagnano fino alla sesta "The Love of a Mother for Her Sons". Quest'ultima è una song che per testi e musicalità, ha scomodato un altro classico degli Anathema, "One Last Goodbye", estratto dal meraviglioso 'Judgement', riletto però in chiave più "moderna", stile 'Weather System', con tanto di voce femminile in primo piano. Al finale, ecco attendermi "Distant Landscape", l'ultima fatica in grado di dare il colpo di grazia al mio cuore già infranto e ora sedotto anche dal suo evoluto rock progressive che strizza l'occhiolino ai polacchi Riverside. Alla fine 'Insights' è un bell'album; se solo i Distant Landscape saranno in grado di acquisire maggiore personalità, scrollandosi di dosso le influenze di Anathema e soprattutto Katatonia, sono certo che sentiremo a lungo e strabene parlare di questi ragazzi. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/distantlandscape/

sabato 12 novembre 2016

Besides - We Were So Strong/Everything Is


#PER CHI AMA: Post Rock/Shoegaze, Slowdive
A volte mi domando quante gemme mi perderei in ambito discografico se non navigassi nel sottobosco più profondo (il medesimo problema potrebbe essere traslato anche nel cinema o nel mondo dei libri). Mi sento un privilegiato a poter scavare nell'underground alla ricerca di musica che nessuno conosce e probabilmente mai avrà modo di ascoltare. Oggi il mio mouse si è soffermato sul sito di una band polacca, i Besides, in sella alla scena post-rock dal 2011, con un primo disco, 'We Were So Strong', datato 2013 e questo 'Everything Is', uscito nell'autunno del 2015. Il primo album guardava a sonorità più orientate al versante prog rock, mostrando il lato più dirompente dei nostri con brani diretti ("At Night", "Linnet's Fligt" o la title track), altri più dream-pop ("Beyond") votati a proporre atmosfere cariche di plumbea nostalgia ("May I Take You Home?") che nel loro evolversi potevano chiamare in causa alternativamente le primissime uscite dei conterranei Riverside ("Strand") o una versione più onirica dei Porcupine Tree ("Deprived of"), il tutto muovendosi sempre in un puro ambito strumentale. Il nuovo lavoro include otto pezzi, che chiamano in causa i grandi nomi del post rock ma non solo, viste le influenze shoegaze di cui il disco risente palesemente e di cui si ammanta, grazie a quella sua aura ideale per uggiose giornate di novembre, in cui la cosa più stimolante da fare, sarebbe semplicemente pararsi dietro alla finestra e scrutare l'orizzonte, accompagnati da un malinconico sottofondo musicale. Certo, se la sfortuna vuole che di fronte abbiate un bel palazzone che vi ostruisce la vista, come per il sottoscritto, non rimane che stendersi al buio di una stanza, accendere un po' di musica e lasciarsi agguantare dalle melodie soffuse di questo quartetto di Brzeszcze, una cittadina dal nome tanto incomprensibile quanto intrigante, non troppo lontana da Katowice. "Of Joy", "Efflorescent" e "Fluttering" sono i primi tre brani in cui ci si imbatte durante l'ascolto di 'Everything Is', effluvi di musica eterea, fatta di densi e introversi intrecci chitarristici, capaci di evocare gli Slowdive e i My Bloody Valentine, giusto per fare due nomi su tutti, qui però privati di un vocalist. Per arrivare alla mia song preferita, dobbiamo attendere la quarta posizione del cd, "And So Am I", la classica traccia che parte piano e sale in un crescendo umorale fatto di percussioni tribali, riverberi distorti e struggenti linee melodiche, in un'alternanza di chiaroscuri emozionali. "Cauterized" e la seguente "A Threnody" rappresentano invece il lato più oscuro dei Besides, con un sound più notturno e a tratti claustrofobico, ma che comunque permette di godere delle fluttuazioni soniche di questo ensemble polacco, che nella conclusiva "Of Sorrow" apre addirittura con scariche inattese di violenta elettricità. Peccato solo per la mancanza di una voce che avrebbe reso il tutto ancor più gustoso; d'altro canto la fortuna dei già citati Slowdive e My Blood Valentine o ancora Ride e Pale Saints, è passata anche dalla presenza di un vocalist dietro al microfono che modulasse nel migliore dei modi, la loro proposta musicale. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
(Self - 2015)

