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martedì 19 settembre 2023

Steamachine - City of Death

#PER CHI AMA: Groove Death/Metalcore
Con un incipit di "pensees nocturnes" memoria, si apre l'album dei polacchi Steamachine, 'City of Death'. Se la title track nonchè traccia d'apertura, ci dice che siamo nei paraggi di un death melodico dai tratti piuttosto compassati, tanto che sembrerebbe addirittura una lunghissima intro tra scanzonati cori, riffing di circensi reminescenze, e vocalizzi growl, la successiva "Show of Death" sembra meglio demarcare i tratti di questo stralunato quartetto. La song infatti, un filo più robusta, ritmata e dinamica della precedente, apre con scoppiettanti e marcati riff pregni di un esorbitante quantitativo di groove e deliziose melodie che trovano in un breve break atmosferico, il punto di ristoro del brano. Voler però catalogare a tutti i costi la proposta dei quattro musicisti originari di Olsztyn, peraltro al loro secondo album in due anni, potrebbe però essere oltremodo oltraggioso, data l'eccelsa capacità di far transitare più generi nella stessa cruna dell'ago, che vanno da sporadiche capatine black al deathcore progressivo e l'esempio più calzante potrebbe essere rappresentato da "Monsterland", senza tralasciare death, dark, prog, metalcore, steampunk, alternative e thrash metal. A proposito di quest'ultimo ecco che "Sinister Reflection" sembra far confluire influssi industriali sopra un rifferama thrash metal oriented, con tanto di voci nu-metal e sonorità parecchio sinistre, cosi come vuole il titolo. Robusta, cattiva, acida nelle sue partiture vocali (sebbene corredata da clean vocals che andrebbero invece riviste) è invece "Acrobats of the Abyss", che tuttavia nel corso dell'ascolto mostra parti sperimentali di synth e keys che si abbineranno ad una costante ricerca di cambi di tempo. La song poi s'interrompe bruscamente per lasciar posto alla più oscura "Journey of Madness", piacevolissima da un punto di vista musicale, ma che lascia intravedere che forse l'elemento debole della band sia la voce, qui lontana dall'essere convincente. Molto meglio invece nella più pazza e schizoide "Toys Factory", che chiude brillantemente con le sue più malinconiche melodie il disco, prima delle tre bonus track "The Book of War" I, II e III, che altro non sono che i tre pezzi inclusi nell'EP uscito a maggio di quest'anno, tre brani che palesano un mood più orrorifico e tenebroso e che nella parte II vede peraltro un fantastico assolo messo in mostra. Gli Steamachine sono una bella band che davvero non conoscevo, she sembra avere qualche punto in comune con i Pyogenesis di 'A Century in the Curse of Time', ma con una maturità e personalità davvero invidiabili. (Francesco Scarci)

sabato 16 settembre 2023

Anomaly - On the Cursed Wings of Stolas

#PER CHI AMA: Melo Death
Un po’ di aria fresca dagli States in compagnia degli Anomaly e del loro death progressivo parecchio ispirato. Il quintetto di Milwaukee ci propone il loro nuovo ‘On the Cursed Wings of Stolas’ a distanza di poco meno di un anno da quel ‘Somewhere Within the Pines’ che ben aveva impressionato la critica. Il dischetto si apre con i fraseggi della title track, tiratissima nella sua intelaiatura metallica, interessante nella sua porzione melodica e soprattutto nelle parti atmosferiche che interrompono quelle cavalcate sparate ai mille all’ora da parte del quintetto del Wisconsin. Accattivante anche l’uso di una voce cibernetica che fa da contraltare al growling del frontman Neil Tidquist, cosi come pure notevole è la performance a livello solistico, che per certi versi mi ha evocato gli svedesi Scar Symmetry cosi come pure l’utilizzo dell’elettronica che conferisce un certo senso cinematico alla song. Più rocciosa “Beyond the Kardashev Scale” nelle dinamitarde ritmiche e in un refrain chitarristico ubriacante grondante tonnellate di groove, anche laddove rallenta i giri del motore per alcuni secondi. Tutto infatti è lanciato a velocità supersoniche senza comunque mai perdere di vista la melodia, elemento imprescindibile dell’act nord americano, quasi quanto il lavoro eccelso a livello delle chitarre, in grado di regalarci spesso splendidi assoli interrotti da break atmosferici. “Architect” mantiene il ritmo infernale inalterato, sciorinando un rifferama graffiante ma melodico, cercando di ipnotizzarci al contempo, con il lavoro alle keys e fustigandoci con un drumming incessante e fantasioso, in grado di confermare le ottime sensazioni avute sin qui, durante l’ascolto di questo brillante lavoro di melo death. (Francesco Scarci)

venerdì 16 aprile 2021

Caelestra - Black Widow Nebula

#PER CHI AMA: Post Black/Melo Death
È un death black dal forte impatto emotivo quello della one-man-band britannica Caelestra che nel debut 'Black Widow Nebula' ci delizia con sette pezzi e poco più di mezz'ora di sonorità estasianti. La musica di Frank Harper, polistrumentista di Bristol, scivolano via che è un piacere a partire dalla stratosferica opening track "Solaris", che evidenzia tutte le qualità dell'artista inglese, che tra post black e oniriche parti atmosferiche, screaming e sofisticate clean vocals, mi dice che quello che ho fra le mani è uno degli album più interessanti dell'ultimo anno. Nella prima parte di "The Astral Sea" siamo nei paraggi di un prog metal delicato e soffuso, nella seconda più vicini alle sonorità cinematiche dei Fallujah, in un pezzo a dir poco celestiale. Ma l'apice a mio avviso lo tocchiamo in "Cassiopeia", cosi ricca di groove che permette al mastermind di oggi di scrollarsi definitivamente di dosso la scomoda etichetta black. "In Utero" è un intermezzo ambient noise che ci introduce ad "Everglow", dove ad aspettarci c'è un'altra intro vocale davvero spettacolare, ricca di malinconia e che evidenzia ancora le sorprendenti qualità vocali del frontman, con parole dapprima sussurrate alla musica che va via via crescendo in intensità senza mai realmente minacciare di sfociare in una vera baraonda sonora. Arriva ahimè troppo presto l'atto conclusivo di 'Black Widow Nebula' affidato a "Caelum", emozionante nel suo incipit atmosferico, più tormentato nella sua grinta black che si affianca a fantastiche melodie progressive di scuola Opeth, che chiudono in modo esaltante questo sorprendente lavoro dei Caelestra, band da ora in poi, da tenere assolutamente nei vostri radar. (Francesco Scarci)

