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sabato 1 giugno 2013

Crown - Psychurgy

#PER CHI AMA: Drone, Post, Sludge, Industrial
Ecco una new sensation che uscita dal nulla nel febbraio del 2012, in poco più di un anno è entrata di diritto nella schiera di band di cui attendevo con grande trepidazione il full lenght, dopo l’EP d’esordio “The One” e lo split EP in compagnia degli STValley. I francesi Crown sono tornati più in forma che mai, freschi di un contratto importante per la sempre più potente Candlelight Records e un album veramente strepitoso, che porta avanti il discorso iniziato con “The One”. Con “Psychurgy” mi trovo catapultato all’interno di un tunnel, di quelli alpini, lunghi decine e decine di km. Il senso di claustrofobia è già forte sin dal brano introduttivo che ci introduce ad “Abyss”. Il senso di angoscia inizia minaccioso ad affiorare, mentre percorro quella galleria di cemento armato che sorregge migliaia di tonnellate di terra e roccia pura. E la robustezza di quel cemento armato potrebbe essere equiparato alle chitarre del duo formato da Stephane Azam e Pascal Guth, mentre la matematica drum machine assume più i connotati del regolare alternarsi delle luci all’interno della galleria. Le vocals si alternano tra il cibernetico e un magnifico growling industriale, mentre il sound si espande e comprime come un buco nero che ingoia materia oscura. “Blood Runs” è un capolavoro di musica che tra sonorità post, doom, drone, sludge e industrial, sublima la proposta di questo magnifico ensemble transalpino. Ancora una volta, mi ritrovo estasiato di fronte agli incombenti suoni prodotti dai Crown, a quel flusso emozionale, a quel mare di lava sinuoso e a quell’autentico muro sonoro, già descritto nell’incipit della precedente recensione. I Crown nel loro gelido incedere marziale, risultano stranamente caldi, con delle melodie al limite del malinconico che mi fanno rabbrividire. Mostruosi, non so che altro dire. Fenomenali, anche perché nonostante le lunghe durate dei brani, non trovo un momento di empasse che faccia calare la mia attenzione. Sono sempre concentrato infatti nel percorrere quel famoso tunnel iniziale, ipnotizzato dalle luci per aria, e focalizzato con l’orecchio anche al rumore prodotto dall’attrito delle gomme della mia auto sull’asfalto. Tutti i rumori e i suoni si enfatizzano nel mio cervello cosi come all’ascolto di “Empress: Hierophant”, dove la mia mente è totalmente rapita dall’effettistica di fondo che popola il sound del duo francese. Menzione finale per “Alpha: Omega” che sembra più un pezzo fregato ad una band black old school che al cibernetico suono dell’act di Colmar. Lisergici, oscuri, psichici, malati, ossessivi, paranoici, criptici, deliranti, ritualistici, scioccanti, apocalittici, pachidermici, mistici: sono solo alcuni degli aggettivi che ho trovato per definire le coordinate stilistiche di “Psychurgy”, che si colloca fin d’ora tra i miei album preferiti di questo 2013. (Francesco Scarci)


(Candlelight Records)
Voto: 85

http://crownritual.bandcamp.com/album/psychurgy

venerdì 9 marzo 2012

Crown - The One

#PER CHI AMA: Drone, Sludge, Post Metal
Un autentico muro sonoro, un flusso di emozioni, un mare di lava che lento e minaccioso si muove nell’improvvisato letto che si è creato, l’universo che si espande costantemente seguendo l’effetto Doppler, un tumore che si propaga metastatizzando tutte le cellule che lo circondano. Ecco, l’inaspettato effetto che il sound iper dilatato dei francesi Crown, ha suscitato in me, dopo il suo primo famigerato ascolto. Sono allibito e frastornato al tempo stesso, dall’irriverenza sonora creata da questi due loschi figuri posti alle chitarre di ques band transalpina, coadiuvati solo dalla quanto mai calda, drum-machine. Il duo di Colmar, località più famosa per l’abbigliamento sportivo che per altro, ci cinge fin da subito con la propria miscela sonora costituita da suoni industriali, drone, sludge, doom, post e chi più ne ha più ne metta, ma sicuramente sempre melodici. Si inizia con “Cosmogasm” e l’ensemble francese ci mostra immediatamente il proprio lato più ispirato, quello alle sonorità drone d’oltreoceano. La successiva title track ha un effetto ipnotico, come se mi fossi sparato dei barbiturici direttamente in vena, ma credo piuttosto che sia l’utilizzo della voce cibernetica, che si accompagna egregiamente ad un fantastico possente growling, o più probabilmente il campionamento del drumming, che finisce per creare delle atmosfere crepuscolari, ad avere tale effetto su di me. Le ambientazioni diventano molto più tenebrose e lente nella successiva “100 Ashes”, song tra l’altro intrisa di un profondo velo di malinconia. Arriviamo alla velocità della luce alla quarta “Mare”, song che esordisce in versione ambient, ma che sfodera ben presto un riffing corposo in tipico sludge/post style; un altro inquietante giro nei meandri più intimi degli abissi della nostra mente. Non mi è dato sapere di cosa trattano i testi, ma se li avessi scritti di mio pugno, di certo avrei parlato degli effetti del LSD sulla psiche. Un suono tribale apre invece la lunga e conclusiva “Orthodox” e il battito del suo drumming, il suo incedere marziale e ossessivo, lo sento vibrare nel mezzo del mio petto, soffocante, penetrante, allucinante e alla fine delirante. Mi sento a disagio, le immagini rimangono sfocate davanti ai miei occhi, la fronte madida di sudore; solo il risveglio improvviso dai miei incubi peggiori mi riporta alla realtà e alla tanto agognata calma del mio cuore completamente impazzito. Ragazzi, che diavolo mi sono fumato ieri sera, non ricordo più nulla, se non i suoni schizoidi di un duo francese; ah si ora ricordo, i Crown, peggio dei funghi allucinogeni! Sperimentali… (Francesco Scarci)

(Superstrong)
Voto: 85