Voto: 70
Voto: 75

domenica 24 luglio 2016

Elusive Sight - Beyond Light

#PER CHI AMA: Death/Doom/Gothic, My Dying Bride, Anathema, Madrugada
I polacchi Elusive Sight sono una sorta di magia del sottobosco musicale estremo europeo. Autoprodottisi in maniera spettacolare, il quartetto polacco ha tutte le carte in regola per saltar fuori dalla media delle release europee degli ultimi tempi, esasperando un suono che sbandiera nomi di band di culto, impegnate in vari e differenti generi, tra cui My Dying Bride, In The Woods, Anathema e i rockers norvegesi Madrugada. Tutti questi modi differenti di far musica estrema vengono convogliati e interpretati in 'Beyond Light' con una maestria tale che nulla possiamo dire alla band proveniente da Leszno Górne cosi come nulla che possa scalfirne la raggiunta maturità. Dopo un buon album di debutto, con l'utilizzo prevalente di una voce gotica femminile, datato 2013, la band, nata solamente un anno prima, modifica la propria formazione portando il vocalist Gordon in pianta stabile dietro al microfono: mai scelta fu cosi azzeccata per il sound del gruppo. Una voce straripante, drammatica, padrona assoluta della scena, tesa all'inverosimile e al contempo malinconica, avvolgente, poetica nel suo rendere ogni nota cupa e senza via di uscita. Il parallelo con i Madrugada di 'Industrial Silence' è d'obbligo, anche se qui si parla di musica decisamente propensa al metal d'avanguardia, oscura con punte volte al gothic e al doom più arido. La chitarra di Jarosław Mendrek poi rende tutto così astratto e delicato con il suo modo così inconsueto di intendere il doom che anche le parti più dure mostrano una malinconia al di fuori del già sentito, una realtà tagliente e dura, aspra, un continuo senso di ricerca interiore e un isolazionismo ricercato. Un album tanto bello quanto pericoloso, un disco che spinge su tutti i brani verso il crollo verticale dei sentimenti. Il modo anticonvenzionale di intendere il doom da parte degli Elusive Sight e quella loro innata verve depressiva piena di energia, ha creato nove splendide gemme, dal suono moderno, glaciale e stimolante sulla scia di band come i Lifelover ma rivolti più alla profondità e all'introspezione, con brani che sfiorano l'apoteosi della sofferenza e il mal di vivere, come l'iniziale "Of Heremit and the Absence of Light" o la centrale "To the Mountains". La splendida ballata "Haven" sembra rubata dal repertorio dei Madrugada, per essere resa dannata e immortale grazie alla voce sofferente di Gordon che, salmodiante, ci spiazza e rende inermi dinanzi a tale illuminato rock occulto. Gli Elusive Sight non hanno un nome scenografico e anche graficamente il cd potrebbe passare inosservato, ma la realtà è ben diversa, in quanto questi ragazzi hanno creato una sequenza di brani stratosferica, di qualità superiore, un disco che deve essere considerato in assoluto tra le migliori uscite underground del 2016. Una band dal potenziale incredibile e dalle doti compositive che colpiscono per un sound rigoglioso di oscurità e profondità, musica estrema per riflessioni interiori, per cadute senza fine. Non un capolavoro, il capolavoro! (Bob Stoner)