lunedì 7 settembre 2020

Dagoba - What Hell Is About

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Thrash, Fear Factory, Slipknot, Pantera
All'epoca dell'uscita di questo lavoro si parlò di new sensation dalla Francia, i DAGOBA! Devo ammettere di essermi avvicinato a questa band con molto scetticismo, convinto di trovarmi al cospetto dell’ennesima clone band dei vari act svedesi/americani dediti all’ormai ipersvalutato death/thrash e invece tatah. Co somma gioia per il sottoscritto e gran furore da parte di questi baldi giovani, vi ripropongo il loro secondo album 'What Hell is About'. Dopo un primo non brillantissimo Mcd, la band transalpina, con una serie di concerti alle spalle con Fear Factory, Machine Head e Samael, sfodera in questo caso una più che discreta prova con un melting pot di generi, che vanno dal death/thrash al nu metal, passando attraverso soluzioni elettro cibernetiche un po’ scopiazzate dalla band di Dino Cazares & Co, ed altre trovate spesso interessanti. Dodici tracce intense e violente, che investono l’ascoltatore con quel sound potente, diretto, cristallino, dal mosh frenetico, dal refrain accattivante, vero crocevia di stili. Strano passare dalla prima parte vicina al sound dei Fear Factory, a brani di slipknotiana memoria (sentitevi “Cancer”) o ascoltare una song come “It’s All About Time”, che ci mostra in apertura la durezza, la compattezza e la perizia tecnica del quartetto francese per poi avvicinarsi a certe soluzioni sonore vicine agli Arcturus, soprattutto per quanto riguarda l’uso della voce. Il disco viaggia comunque su questi binari, mostrandoci una band valida e tonica, pronta già allora a spaccare i fondelli ai colleghi d’oltreoceano. Era ora che qualcuno provasse a rischiare qualcosa in un genere che ormai non aveva più nulla da dire. Questi marsigliesi invece con un uso sapiente delle tastiere, l’impiego dell’elettronica (da urlo certi samples utilizzati) e una buona dose di incazzatura, sono riusciti ad arricchire uno stile musicale ormai destinato a sprofondare nelle sabbie immobili. Un plauso va anche alle vocals, con il cantante abile nel passare da growl violentissime ad una voce calda e pulita sulla scia di quanto fatto dagli In Flames. Talentuosi questi Dagoba, fin dalle loro prime batture. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2006)
Voto: 72

https://www.facebook.com/dagoba13

domenica 30 agosto 2020

Kryoburn - Enigmatic Existence

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Death, Fear Factory, Meshuggah
Curioso il fatto che, durante un’esibizione live, i Kryoburn abbiano cosi tanto impressionato Eddy Garcia dei Pissing Razors, che si sia reso disponibile per la produzione di questo album d'esordio intitolato 'Enigmatic Existence', presso i propri Krank Studios di El Paso. Ma veniamo alla musica proposta da questo quartetto originario del New Mexico, che ricorda non poco, il sound dei Fear Factory periodo 'Demanufacture'/'Obsolete' combinato con quello dei Meshuggah. L’album si apre con l’esplosiva “Transience”, che mette subito in chiaro quali siano le influenze principali della band: voce molto simile a quella di Burton C. Bell, chitarre ruvide e schiacciasassi, ottime le clean vocals. Segue “Singularity”, forse il miglior pezzo dell’album, dove una tastiera cupa impreziosisce il lavoro violento delle chitarre, riuscendo a creare un’atmosfera pregna di angoscia e malinconica. Ottimo l’apporto alla batteria di Chris Huber, cosi come pure quello al basso di Derick Richards, abili nel creare le pesanti ritmiche che permeano questo lavoro. La release è un concentrato di adrenalina pura, che vi farà implodere le casse dello stereo; per carità, nulla di originale all’orizzonte, però la band si conferma valida nel saper coinvolgere l’ascoltatore con la sua carica esplosiva. Con i Kryoburn l’headbanging è garantito: i ritmi tribali, che ricordano vagamente i Sepultura, cosi come le ritmiche sincopate alla Pantera, ci garantiscono 50 minuti di pura energia. (Francesco Scarci)

(Continental Entertainment/Candlelight Records - 2005)
Voto: 68

https://www.metal-archives.com/albums/Kryoburn

domenica 19 aprile 2020

King SVK - New Æon

#PER CHI AMA: Experimental Death Metal, The Project Hate, Carnival in Coal
Dall'incipit mediorientaleggiante di "Ozymandias", mi sarei aspettato origini più esotiche per la band di quest'oggi, in realtà i King SVK sono un duo proveniente dalla Slovacchia (da qui deduco l'acronimo SVK nel moniker). 'New Æon' è il terzo album dal 2000 quando Ivan Kráľ (tastiere e synth) e Norbert Ferencz (chitarre), fondarono questa stravagante compagine. Il duo propone infatti un death metal moderno, melodico con tematiche incentrate sulla mitologia dell'antico Egitto, fuse con la filosofia di Friedrich Nietzsche. Da un punto di vista musicale, aspettatevi invece tonnellate di cyber death metal fatto di ritmiche belle pesanti ma comunque grondanti groove da tutti i pori, vocals che si dipanano tra il growl ed un cantato pulito un po' meno convincente (e da rivedere), ottimi cambi di tempo e quintalate di synth. "Hymnus Aton" è la seconda traccia che apre ancora con riferimenti arabeschi, per lasciare presto il campo ad un riffing a cavallo tra Meshuggah e Fear Factory e un incedere comunque sempre parecchio orecchiabile che forse travalica qui nel viking grazie all'utilizzo di alcuni cori epici. "Chant Of Praise Of Nimaatre" sembra invece provenire da qualche disco circense dei Pensées Nocturnes, ma la sensazione dura solo per pochi secondi, visto che la vigorosa band slovacca torna a sfoderare un rifferama bello compatto sul cui sottofondo sembrano collocarsi delle strane trombette. Lo spettro circense però torna a riaffacciarsi in più casi nell'irruenza fragorosa del brano. Con "Seeking of Being", song strumentale, ci lasciamo ammaliare dai suoni di un organo che fa da apripista al saliscendi chitarristico che trova anche in un break acustico, l'attimo ristoratore utile a darci la carica e ripartire di slancio con la musica dei King SVK, qui più che mai sperimentale, quando ampio spazio viene concesso al suono di quella che parrebbe una spinetta, e prima che i nostri si lancino in una rincorsa prog rock. E bravi i due musicisti, che devono avere un pedigree di tutto rispetto viste le qualità tecniche. Ciò è confermato a lettere cubitali anche dai successivi pezzi: "Homeless" in primis, dove sottolineerei una schitarrata iniziale in stile "death metal from Stockolm", a cui segue l'imprevedibile e abbondante utilizzo delle clean vocals che qui doppiano il growling maligno del frontman, in un esperimento riuscito ahimé solo a metà, colpa esclusivamente della voce pulita davvero fuori posto. Che peccato maledizione, perchè la cosa avrebbe avuto risvolti decisamente interessanti, ma potrebbe anche essere che le vostre aspettative non siano cosi alte quanto le mie e possiate anche passarci sopra. Io francamente faccio un po' fatica e me ne dispiaccio particolarmente perchè in queste note percepisco la forte volontà da parte dei due musicisti slovacchi di mettersi in gioco, rischiare il tutto per tutto con la carta della creatività e andando assai vicino a compiere il miracolo. Niente paura, ci riprovano anche nella ancor più stralunata "Venetian Night" dove è una (o più?) voci femminili a provare a sostenere il riffing brutale dei nostri in un esperimento affine a quello degli svedesi The Project Hate; tuttavia anche qui la componente vocale non si rivela all'altezza. I nostri comunque non si perdono mai d'animo, vanno avanti nella loro strada pur ricascandoci in "Sea in the Soul" (da rivedere quindi il casting per la voce), visto che le dolci donzelle mal si adattano ad un sound robusto che prova qui anche la strada delle orchestrazioni. Bene da un punto di vista musicale, c'è ancora da sistemare qualcosa in quello vocale. "After Swimming", con un bel po' di immaginazione, potrebbe somigliare col suo coro fanciullesco ad "Another Brick in the Wall" dei Pink Floyd, con la song che comunque ha un forte piglio prog fatta esclusione per le ritmiche possenti. Ma la ricercatezza in trame elaborate fa parte del duo slovacco, anche nella più schizofrenica "With Horus in the Sky", quando i nostri ritornano sulla strada maestra dei primi pezzi e si lanciano in rincorse chitarristiche qui ancor più complicate che in apertura, ma con un occhio puntato sempre alla tradizione egizia. Il viaggio con i King SVK si completa con "The Age of Aquarius", una song che mi ha richiamato alla memoria un che dei Carnival Coal, sia a livello vocale che musicale. Ora, dopo aver speso tre quarti d'ora in compagnia dei King SVK, senza ascoltarne la musica, potrete solo lontanamente immaginare quali siano i margini di follia di questi due personaggi. Dategli un ascolto, fatevi un favore. (Francesco Scarci)

martedì 3 marzo 2020

Global Scum – Odium

#PER CHI AMA: Death/Industrial, Meshuggah, Fear Factory
Dovrei dire che l'album in questione è un vero ossimoro del genere metal, che mette in antitesi strutture ben consolidate di scuola Soulfly/Sepultura con una produzione modernissima e al limite della forma industrial metal. Brani che aggrediscono e opprimono l'ascoltatore con una verve tecnologica vicina al futurista sound dei Meshuggah ed anche se le composizioni sono più dirette e old style (bello il video di "Feader" disponibile sul web), l'effetto claustrofobico non perde nemmeno un briciolo della sua potenza, ipnotica ed ultraterrena. Traccia dopo traccia, con un orecchio ben ancorato alla corrente thrash metal di anni novanta, ci si immerge nella descrizione di un mondo carico di violenza, corruzione e quant'altro la perversione umana sia riuscita fin qui a generare di sinistro (viene citato nel disco anche Josef Fritzl, l'uomo che tenne segregata la figlia in cantina per ben 24 anni!). Il disco è giustamente intitolato 'Odium', e l'artwork di copertina si abbandona ad una grafica senza mezzi termini, completamente circondata da macerie, dove appare in primo piano una figura nascosta in volto da una maschera a gas, imbrattata di sangue sui vestiti, e mettendo bene in luce gli intenti espressivi dell'opera. I brani, rispettando sempre i canoni del genere, sono fantasiosi e mantengono una qualità compositiva ed una produzione assai notevoli, curati a dovere dall'infaticabile Manuel Harlander, "proprietario" del progetto Global Scum. Manuel è infatti potente voce, braccio e mente di questa nuova realtà austriaca, dove si diletta a cantare e a suonare tutti gli strumenti, cercando di portare sempre più in alto questa sua violenta e solitaria one man band. Il disco contiene 13 brani tutti sparati in faccia all'ascoltatore, senza remore, divisi da un breve spartiacque atipico per il genere, nella veste del brano strumentale "Back Beats", che presenta una sezione ritmica vicina alla dance e richiama alla mente gli esperimenti techno metal di Godflesh e Fear Factory. Difficile trovare il brano migliore su di un disco che si lascia ascoltare molto volentieri senza mai abbassare la guardia sotto il profilo della potenza e che contiene un così alto standard tecnico. Un masso sonoro che si esprime al meglio, almeno nel mio modesto giudizio, nel tagliente riff di "Call of Resistance". Quindi agli amanti di thrash e feath, infarciti di ambient futuristico e atmosfere al limite dell'horror, non resta altro che lanciarsi in questo secondo disco dell'artista austriaco, per una nuova, affascinante esperienza sonora. Attenzione, album dall'alto potere esplosivo, maneggiare con cura. (Bob Stoner)

(NRT-Records - 2019)
Voto: 74

http://global-scum.com/

venerdì 1 novembre 2019

Eigenstate Zero - Sensory Deception

#PER CHI AMA: Death sperimentale, Edge of Sanity, The Project Hate
Stoccolma, da sempre centro strategico da cui brulicano band di ogni tipo, dal death metal degli Entombed al pop degli ABBA. Gli Eigenstate Zero sono gli ultimi arrivati e rappresentano il solo-project di Christian Ludvigsson, uno che deve essere cresciuto a pane, Entombed ed Edge of Sanity, il che vi dà immediatamente la dimensione in cui andremo ad immergerci oggi con questo fantastico 'Sensory Deception', debut della band. E qui tutti i nostalgici delle band che ho citato poco sopra (a parte gli ABBA) andranno sicuramente a nozze, visto che già dall'opener "Fringe", verremo investiti da un treno impazzito recante un bel carico di death metal svedese di vecchia scuola stoccolmese. Non pensiate però che il buon Christian abbia preso il copione degli act storici e ce l'abbia riproposto tale e quale; fortunatamente, il mastermind di oggi ha buon gusto, buone idee e per questo, già dalla successiva "1984.2" va ad abbinare il death old school con una forma interessante di cyber metal, cosi come una forte componente sci-fi emerge dalla lunghissima "The Nihilist", una traccia di oltre 11 minuti che se non sviluppata decentemente, rischierebbe di annichilire anche il più preparato dei fan death metal. Pertanto, ecco che un sound in stile At the Gates viene "sporcato" da deliranti influenze elettroniche che rendono la proposta estremamente varia ed interessante, nonchè vincente. Rimane sicuramente il marchio di fabbrica svedese, ma poi si va ben oltre (e per fortuna), sciorinando vertiginosi riff e assoli in un contesto oscuro e malato che sembra evocare anche, in ordine sparso, Between the Buried and Me, Devin Townsend, gli australiani Alchemist, Dillinger Escape Plan, Fear Factory, Dream Theater, Dismember, Nile, Carnival Coal, Gorguts, Lost Ubikyst In Apeiron, Opeth, in un tumultuoso tourbillon sonoro davvero notevole, come quello che accade nella più breve ma altrettanto efficace "Eigenstates". Comunque quando c'e da fare male, il polistrumentista scandinavo prosegue nella sua opera distruttiva: è il turno della deflagrante "Zentropic", devastante ma ricca di molteplici sfumature e pregna di groove. Christian alla fine mette in fila una serie di saette affilate che da "Communion" arrivano alla conclusiva "Fringe", passando da episodi più o meno rilevanti e parecchio lunghi e complicati: "Godeater" sembra un tributo ai Morbid Angel, la lunga (oltre 10 minuti) "Strangelets" nei suoi sperimentalismi mostra accanto al death metal molteplici e stralunati risvolti di carattere jazz, space e prog rock. È decisamente nei pezzi più lunghi che Christian dà il meglio di sè visto che manca ancora "Transhuman", altri dieci minuti in cui l'artista svedese ne combina ancora di tutti i colori, scatenando l'incredibile dose di melodia a servizio di una brutalità di fondo quasi perennemente presente, il che avvicina maggiormente il nostro eroe di quest'oggi ai connazionali The Project Hate. Insomma, che altro devo dirvi per invogliarvi all'ascolto di questo "inganno sensoriale"? Fatelo vostro e basta! (Francesco Scarci)

sabato 28 settembre 2019

The Project Hate MCMXCIX - Armageddon March Eternal (Symphonies of Slit Wrists)