(Self - 2016)
Voto: 90

sabato 12 settembre 2015

The Morganatics - We Come From The Stars

#PER CHI AMA: Alternative Progressive Rock, Lacuna Coil
Le torride giornate di quest'estate che volge al termine, hanno visto arrivare tra le mie grinfie diversi CD abbastanza interessanti e quello di questa band francese, si dimostra essere forse tra i più convincenti. La band arriva da Parigi e dà alle stampe questo secondo lavoro, dopo un debutto che aveva dimostrato le potenzialità del combo. Cinque componenti, ognuno con delle influenze diverse confluiscono in un solo progetto per produrre musica davvero “scintillante”. Definisco così la loro proposta perchè, sebbene io non sia un grande estimatore dei miscugli di genere, le loro composizioni (oltre ad essere molto interessanti) brillano di luce propria, nonostante emergano qua e là i riferimenti alle band preferite dai vari componenti. Nella biografia della band leggo che le band maggiormente apprezzate sono Linkin Park e Porcupine Tree, due proposte nettamente agli antipodi, ma di cui chiari sono i rimandi in alcune tracce. Aggiungerei poi che in alcuni passaggi i nostri mi hanno ricordato anche i nostrani Lacuna Coil, pertanto mi sentirei di definire la proposta dei transalpini come un solido prog rock moderno. Non vorrei dare per forza un'etichetta ai The Morganatics, ma cerco di farlo per far comprendere meglio a chi legge, se possibile, la particolarità e l'originalità di 'We Come From The Stars'. La musica scorre via piacevolmente lungo i 64 minuti dell'album che consta di 11 tracce. Le canzoni sono facilmente apprezzabili sotto un punto di vista melodico e di esecuzione, risaltate da una produzione al limite della perfezione. Sintetizzatori, archi e parti electro si amalgamano a chitarre più classicamente metal, con un drumming preciso e coinvolgente a creare la solida struttura sulla quale si intersecano precise linee di basso e le vocals, sia femminili che maschili, sempre in clean. Alla fine dell'ascolto rimane la consapevolezza di essere a cospetto di un lavoro assolutamente ben concepito, che a mio parere potrebbe dare il meglio di sé in sede live. Le mie song preferite, pur apprezzando tutte le composizioni, rimangono l'opener “I'm a Mess (but I am Free)” e “Even Terminators Can Cry”. Se avete voglia di ascoltare un disco ben fatto, allontanatevi (come ho fatto io) dai preconcetti legati al genere e date una chance a questi ragazzi transalpini, non ve ne pentirete di certo. Ottimo lavoro. (Claudio Catena)

lunedì 8 giugno 2015

Naïve - Altra

#PER CHI AMA: Post Rock/Progressive/Alternative, Demians, 
Marzo 2015: accade che ancora una volta in Francia, nuove leve crescano e mietano vittime. La brezza fresca questa volta arriva da Tolosa e risponde al nome di Naïve, un trio per cui sono già state spese ottime parole, una musica che si muove tra il metal, il progressive, l'elettronica e addirittura il trip-hop. Sette i brani a disposizione per dire chi sono questi ragazzi giunti al loro terzo Lp, mostrare le proprie qualità, emozionare e sapere di esserci riusciti, e ora avere anche la consapevolezza di aver trovato almeno un nuovo fan nel sottoscritto. 'Altra' è il titolo della nuova release, "Elevate/Levitate" il nome della lunga opening track: una musicalità lineare, semplice, che si insinua nella testa, un riffing vivace, un clima malinconico, un vocalist, Jouch, ricco di talento, grazie alla sua voce calda e sensuale, che da sola regge l'intelaiatura di tutto il disco. Brividi affiorano sulla mia pelle per le melodie toccanti che risvegliano ricordi lontani, quelli del debut dei conterranei Damiens. Un riffing di natura djent apre "Yshbel", poi non appena il vocalist si impadronisce della scena, ecco un fluire liquido di effetti vari in sottofondo, che rendono il tutto più accessibile a larghe masse, dall'hard rocker al deathster più open mind. La malinconia che risiede nelle note delle chitarre e nella voce di Jouch, è il filo conduttore dell'album, un lavoro quasi perfetto che ha un solo evidente difetto (sarà poi vero?), riscontrabile fin dalle prime due tracce, la lunghezza. Sbrodolano un po' troppo i nostri, rischiando in questo modo di stancare sul lungo termine; con un sound cosi accessibile sarebbe infatti stato meglio svilupparlo nella metà del tempo. Fatto sta che le canzoni continuano a prendermi: anche la terza track, "Mother Russia", affida la sua ritmica a tenui basi elettroniche che contribuiscono a dare quel pizzico di post rock alla release che non guasta mai. Ma ancora una volta, più di ogni altra cosa, anche se le atmosfere vi garantisco siano davvero splendide, è la magnetica voce del frontman transalpino (tra l'altro anche autore della bellissima cover) a conquistarmi, a dare quel quid in più per rendere 'Altra' una release davvero speciale. "Monument Size" è un brano molto più aggressivo, sorretto da una ritmica agguerrita, che vede nel drummer Mox un altro punto di forza dei nostri. Nello stretto giro di un paio di minuti però, l'epica cavalcata dei nostri si trasforma in un tribale e multicolore flusso trip-hop di scuola Massive Attack/Portishead, che eleva i Naïve ad altissimi livelli di originalità e li spinge in alto nella mia personale top ten di questo primo semestre 2015. "Surge" esplode con arroganza nel mio lettore, con un riffing sincopato che nuovamente richiama le poliritmie "meshugghiane", ma il sound dei Naïve è cosi mutevole che nel giro di pochi istanti cambia radicalmente l'atmosfera e l'elettronica, in combinazione con alternative e post rock, ci consegnano un pezzo splendido, che mi fa rimangiare quanto scritto in precedenza sulla eccessiva lunghezza dei pezzi. Ben vengano infatti le lunghe divagazioni dell'ensemble francese: ascoltare un loro brano è come leggere un libro thriller che regala costanti emozioni, che tiene col fiato sospeso e concede imprevisti colpi di scena. Colpi di scena come quelli di cui potei godere lo scorso anno con un altro splendido album di scuola francese, i Lost Ubikyst in Apeiron e per cui c'è un sottile filo conduttore che accomuna le due band. "Waves Will Come" nel frattempo ha ancora da offrire molto dell'essenza dei Naïve: una traccia in cui il vocalist sembra addirittura Sting, mentre la ritmica si muove gentilmente tra elettronica, metal progressivo e alternative rock, muovendo scomodissimi paragoni con Anathema, Porcupine Tree, Tool, Tesseract, Meshuggah e Gojira. L'ultima traccia è proprio la title track, in cui un violino fa la sua comparsa integrandosi alla perfezione negli oltre dodici minuti di musicalità da brividi, in una song che segna l'epilogo per un disco a cui tutti voi dovete dare necessariamente una chance, senza esitazione alcuna. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 90