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Death, ...And Oceans
I Project Hate MCMXCIX sono un gruppo davvero strano per il sottoscritto: premesso che possiedo tutti i loro lavori, e quello recensito oggi rappresenta il loro quarto cd (se escludiamo il live 'Killing Helsinki'), non ho ancora ben capito se mi piacciano oppure no, mi spiego meglio. Trovo che la band abbia in taluni frangenti idee meravigliose e che riesca anche brillantemente a metterle in atto, in altre parti scadono ahimé, in trame già sentite migliaia di volte rendendoli pertanto del tutto anonimi. Il genere proposto sicuramente non è tra i più semplici da interpretare, perchè capace di spaziare da un death feroce a momenti di insospettata atmosfera, con la voce dell’angelica Jo Enckell a rendere il tutto più soave e indecifrabile. La band per chi non lo sapesse, abbraccia tra le sue fila, Jörgen Sandström, già conosciuto per le mortifere vocals sui primi tre album dei Grave e poi bassista di Entombed e anche membro dei Vicious Art; vi è poi il polistrumentista Lord K. Philipson e Petter S. Freed alla seconda chitarra, oltre alla già citata Jo alla voce femminile. Come già accaduto in passato, accanto al crudo cover-artwork o a titoli non proprio ortodossi (quasi da brutal-gore band), si celano invece gradite sorprese nei solchi partoriti da questo stralunato gruppo. Cercherò di chiarire meglio che razza di sound ci propongono i Project Hate: fondamentalmente su riffs e basi tipicamente death metal, si gioca il duello tra la voce eterea di Jo e i latrati di Jörgen, su cui si vanno poi ad inserire una serie di influenze provenienti da un po’ tutti gli ambiti metal. Suoni spaziali cibernetici, sulla scia dei Fear Factory, e breaks elettronici che si amalgamano alla perfezione con atmosfere doom disarmonico/avantguardistiche (simili ai The Provenance), ma non è tutto, in quanto frammenti di black sinfonico alla Dimmu Borgir o echi alla Arcturus, sono captabili in questo eterogeneo e originale lavoro, un vero caleidoscopio di forme, suoni e colori. Vi aggiungo un’altra cosa: la produzione, pulita e potente, è ad opera di Dan Swano nei suoi Square One Studios; il che garantisce una eccezionale resa sonora per i 65 minuti di suoni avvolgenti e bizzarri, la perfetta colonna sonora dell’Armageddon. Ora tutto mi è più chiaro: i The Project Hate MCMXCIX mi piacciono, eccome... (Francesco Scarci)

(Threeman Recordings - 2006)
Voto: 84

https://www.facebook.com/theprojecthate/

mercoledì 6 febbraio 2019

Down to the Heaven - [level-1]

#PER CHI AMA: Djent/Cyber/Deathcore, Meshuggah, Enter Shikari
Avete voglia di divertirvi, ascoltare qualcosa di moderno, carico di groove, con quel pizzico di ruffianeria che non guasta mai, senza dover rinunciare ad un bel po' di riff schiacciasassi? Beh, a prestarvi aiuto in tali richieste, ecco giungere dalla Polonia i Down to the Heaven, una band proveniente da Bielsko-Biała, che nel qui presente '[level-1]' fonde death metal, metalcore, arrangiamenti ben orchestrati, elettronica e djent, in un calderone di potenza e melodia davvero intrigante. Il tutto è testimoniato da "Catharsis" che segue a stretto giro quella che appare essere l'intro del disco, "Down to the...". Poi giù tante mazzate, con dei riffoni sparati a tutta velocità, ma con una componente melodica davvero vincente, che si muove tra influenze che chiamano in causa indistintamente Dark Tranquillity, Enter Shikari, Meshuggah, Coraxo, ...And Oceans e tanti altri, in un vibrante concentrato dinamitardo da sentire e risentire, meglio se sparato a tutto volume in automobile o comunque lasciato libero di fondervi le orecchie per il volume inaudito a cui dovrete sottoporlo. Stratosferico. Fenomenale, come la cavalcata furibonda che chiude "Unbroken", una song dal sapore esotico che da sola vale l'acquisto del cd. Per non parlare poi di quella cibernetica sensualità che contraddistingue le note iniziali di "No Vision", prima che l'arroganza elettrica prenda il sopravvento e ci delizi per quasi sei minuti di graffianti sonorità strumentali. Con "Kingdom of Delusion" fanno ritorno le vocals di Rusty in una song dai ritmi infuocati pur sempre carica di melodia, accostabile, molto più di altre tracce, ai Dark Tranquillity. Siamo quasi in chiusura, un peccato, a rapporto mancano però ancora "Tyrant's Fall", song debortante, che per quanto povera in fatto di originalità, ha comunque il merito di catalizzare l'attenzione per la pienezza delle sue ritmiche, le cyber trovate dei nostri che fanno da corredo ad una componente melodica sempre estremamente importante (qui si strizza l'occhiolino agli ultimi In Flames) e ad un finale sorprendentemente trascinante per intensità e profondità. "We Are" è una song dall'incipit rockettaro con un cantato che sembra quello del buon Chuck Billy, e un sound multiforme, psicolabile e che tocca vette brillantissime tra cyber metal, industrial e deathcore, a sancire l'eccelsa qualità dell'ennesima valida band proveniente dalla Polonia che ha davvero qualcosa da dire. (Francesco Scarci)

lunedì 13 agosto 2018

Mindgrinder - Riot Detonator

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Death, primi Fear Factory, Morbid Angel
Un grido di guerra apre il secondo capitolo targato Mindgrinder, band norvegese, scoperta dalla Nocturnal Art, che già nel 2004 aveva impressionato positivamente la critica con il debut album 'Mindtech'. Il gruppo scandinavo, formatosi per mano dell’ex batterista/tastierista dei Source Of Tide, Cosmocrator, ha registrato 'Riot Detonator' agli Akkerhaugen Lydstudio (Emperor, Zyklon, Windir) nell’inverno 2004/2005. Il presente cd, contenente tra l’altro 2 videoclips, non sembra discostarsi dal lavoro di debutto, dove il cyber metal alla Fear Factory si fondeva con la veemenza dei Morbid Angel. Di quell’album, è rimasta sicuramente inalterata la violenza, che passa da registri squisitamente thrash (riscontrabili nella parte centrale del disco), ad altri che rievocano i Fear Factory di 'Soul of a New Machine' (nelle prime due tracce), ma con gli inserti dei synth sensibilmente ridotti, mentre parecchio pesanti restano i riferimenti ai Morbid Angel, soprattutto nei conclusivi due brani. Comunque, un po’ tutte le influenze death/thrash metal degli ultimi 20 anni, convogliano all’interno delle nove tracce di 'Riot Detonator'; pur essendo ben suonato, con una produzione ok, buoni assoli, e una batteria il cui uso talvolta lascia un po’ a desiderare, il motivo di risultare un super polpettone di stili e influenze alla fine stanca l’ascoltatore. Cosa volete che vi dica: a parte qualche episodio, “The Rebellion” ad esempio, dove le influenze dei Grip Inc. sono assai evidenti nell’uso delle chitarre e nell’assolo conclusivo, il resto dell’album viaggia su binari non proprio eccellenti, che meritano sì una sufficienza, ma solo per l’onestà della proposta. Per il resto roba già sentita. (Francesco Scarci)