venerdì 5 giugno 2015

Lehnen - Reaching Over Ice And Waves

#PER CHI AMA: Post Rock/Ambient
Che ci fanno due americani a Vienna? Scopriamolo con 'Reaching Over Ice and Waves', nuovo album dei post rockers Lehnen. Iniziamo la nostra carrellata da “Immer Fremd” ove un sussurro di parole scomposte turba i sensi. Vorrei ascoltare, ma l’impronta della mano di questa strumentalità, fa ambientare le mie velleità. L’ascolto è ipnotico. Vorrei raccontare, ma spezzo la ragione in frammenti cristallizzati che si propagano come pezzi di vetro su pareti insonorizzate. Metallo e diamanti soffiano da questo esordio soffuso, in cui l’ambient si mescola alla personalità degli autori. Il pezzo suona come un graffio che lascia sospesi i timpani in attesa d’altro. Altro che troviamo in “ How’s the Tieres?”. Ottoni metallicamente affannati da un’ipossia lisergica che preda. È un reiterare lisergico di chitarre che scavano un circolo di riff virtuosi. Denti serrati. Attesa. Alcova forgiata per chi è vergine di sonorità acustiche violentate. Scosse fulminee e dilatate tra questo fuoco che incendia e raffredda. Dopo tre colpi elettrici che chiudono, debbo cedere alla malia di “Horsetooth”. Non mi bussate. Non mi parlate. Non mi chiedete. Il diniego apparente, sarà quell’avere sfiorante, leggero, audace, volubile, intriso di sangue e di sound. Ascoltate dopo aver acceso candele al buio che fanno vibrare la vostra aria nottambula. Le distorsioni di “Nightdrive, Mile High”, tracciano una via sconnessa a mezz’aria tra il vissuto ed il vivere. Sospensioni sonore che ricamano il sentire come tatuaggi che si sceglie di fare o di immaginare. Ora preparatevi ad una guerra. Sono mitragliate sensuali, incessanti. Sono ripetizioni armate, sparate a salve. Ad una guerra, in fondo non si è mai pronti. “Isolation”. Ecco che non c’è guerra a fuoco, ma c’è battaglia tra voi e quello che volete sentire. Se non siete centrati, perderete l’equilibrio. Non solo voi, ma anche io abbisogno d’un respiro, profondo. Il mio respiro però sa di abissi mentre mando on air “Away”. Non penso. Lascio la traccia al suo scorrere. Osservo una Londra nostalgica cosi come nostalgica è la suadente voce di Joel Boyd. Ed il Tamigi fa da padrone nel convogliare pretese, suoni e immagini occultate in musica. “Estes”. “TCK”. “Grey Like Travel”. Epilogo variegato di corde accordate indipendenti dai legni. Sorti benevole ed ispirate in questa triade che voglio accorpare, poiché mescolata odora di atmosfera disegnata in una notte d’estate. Luci accese e poi spente d’improvviso. È materica ed eterea la musica che propaga dal primo all’ultimo pezzo dell’album. Qualsiasi sia il vostro contesto, abbassate le luci. Garantisco ossimori che sanno di ghiaccio bollente. (Silvia Comencini)

(Self - 2015)
Voto: 75

giovedì 28 maggio 2015

This Empty Flow - Nowafter

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark Sperimentale, Radiohead
Nati nel 1994, dalle ceneri degli storici doomster finlandesi Thergothon, i This Empty Flow hanno avuto vita breve se pensiamo che già nel 1997 venne posta fine al progetto. Un vero peccato, dato che in soli tre anni di attività i This Empty Flow hanno saputo comunque scrivere delle pagine di importanza non marginale all'interno del vasto panorama musicale underground e con una classe così unica che oggi il loro nome ha lasciato il segno. La formazione, composta inizialmente dagli ex-Thergothon Jori Sjöroos (voce/chitarra) e Niko Sirkiä (tastiere), fu presto affiancata dal bassista Aku-Tuomas e nel marzo del 1996 debuttò per la nostrana Avantgarde Music con 'Magenta Skycode', un album stupendo che a causa di una scarsa promozione passò purtroppo "in sordina" e non ottenne così l'attenzione che avrebbe meritato. Il successivo 'Three Empty Boys' non ebbe sorti migliori e fu pubblicato dalla Plastic Passion solo nel 1999, quando il gruppo era ormai sciolto. Questa raccolta, uscita per l'italiana Eibon Records nel 2001, racchiude sei brani fino ad allora inediti, cinque già contenuti nel secondo album 'Three Empty Boys' e tre tratti da 'Useless and Empty Songs', un cd-r realizzato nel 2000 sempre dalla Plastic Passion nella limitatissima quantità di 111 copie. Il cd si apre con le sei registrazioni inedite (ultime composizioni del gruppo risalenti all'estate del 1997), che oscillano tra sonorità alla Radiohead e sfumature trip-hop; ne sono un esempio il bellissimo brano d'apertura "Je(n!)i Force", in cui violino e chitarra accompagnano l'incedere lento e ritmato del pezzo e "Marmite", inframmezzata da insolite parti rappate. Dopo gli accenni psichedelici di "Stilton" è la volta delle melodie dilatate di "Shoreditch", tra le quali affiora lo spettro dei Pink Floyd e dove timidi arpeggi di chitarra sostengono la vocals sommesse di Jori. In "And also the Drops", rifacimento del brano "Drops", emerge un gusto pop accostabile ai primi Suede, mentre in "Ashby-de-la-Zouch" i toni gravi e drammatici degli strumenti a fiato si diffondono tra una voce sospesa e i riverberi di liquidi synth. Con "One Song of Solitude" l'influenza The Cure si fa abbastanza evidente e ci trascina in uno stato di abbandonica e piacevole malinconia, sensazione che ci avvolge anche in "Angel's Playground" e in "Dubby", dove le melodie struggenti della chitarra colorano i nostri pensieri delle sfumature più cupe. Fragili, malinconici e toccanti, i settanta minuti di musica contenuti all'interno di 'Nowafter', sono il testamento di una band che ha avuto poca fortuna nella sua breve carriera, rendiamo allora un giusto tributo ai This Empty Flow, facendo nostra questa bellissima raccolta e non dimenticandoci di loro. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2001)
Voto: 85