(Nocturnal Art Productions - 2005)
Voto: 60

https://www.facebook.com/MINDGRINDERNORWAY

martedì 1 maggio 2018

Hacride - Amoeba

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash Progressive, Meshuggah
'Deviant Current Signal' è stato il debut album dei transalpini Hacride, esempio eclatante di come fosse ancora possibile suonare death thrash senza essere assolutamente banali. Già con il loro album d'esordio, si erano rivelati band dall’enorme fantasia compositiva e dalle spiccate doti tecniche. 'Amoeba', il loro secondo lavoro del 2007, non fece altro che consolidare le certezze acquisite da quel primo lavoro, e proiettare il quartetto francese nell’olimpo delle band dedite a questo genere di sound, affiancando i maestri di sempre Meshuggah, ed esplorando inoltre territori cibernetici (Fear Factory docet) e, udite udite, grazie alla collaborazione con la band di flamenco, Ojos de Brujo, proporre anche una cover di folle “death flamencato”; esperimento quanto mai riuscito, pur ammettendo una certa diffidenza iniziale. Come sempre il punto di partenza della band è il death/hardcore dalle ritmiche sincopate, ricco di stop’n go, in cui s’insinuano frangenti acustici, sfuriate brutal, ambientazioni industriali e passaggi in cui un sound, carico di groove, ha la meglio sulla nostra psiche, e, impossessandosi dei nostri corpi, ci impedisce di stare fermi. Dieci tracce che ci schiacciano come piccole formiche, dieci tracce che fanno saltare come pazzi furiosi. Il vocalist, Samuel Bourreau, prende spunto dai vocalizzi del suo esimio collega svedese, cercando spesso di travalicare gli schemi, proprio come accade in “Zambra”, la cover a cui accennavo precedentemente, in cui canta addirittura in stile ska. L’intero disco, nonostante la sua monoliticità, viaggia su questi binari, regalandoci perle assai interessanti di un death/thrash futuristico per quegli anni. Da sottolineare l’ottima parte centrale del disco che si conclude con la graffiante “On the Threshold of Death”, brano che ci consegna una band matura e consapevole delle proprie potenzialità. Un’eccellente produzione, presso “L’Autre Studio”, chiude un disco dalle enormi capacità distruttive. Gli Hacride, pionieri del death del futuro? Credo proprio di si. (Francesco Scarci)

giovedì 25 gennaio 2018

Samadhi Sitaram - KaliYuga Babalon

#PER CHI AMA: Death/Math/Djent, Dillinger Escape Plan, Meshuggah
I Samadhi Sitaram sono un terzetto proveniente da Mosca, approdati da poco alla corte della Sliptrick Records. L'intro di questo 'KaliYuga Babalon' è piuttosto fuorviante, complice una forte influenza della musica classica nel suo incedere, che mi porterebbe a pensare ad una proposta all'insegna di un melodeath di stampo svedese. La mattonata invece che mi arriva con "Kali-Yuga" mi pesa invece sulla faccia come un gancio tirato sulle ganasce dal buon Mike Tyson. L'attacco è isterico con le ritmiche che si muovono tra mathcore, djent e death, un po' come se sparaste alla velocita dei Dillinger Escape Plan, i Meshuggah. Chiaro il concetto? Se cosi non fosse, pensate che il finale infernale della song potrebbe ricordare il caos sovrano che regna in "Raining Blood", pezzo conclusivo del mitico 'Reign in Blood' degli Slayer. Passo oltre, smaciullato dalla potenza sonora di questi pirati del metallo: "The Death of a Stone" ha il riffone portante che chiama palesemente i Meshuggah, ma la porzione electro-cibernetica che popola il brano, permette al trio russo di prendere le distanze dai gods svedesi. Le convincenti growling vocals di IOFavn mi hanno ricordato invece lo stile del vocalist dei nostrani Alligator. Nel frattempo il cd non ha tempo da perdere e si lancia con "Apotheosis" in un'altra fuga roboante di ritmiche martellanti, sparate alla velocità della luce tra paurosi stop'n go e improvvise accelerazioni death. Interessante sottolineare il concept lirico che si cela dietro a 'KaliYuga Babalon', che tratta uno dei testi sacri della tradizione induista, ossia il dodicesimo canto del Śrīmad Bhāgavatam che anticipa l'avvento dell'età del Kali yuga e la futura distruzione dell'universo materiale da parte di Kalki, un discendente del dio Visnù, a causa del decadimento morale e spirituale in cui è sprofondata l'era attuale. Insomma, un messaggio alquanto tranquillizzante, eufemisticamente parlando. Detto questo, la devastazione prosegue anche con l'ipnotico preludio a "...Qliphoth", una song che tra melodie della tradizione indiana, riffoni dotati di uno spettacolare groove, la identificano come una delle mie preferite (insieme alla conclusiva, ancor più completa e "meshugghiana", "SHANGRI LA") nel lotto delle tracce qui incluse. Dopo parecchi pezzi di durata "normale" (tra i 3 e i 4 minuti), ecco un mostro di oltre 16 minuti ("Orgy - Ritual BABALON") che affida a delle sparatorie e ad urla disumane, i suoi primi due minuti. Poi, nelle sue note c'è un po' di tutto: deathcore, progressive, arrangiamenti da urlo, suoni cinematici, e un'infinita porzione di spoken words in russo che probabilmente si dilunga un po' troppo per i miei gusti. Un buon lavoro di certo, penalizzato però dall'inconcludente lungaggine di "Orgy - Ritual BABALON". (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/samadhisitaram/