venerdì 10 aprile 2015

Cuckoo's Nest - Everything is not as It Was Yesterday

#PER CHI AMA: Depressive Black/Post Rock, Shining, Addaura, Alda
Il monicker "il nido del cuculo" è davvero geniale in quanto mi rimanda al bellissimo film 'Qualcuno volò sul nido del cuculo' dove uno psicotico Jack Nicholson si ritrova rinchiuso in un ospedale psichiatrico per essere "vagliato" dal lato comportamentale. E oggi rievocando proprio quel film, ecco trovarmi tra le mani l'ennesima scoperta della label cinese Pest Productions, gli ucraini Cuckoo's Nest. La band originaria di Mykolaiv, al secondo lavoro, va ampliando i propri orizzonti sonori già calcati nel precedente 'Dark Shades of Lunacy', ossia quella sorta di ibrido depressive black/post-rock che tanti proseliti sta raccogliendo negli ultimi tempi. Otto le tracce incluse tra cui una cover degli Austere, di cui sinceramente avrei fatto a meno. Le rimanenti sette, oltre alla classica minimalista intro, si snodano tra le melodie desolanti della lunga "Full of Dark Shades", che tra urla "burzumiane" e oniriche ambientazioni, giunge ad un quanto mai inatteso finale elettronico che prelude a "Feel of Desolation Will Always Chase Me... (part II)", interludio di pink floydiana memoria che ci prepara a "So Close, Too Far Away...". Altri nove minuti, in cui il quartetto ucraino si libera dell'influsso malefico del Conte Grisnack e abbraccia influenze più marcatamente post-qualcosa, mantenendo intatto il legame con il black solo a livello vocale, complice il ferale screaming di Oleg "Satana" Maliy e in qualche rara sfuriata chitarristica (ben 3 le chitarre presenti su questo lavoro). La musica invece viaggia sui binari di un suggestivo sound che dischiude le ottime potenzialità del combo ucraino. Celestiali, sognanti ed esplosivi, i Cuckoo's Nest mi rapiscono con la loro proposta ipnotica, selvaggia ma mansueta allo stesso tempo. I tredici minuti della title track e della successiva "World of Empty Hopes" confermano questo trend, in un sound che magari tende a dilungarsi un po' troppo in impalpabili tensioni emotive, ma che comunque rivela l'estro e la spiccata personalità di una band che è già pronta per il grande salto. Ovviamente ci sono ancora alcune spigolature da smussare, come certi break ambient troppo prolissi e ripetitivi o ancora certe sbavature a livello tecnico. "And End... (in memory of Roman Lomovskiy)" è una traccia strumentale, che tributa il giovane musicista russo morto suicida il 1° giugno del 2013, in una song dai vellutati richiami shoegaze. Chiude infine la già citata cover degli australiani Austere, in una traccia all'insegna del suicidal black metal, che poteva essere omessa in un album già di per sé di lunga durata e dai ricchi contenuti. Alla fine 'Everything is Not as It Was Yesterday' mette in mostra la classe, seppur ancora non del tutto sbocciata, di un quartetto intrigante e da tenere sotto stretta sorveglianza. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2014)
Voto: 75

giovedì 19 febbraio 2015

People are Mechanisms - VII

#PER CHI AMA: Doom/Rock Depressive
Quest'album è un viaggio in cui la meta passa in secondo piano. Armatevi di torce, bussole e fuoco. Vi serviranno quando vi troverete sperduti in quelle terre dimenticate dalla coscienza, abitate solo dai fantasmi della vostra anima. “Envy”, questo il brano d’esordio in cui la materialità della terra diviene avulsa allo spirito, in favore della risacca del vento. Turbina la musica, sprigionando abbracci immaginati, in cui il tepore è solo un’illusione. Mentre ascolto questa strumentalità, apparentemente asettica, sento che in essa vi è il potere di alienare freddo e solitudine. Questa essenza in musica, ha l’arroganza e la forza di smemorizzare il cuore, rendendolo un guerriero che vincerà, dopo aver pagato l’obolo del contrappasso. La velocità del nostro viaggio cambia con “Gluttony”. La batteria marcia incalzando gli spazi tiepidi che aveva scavato “Envy”, per poi mescolarsi a corde metalliche di chitarre sprezzanti, quanto definite in un evolvere metal che fa togliere cappello e vestiti, tanto è il calore che si solleva dalla carne in un ballo ipnotizzante descritto da quest’altra song strumentale. Se vi sono sembrata predata romanticamente dal dark, con “Lust”, stravolgerò le vostre percezioni. Vi invito a stringere tra i denti il vostro pensiero più ossessivo. Trattenetelo, perché nel mettere a volume questa traccia potrebbe confortarvi. Ci addentriamo con “Lust”, in verbalizzazioni squisitamente metalliche in cui si avvicendano ottoni violentati, bassi sguaiati, rimembranze sensualmente spinte in accordi graffiati. Un orgasmo sonoro dall’anima nera. Ben fatto. Straziante. Coinvolgente. Riprendetevi in fretta. Perché “Sloth” non vi lascia respirare. Bissiamo “Lust” in un tutt'uno di batteria, gesti secchi sulle corde di chitarre elettriche dallo stomaco ben carburato. Questi due brani sono appendice, l’uno dell’altro. Ora prendete le vostre torce, le vostre bussole ed i vostri fuochi. Spegnete. Buttate. Soffiate. Questa “Proud” ce la assaporiamo avvolti dal buio pesto che non filtra né speranza, né salvezza, né possibilità. Chiudiamo con un catenaccio ferroso la porta dell’anima. Lasciamo che “Proud” ci guidi nei sentieri bui delle paure. Lasciamo all'udito il beneficio del dubbio che questa band russa, possa farci non solo perdere, ma trovare. Lascio il passo al vostro riascolto. Consiglio agli astanti questo viaggio, ma lasciando a casa l’armatura. (Silvia Comencini)

(Self - 2014)
Voto: 75

sabato 17 gennaio 2015

Isa - Songs of the Dead

#PER CHI AMA: Black Folk, Summoning, Negura Bunget, primi Ulver 
Detto che nel web le informazioni circa questa band sono parecchio scarse e confuse, posso solo dirvi che il combo di oggi arriva da Novosibirsk, nel distretto siberiano della Russia. In internet si identificano col semplicissimo monicker I, Iza o Isa, che poi starebbe per ghiaccio (ice), ma in questo caso identificherebbe la runa ISA, che racconta l'impermanenza delle cose che come le forme del ghiaccio stesso, si sciolgono e svaniscono, simbolo del mondo interiore, della solitudine, dell'introspezione, ma anche della tristezza e della malinconia. I nostri debuttano con questo album, grazie alla Autodafeprod, interessante etichetta moscovita, offrendo del sofisticato e atmosferico folk black. Il platter si apre con la lunga title track, "Songs of the Dead" (titolo e testi ovviamente sono in cirillico), traccia che si muove su ritmi sognanti e i cui tratti black si limitano al solo cantato abrasivo di Alexandr. Tutto il resto invece ha un che di fatato con l'utilizzo di strumenti folk, flauto (a cura di Artem) e tastiere che rendono il tutto cosi lontano e fuori da ogni tempo. I due giovincelli russi strizzano l'occhiolino ai Summoning, velati da un tocco depressive, e come dargli torto, se poi la piacevole miscela sonora che ne esce dai solchi di quest'album, ha il grande pregio di nebulizzare i miei pensieri e farmi sprofondare in un mistico sonno. "On the Knife's Blade" prosegue inseguendo fantastiche creature mitologiche in paesaggi bucolici, dai colori accesi e non di questa terra. Summoning si, ma anche una versione dei Negura Bunget al rallentatore o i Burzum più meditativi, senza dimenticare Pazuzu e gli Ulver di 'Kveldssanger'. Delicate chitarre pennellano fatate melodie ancestrali, per cui si sarebbe facile e scontato immaginare la musica degli Isa come colonna sonora dei momenti più magici della saga de "Il Signore degli Anelli". Andando avanti nell'ascolto ci si imbatte nell'oscura atmosfera di "Harvest Glow", cupa ma dall'aura fiera in cui a tener banco rimangono le tastiere, che guidano il flusso emotivo dell'intero lavoro. "Back to Home (The Edge of the Earth)" abbassa ulteriormente i toni, neppure ce ne fosse stato bisogno, e con morbide melodie e voci sussurrate, si aggrappa dolcemente alla nostra anima, anche se il suono di corvi svolazzanti rivela un presagio di morte, che si materializza nella funesta melodia di sottofondo e nel cantato tagliente del vocalist. Lentamente (le tracce superano tutte gli otto minuti) ci avviamo verso la conclusione: chitarre, sempre in tremolo picking, aprono "Winds Brothers", brano in cui gli innesti di flauto dolce duettano con la voce e il suono tribale della batteria si avvinghia a quello di malinconiche tastiere e chitarre, qui leggermente più taglienti, per quanto voglia dire qualcosa questo aggettivo in un album, dove non c'è mail il benchè minimo accenno a velocità o pesantezza. "Memory of the Flooded Villages (Farewell)" è il pezzo in coda al disco in cui più forte è la componente ambient (che già si era ritrovata qua e là nel corso dell'ascolto di 'Songs of the Dead'), anche se poi l'intesità delle chitarre va via via aumentando, arricchendosi di ulteriori elementi secondari (suoni orientali) che rendono il tutto più complesso e catartico, ma regalandomi anche le ultime preziose emozioni di una release, apparentemente di facile approccio, ma alla fine non cosi facile da digerire. Sontuosi. (Francesco Scarci)