domenica 19 novembre 2017

Damnation Defaced - Invader From Beyond

#PER CHI AMA: Melo/Cyber Death, In Flames, Scar Symmetry
Tornano i panzer tedeschi Damnation Defaced, con quello che è il loro terzo Lp dalla loro fondazione avvenuta nel 2006, a completare una discografia che include anche un paio di EP. 'Invader From Beyond' esce per la Apostasy Records, un'etichetta per lo più specializzata nel death metal melodico. E il quintetto della Bassa Sassonia, per quanto il loro moniker possa suonare fuorviante, rientrano alla grande in questa categorizzazione. 'Invader From Beyond' contiene infatti dieci ottime tracce (più intro) che ammiccano al melodeath di stampo svedese, quello carico di groove, ottimi arrangiamenti, melodie catchy e chi più ne ha più ne metta, per conquistare una fetta di nuovi fan. Ne è dimostrazione "Goddess of Machines" che sulla robusta matrice ritmica, ci piazza un'elettronica dal profumo un po' vintage '80s, su cui s'innestano poi le growling vocals del frontman Philipp e gli assoli taglienti e melodici quanto basta delle due asce, per guadagnare mezzo punto in più in questa recensione. Non aspettatevi voci ruffiane però, un minimo di connessione col brutale passato death old school dei nostri, bisogna pur preservarlo. E allora largo al riffing serrato della title track, che viene smussato nella sua foga selvaggia, da tastiere che chiamano in causa indistintamente Scar Symmetry ed In Flames, giusto per fare due nomi a caso del panorama melodeath svedese. E noi non possiamo che applaudire alla proposta dei nostri che, pur non brillando in fatto di originalità, ci consente di apprezzare una sound sicuramente genuino, divertente e in grado di regalarci una quarantina di minuti in relax, a sbatterci ancora come dei ragazzini con un headbanging compassato, come quello garantito dalla quarta "Mark of Cain". Il rifferama di "The Observer" chiama in causa la scuola "meshuggana", anche se qui i ritmi sono decisamente più pacati, ma sempre carichi di colate di melodia cibernetica che mantengono la proposta musicale del quintetto di Celle, aperto a frange più o meno estese di fan. Certo, se si fosse fatto uso anche di ammiccanti vocals in pulito staremo parlando di tutt'altro prodotto, decisamente più accessibile, però non nascondo che l'ascolto di 'Invader From Beyond' possa concedere momenti più o meno interessanti. Non male l'apertura affidata ai synth di "The Key to Your Voice" sul cui riffing, che mi ha evocato gli Edge of Sanity (non a caso Dan Swano è responsabile di mix e mastering di questo lavoro), si staglia il vocione del monolitico cantante, in una traccia che riserva un finale apocalittico e furioso, con una funambolica prova alle pelli del bravissimo Lucas e ancora una prova sopra le righe, dei due chitarristi, la cui caratura tecnica sarà confermata anche in altri episodi del cd. Epico l'inizio di "All Comes to Its End", cosi come dirompente è l'apparato solistico di "Back from Apathy", peccato solo che si tratti di sprazzi non cosi lunghi e strutturati e che ci si debba pertanto accontentare di pochi secondi. Ultima citazione per la più orchestrale e organica "Creator's Fall", che con le sue melodie ficcanti, i suoi chorus e le mitraglianti ritmiche, regala altri minuti di piacevolissimo death metal dalle tinte moderne. Non male. (Francesco Scarci)

(Apostasy Records - 2017)
Voto: 75

sabato 3 dicembre 2016

0N0 - Reconstruction and Synthesis

#PER CHI AMA: Black/Death Sperimentale, Deathspell Omega, Aevangelist
Ai vari Deathspell Omega, Blut Aus Nord, Aevangelist, Portal e compagnia cantanti, aggiungerei un'altra stravagante creatura che arriva direttamente dalla Repubblica Slovacca. Il trio di oggi, gli 0N0, è infatti originario di Bratislava e nasce nel 2005, anche se una forma embrionale esiste già dal 1999. In questi anni, sono usciti diversi EP, l'album d'esordio 'Path' e questo nuovo capitolo, 'Reconstruction and Synthesis', a ben un lustro di distanza dal precedente. La proposta musicale di questi folli personaggi dovreste già averla inquadrata, trovandoci al cospetto di una band estrema che fa dello sperimentalismo angusto e schizofrenico il proprio credo, e che cita un po' tutte i gruppi riportati in apertura, a cui aggiungerei una discreta dose di doom e atmosfere stranianti e melmose, al limite di post metal e sludge. Questo è certificato dalla contorta ed iper-tecnologica dell'opener, "A Farewell to Conscious Shores", ma ancor di più dai passaggi soffocanti della lunga title track. Oltre dodici minuti di sonorità distorte, claustrofobiche, a tratti psichedeliche, con suggestivi sprazzi di post-rock, su cui si posizionano arcigne vocals, suscitando in questo modo un certo senso di spaesamento, proprio per una difficoltà concreta nell'identificare il genere d'appartenenza. Il risultato è sicuramente un sound alieno che ha il grande merito di alternare costantemente l'incedere deflagrante delle ritmiche, le partiture sghembe, i suoni dissonanti ad altri più eterei, ritualistici o addirittura del cyber spazio, finendo per ottenere un effetto opprimente, destabilizzante ma soprattutto esaltante. Potrete certamente intuire il mio status di godimento nell'udire simili sonorità, cosi fuori dagli schemi e quasi mai banali. Il disco si incanala in cunicoli ancor più tenebrosi e desolanti con "Desolatry", traccia pestilenziale che sembra affondare le proprie radici negli anfratti del funeral doom e dello sludge più malati, per un risultato che si preannuncia a dir poco delirante. Si prosegue con le atmosfere dilatate dell'imprevedibile "At Sixes and Sevens", song che mostra un lato ancor più ricercato dei nostri, con suoni tribali, linee di chitarra mutevoli e per l'utilizzo di vocalizzi non più volti ad un growl in salsa acida. I frammenti psicotici degli 0N0 provano ad emergere anche nella penultima "Lucid Transmutation", brano in grado di coniugare con lucidità death metal, doom, lunghi intermezzi ambient, schegge impazzite di black alla Deathspell Omega intinte però in contesti cyber-industriali, per un esito finale annichilente e completamente fuori dagli schemi, veri e propri complessi suoni dall'iperuranio. Il disco cala il sipario con "Reformation/Absorption", song che abbandona i vocalizzi estremi per lasciar posto a ritualistiche vocals e all'onirismo dilagante affidato ai synth di T. Straripanti. (Francesco Scarci)

(The House of What You See - 2016)
Voto: 80

domenica 2 novembre 2014

Coraxo - Starlit Flame II

#PER CHI AMA: Cyber Death, The Kovenant, ...And Oceans
Non è nemmeno passato un anno da quando ho recensito 'Starlit Flame', Ep d'esordio dei finlandesi Coraxo, facente parte di una trilogia che comprende quell'album, il qui presente 'Starlit Flame II' e verosimilmente una parte III che non tarderà certo a uscire. L'impronta musicale dei nostri era apparsa già alquanto chiara in quell'esordio: un death melodico frammisto a una pesante porzione di elettronica. Citavo per l'appunto gli ...And Oceans e non posso far altro che confermare quell'affermazione, non appena "Lanterns" scoppia minacciosa nel mio stereo, dopo la breve intro. Le novità rispetto al precedente lavoro non sono cosi palesi: le tematiche proseguono infatti la storia delle Starlit Flame, una razza di nanomacchine aliene che si infiltra nella terra del venticinquesimo secolo, e l'inevitabile (quanto mai abusato) scontro tra uomini e macchine per la sopravvivenza. Il death melo-cibernetico torna a riaffacciarci tra ritmiche tiratissime, synth che richiamano suoni intergalattici e vocals abrasive. "Tangier" torna a strizzare l'occhio ai The Kovenant, con un mid-tempo melodico che gioca sul contrasto tra le harsh vocals e le delicate note delle tastiere. "The Bastion", la quarta traccia, mi fa pensare all'attacco delle macchine contro gli umani, per quel suo incandescente impeto iniziale con cui erompe nel mio hi-fi. La ferocia dei suoni arriva presto a placarsi, forse gli umani sono riusciti a scacciare le macchine, ma si tratta sicuramente di una tregua passeggera. "The Citadel" evoca musicalmente gli Edge of Sanity più melodici e progressivi, complice la presenza di Dan Swano dietro alla consolle nei suoi Unisound studio, mentre le vocals abbandonano lo screaming per tonalità leggermente più profonde. La song ha comunque nelle sue note un che di etereo, con le linee di chitarra più leggere rispetto alle precedenti tracce e comunque una bella linea melodica guida l'intero pezzo fino alla fine. La mano della vecchia volpe Dan si sente forte e chiara e questo non può che essere un punto a favore dei Coraxo che si giocano l'ultima carta con "Ghosts", la sesta e ultima song di questo esuberante 'Starlit Flame II'. La traccia è assai spettrale, lenta e malinconica, grazie a un delizioso impasto keys/chitarre da brivido, sicuramente la più intensa del lotto e anche la mia preferita. Il terzo episodio della saga 'Starlit Flame' promette di essere ancor più delizioso, visti i progressi del trio finlandese in cosi poco tempo e c'è già chi si sta leccando i baffi, il sottoscritto no... (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 75

http://coraxo-official.com/

venerdì 31 ottobre 2014

Mystical Fullmoon - Chthonian Theogon

#PER CHI AMA: Black/Avantgarde, Blut Aus Nord, Dimmu Borgir
A distanza di cinque anni dal non troppo fortunato, in termini di risonanza mediatica, 'Scoring a Liminal Phase', torna il trio milanese dei Mystical Fullmoon con un album nuovo di zecca e una storica label di supporto, la Beyond Production. Dieci le tracce a disposizione dei nostri per convincermi della bontà della loro musica, per cui un lustro è stato speso per la sua composizione. Sorvolando sull'intro, mi lancio all'ascolto di "An Outermost Resonance", prima vera traccia di 'Chthonian Theogony', song che palesa fin dalle sue prime note il rinnovato amore dei nostri verso il black sinfonico dei maestri norvegesi. Non dico nulla di nuovo fin qui, che già non avessi riscontrato nel precedente album. La song è una bella cavalcata sorretta da maestose tastiere e da un bel lavoro di chitarre, con alcuni passaggi psichedelici, il cui cadenzato ritmo litanico (al limite del doom), mi ha evocato Blut Aus Nord e Deathspell Omega. Se in passato avevo identificato in Emperor o Limbonic Art, le influenze più superficiali da attribuire al combo meneghino, per questo secondo lavoro devo rivedere le mie affermazioni e puntare sulla scena black francese come spunto per il nuovo corso dei Mystical Fullmoon. La song avanza marcescente e allucinata per larghi tratti, anche se nel finale, sono orchestrazioni di chiara scuola Dimmu Borgir, a dominare. "Reward for the Blind" evoca nuovamente la mefistofelica creatura di Vindsval e soci, almeno nelle linee di chitarra, fatto salvo per ringhiarci contro un riffing che sembra più orientato al thrash death. Il sound camaleontico dei Mystical Fullmoon non tarda a mutare, variando tempi, generi e spesso modo di suonare, mentre immutevole rimane lo screaming troppo nasale di Gnosis. Ascoltare questa song è come avere a che fare con quattro band differenti allo stesso tempo. Eccolo il carattere mutevole del terzetto formato da Heru, Gnosis e Arcanus Incubus, che torna a colpire col suo ibrido di black, death, noise ambient ("Stone of Splendour"), prog, suoni orchestrali e avantgarde, per un risultato a tratti fin troppo confondente. "A Red and Black Sacrament" è un esempio di una song che fatica a trovare una propria identità ben definita ed è un vero peccato; questo perchè la band cade spesso nella tentazione di voler infarcire i propri brani di tutto lo scibile musicale estremo possibile, suonando alla fine troppo pomposi e fuorvianti. Troppi sono i generi che si rincorrono nelle song: qui addirittura si passa dal black al death per finire a deliranti cori liturgici, per un risultato che alla fine spiazza non poco. Forse tutto questo rappresenta un pregio; non nascondo che molto spesso mi sono lamentato per la pochezza di idee espresse dalle band, qui soffro addirittura per la difficoltà a incanalare la dirompente verve creativa dell'act italico, in una direzione ben precisa. "The Reader and the Naked Scientist" è alla fine la traccia che preferisco dell'album, forse un po' più lineare, anche se un break psicotico arriva ben presto a destabilizzarmi. Le chitarre suonano più melo death oriented, anche se poi la ritmica dirompente black prende il sopravvento, ma per poco, visto che il finale della song ha un flusso cinematico (ricordate la colonna sonora di 'Inception', il film con Di Caprio?). "After the Coil" è una lunga e complessa song per lo più strumentale, ove fa la sua comparsa un sax, a dimostrazione dell'elevata e raffinata tecnica strumentale, cosi come pura la costante volontà di stupire sempre l'ascoltatore. Con "Aghori" perlustriamo i meandri profondi della musica fantasy, mentre l'ultima track del disco è affidata a "Dream Brother", quanto mai inattesa cover di Jeff Buckley. Ecco, se i Mystical Fullmoon volevano stupirci un'altra volta, devo ammettere che hanno colto nel segno al 100%, con un album che necessita di tantissimi ascolti per essere assimilato e digerito. Da due mesi, 'Chthonia Theogony' corre nel mio hi-fi e credo che necessiti ancora parecchio tempo affinchè possa allinearsi con la mia mente disagiata. Avanguardia spinta! (Francesco Scarci)

(Beyond Production - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/mysticalfullmoon

martedì 9 settembre 2014

Godsire - Progenitus

#PER CHI AMA: Melo Death, The Project Hate, primi Scar Symmetry 
Mi piacerebbe davvero sapere come Ettore Rigotti, mastermind dei Disarmonia Mundi, nonché produttore, sia venuto a contatto con questi Godsire, band melo death di Singapore, per la quale si è occupato del mastering di questo 'Progenitus'. Della serie il mondo è assai piccolo. Poco importa se le mie curiosità non possano venire soddisfatte, mi lancio all'ascolto di questo EP di 4 pezzi davvero avvincente ma dalla durata un pochino risicata, sedici minuti. Tanto basta infatti al trio formato da Ishaan Kumar (basso), Ty (chitarre e tastiere) e Clarence Chong (vocals), per convincermi della bontà del loro esplosivo sound che irrompe con la furia bestiale di "Panoptic Universe", in cui una bocca da fuoco sostituisce un drummer in carne ed ossa, mentre le chitarre incendiano l'aria che è un piacere. Come un bel panzer i nostri avanzano monolitici, tra un riffing serrato, growling vocals e tiepide melodie di sottofondo. Diciamo che è con la successiva "Cybernetic Wyvern" che mi esalto maggiormente della proposta di questi ragazzi. Vuoi per le tiratissime e gradasse chitarre, per un'effettistica di sottofondo affidata a flebili tastiere che guidano la linea melodica della canzone, o forse semplicemente per le vocals super aggressive di Clarence, ma il pezzo mi piace davvero molto. La carica energetica che emana, quella voglia di headbanging sfrenato che sonorità dell'ultima ora non ispirano più, mi mandano in visibilio. "The Crossed Out God" continua a pestare dannatamento, senza mai perdere però il senso della melodia, seppur qui la drum machine tocchi vette di robotica alienazione, con il pezzo che risente in un certo verso anche di influenze industrial, che già si erano comunque palesate nei pezzi precedenti. La song trova anche modo di interrompere per alcuni secondi il proprio ritmo incandescente, per poi riprendere con i bombardamenti finali che ci introducono a "Android Psycho Shocker", la traccia più folle e carica di groove del lotto, in cui maggiormente si sollevano le influenze elettroniche del trio asiatico, in definitiva la mia preferita. Non un momento di stanca, non un passaggio sbagliato, chiaro che con 16 minuti a disposizione, sia decisamente più facile non sbagliare. 'Progenitus' si conferma un ottimo antipasto a qualcosa di più succulento che non tarderà (lo auspico) ad arrivare. Bravi. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 75