(Autodafe Prod - 2014)
Voto: 75

sabato 10 gennaio 2015

Grisâtre – Paroxystique

#PER CHI AMA: Blackgaze, Burzum, Nortt
Terzo full lenght per la one man band francese Grisâtre, attiva sin dal 2006. Uscito per la Dusktone Records sul finire del 2014, l'opera al nero dell'artista transalpino Rokkr non lascia dubbi sulle sue intenzioni. Carico di forza emotiva sulla falsariga degli Alcest, si apre con un mid-tempo, "Meditation", dalle atmosfere decadenti e gotiche, chitarre lievi, epicità e tanta malinconia, song che merita in grande stile questo titolo. Cambiano i toni in "Contemplation", pezzo che mostra i suoi muscoli pur mantenendo una certa originale eleganza, la stessa che marchia a fuoco lo stile della band per tutta la durata del cd. Batteria in accelerazione, ritmo veloce e suono maestoso, screaming violentissimo, chiaro scuri notevoli e cambi di tempo per una performance di oltre diciassette minuti, a confermarsi come un lungo viaggio introspettivo e decadente, pieno di insidie e buie emozioni. Infinito e devastante. Drone music, degna del gran maestro Klaus Shulze sul calare del terzo brano, contornato da synth profondissimi e arpeggio cristallino appena accennato, per un momento di intimità sonora di tutto rispetto prima della drammatica discesa nei meandri più disperati dell'anima di "L'Astre Gris", inno glorioso al black metal d'atmosfera di oltre diciotto minuti con influenze classicheggianti che fanno echo ai primi Dimmu Borgir e alle intuizioni mistiche dei grandissimi Nortt, passando sempre per quell'oscura, vorticosa, gelida e minimale espressività del miglior Varg Vikernes. La chiusura dell'opera è affidata al brano che regala il titolo al disco: un lungo romantico e tenebroso assolo lo apre e si riappropria delle atmosfere più fosche e grigie espresse fin qui dal polistrumentista francese, che ne fa a ragione il suo cavallo di battaglia. Ampliando in questo brano gli orizzonti della sua musica, mescolando le carte, focalizzando il suo modo di vedere e comporre. In 'Paroxistique' il sound si fa rarefatto e più umorale, i chiaro scuri si infittiscono condensando tutti i canoni delle sue capacità compositive in un pezzo di struggente e commovente espressività. Un salto nel buio, il vuoto che riempie, la ricerca di una dimensione onirica inattaccabile, il rifugio perfetto per un'essenza superiore. (Bob Stoner)

(Dusktone Records - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/Grisatre

giovedì 8 gennaio 2015

Cepheide - De Silence et De Suie

#PER CHI AMA: Black Depressive/Cascadian, Panopticon
'De Silence et De Suie' è il demo cd dei parigini Cepheide, che hanno esordito nel 2014 con questo 4-track di black depressive dalle tinte atmosferiche, che sembra rifarsi al sound degli australiani Woods of Desolation. Quattro song dicevamo, che si aprono con la desolante melodia di "A La Croiseue Des Aimes", dove urla lontane e chitarre malinconiche inquadrano immediatamente la proposta dei nostri. Devo essere sincero, il primo titolo che ho accostato ai Cepheide è stato il debut album degli In the Woods, 'Hearth of the Ages', vero capolavoro black. Poi, a poco a poco vengono fuori altre influenze che finiscono per arricchire e non poco, la musica del trio di Parigi. Un pizzico di blackgaze, sfuriate cascadiane a la Panopticon, e la voce, inequivocabilmente suicidal black, delineano in soldoni le caratteristiche principali della band transalpina che è già matura per approdare alla Pest Productions, la scuderia cinese orientata a questo versante sonoro. "Là Où Les Idoles Demeurent" parte piano con un'angosciante melodia di fondo (ideale per il suono di un carillon), prima di lasciar posto a un funesto e caotico attacco black, in cui a (con)fondersi nel marasma sonico ci sono chitarre (in tremolo picking), un drumming impazzito (opera di Orkham) e uno screaming lancinante, con la ritmica forsennata, che corre e deraglia dai suoi binari. La registrazione casalinga aiuta a mantenere un approccio totalmente raw all'intero lavoro: ne è testimone l'infausta "L’Homme Ruin" in cui la voce, totalmente indecifrabile, si infrange negli angusti anfratti chitarristici del duo formato da Destresse e Spasme (quest'ultimo anche vocalist), creando un'ambientazione che lascia il fiato corto, che preme sullo sterno e genera un'ansia spaventosa. La song, sconfortante al massimo, ci prepara ai conclusivi otto minuti di disperazione, offerti da "Deluge", song che strizza l'occhiolino al sound dissonante dei Deathspell Omega; una musica esangue che poco spazio concede alla melodia, ma che si concentra solo alla macerante decadenza di questi ragazzi. Morenti. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70