martedì 10 giugno 2014

Dormant Ordeal – It Rains, It Pours

#PER CHI AMA: Death Metal, Meshuggah, Exhumed
I Dormant Ordeal sono una band polacca di notevole caratura tecnica che sapientemente coniuga il suono sanguigno e reale, stile ultimi Sepultura, con influenze estreme a la Meshuggah, Exhumed e Mostrosity. L'album si distingue per la freschezza di esecuzione e un'abile fluidità nella scrittura dei brani, che lo rende veramente appetibile. L'ascolto è naturale, i suoni ben calibrati e ricercati per mediare tra i fans troppo esigenti dei Meshuggah e quelli più esplosivi di band come gli Exhumed, contemplando anche quel tocco di sano classicismo che tutt'ora Sepultura o Napalm Death, con tanto orgoglio a distanza di anni, si portano a presso (ovviamente il riferimento sta nell'alta qualità della proposta musicale intrinseca di 'It Rains, It Pours'). Artwork di copertina di elevata e raffinata bellezza, lontano dagli stereotipi del genere che potrebbe richiamare il malinconico mondo dei Katatonia; dodici brani in quarantadue minuti di musica d'alto livello. Death metal il loro, compresso ed efficace, con tutte le carte in regola per entrare nelle grazie degli amanti del genere; la band costruisce brani memorabili, violenti ed estremamente fruibili, carichi d'energia con estratti cyber-futuristi degni della suddetta mitica band svedese ma senza calcare troppo la mano sul tecnicismo fine a se stesso, anzi relegando la tecnica al servizio della buona riuscita del brano. Tutti i pezzi interagiscono tra loro creando insieme una trama che dona all'intero lavoro una solida omogeneità. Il sound si rivela caldo, avvolgente, saturo e claustrofobico quanto basta, sorprendentemente additivato con uno stile “diretto”, tanto “orecchiabile” quanto ricercato e potente, di ottima fattura con richiami deathcore cari agli Agoraphobic Nosebleed, con una batteria magistrale e ritmiche veloci mozzafiato, un cantato in perfetta sintonia e un'equalizzazione dei suoni che mette tutti e tutto al posto giusto (il doppio gancio, "The Sinless", "Your Mother – Slave", ne sono un buon esempio). Alla fine soddisfatti e triturati, siamo in grado di emettere un verdetto finale...se cercate una seria risposta underground al mainstream omologato, questo è il disco che fa per voi! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 80

sabato 7 giugno 2014

Dol Kruug - Eat Me

#PER CHI AMA: EBM, Industrial, Cyber Electro Grind
Dol Ammad, Dol Theeta e gli ultimi arrivati Dol Kruug (senza scordare anche i Synesthesia) non sono altro che le incarnazioni sonore degli umori di Thanasis Lightbridge, musicista greco di Salonicco, che attraverso la sua label Electronicartmetal Records, dà libero sfogo a tutte le sue caleidoscopiche idee. Veniamo agli ultimi nati, i Dol Kruug e al loro formidabile esempio di come si possa combinare l'elettronica col cyber grind/EBM e rumorismi vari, senza cadere nello scontato o nel già sentito. La cavalcata sonora di 'Eat Me' parte dalla funesta "Game Over Human" che incarna lo spirito malsano di questa release e decreta la fine della nostra razza sulla Terra. Spettrale, malvagia e idiosincratica, la traccia mostra una nuova immagine di Thanasis, fino ad oggi edulcorata dalle sperimentazioni sinfoniche delle altre sue creature. Con questo album invece l'idea è quella di far male con le ritmiche eletro-industrial delle sue tracce, che una dopo l'altra scorrono in questo magmatico effluvio ipersonico. "Mecha Orgy" richiama qualcosa dei Fear Factory, ma molto più ampio è lo spazio ivi riservato per la sperimentazione cibernetica con le vocals del mastermind greco, mai cosi profonde. L'album spacca di brutto e poco spazio (per non dire nullo) viene concesso a momenti più rarefatti. L'EBM regna sovrano in "Obey the Toad" con le sue perturbazioni soniche che destrutturano pericolosamente la mia massa cerebellare. Se poi ascoltate il tutto in cuffia, il risultato di annientare i sempre meno neuroni rimasti, avrà il suo massimo effetto, statene sicuri. Degli ansimi spaventosi aprono "Brain Lab" e poi l'effetto dei suoni che si canalizzano all'interno delle mie orecchie è quello di un esercito di piccoli soldati che, dotati di una mazza ferrata, fanno pulizia prendendo a martellate le cellule del mio meato acustico. L'atmosfera mortifera che si respira ha un che di spaventoso, gli effetti giocano a ping pong passando da un orecchio all'altro, destabilizzando sempre più la mia mente. Urla di donne, suoni provenienti da un rave party in una fabbrica dismessa, vocals suine sono gli ingredienti di questa song e delle successive. Nella title track l'electro sound assume connotati quasi noise, sfondandoci il cranio a suon di EBM e disco space rock. Siamo a metà ascolto e mi sembra di essermi fatto un'endovena delle più potenti droghe psicotrope: l'esercito di piccoli soldati non è più nelle mie orecchie, ma me lo vedo danzare davanti agli occhi, ormai stordito dal vodooo sonoro che si è inventato il buon Thanasis. Che diavolo ti sei fumato per concepire questo lavoro? Vado avanti, abbandonando la follia degenerativa di "Vo Du Delagua" per farmi accogliere a braccia aperte dalla furia deflagrante di "Psycho Stops For Tea", l'esempio più palese di come si possa suonare grind cibernetico e si rischi di diventare quasi più devastante del mitico 'Scum' dei Napalm Death. 'Eat Me' è un'arma pericolosa, da maneggiare con cura, un album concepito da alieni tant'è che "Alien Butcher Doctors" ne rappresenta probabilmente l'inconfutabile prova, un messaggio che lo strumentista di Tessalonica volge verso lo spazio per richiamare forze extraterrestri che invadano il nostro pianeta. Sonorità stile film di Dario Argento per la catacombale "Ex Inferis" e la conclusiva "Sonic Diarrhea" che ci danno il definitivo colpo di grazia targato Dol Kruug. Preparatevi, l'invasione è iniziata e i Dol Kruug (e la gallina finale) ne sono gli infami promotori. (Francesco Scarci)

(Electronicartmetal Records - 2014)
Voto: 80