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martedì 22 gennaio 2013

Visio Mortis - Call of the Swarm

#PER CHI AMA: Swedish Death, At the Gates, Dark Tranquillity
Avete mai pensato a quante band popolino il mondo dell’underground, al fatto che quelle, di cui leggiamo le recensioni o sentiamo pezzi alla radio, rappresentino solo la punta dell’iceberg di un movimento a dir poco sconfinato? Questa breve intro per dare oggi il benvenuto agli svedesi Visio Mortis e al loro Ep di debutto “Call of the Swarm”. Cinque cavalcate di un death non troppo melodico, ma piuttosto votato alla feralità, che sin da “Odium”, ci investe con il suo dinamismo e la sua brutalità. L’intro affidato alle tastiere, li per li, mi ha fatto pensare a qualcosa più orientato al versante gotico, ma la ritmica serrata e il grido disumano del vocalist, mi hanno prontamente fatto cambiare idea. Il sound dei nostri è infatti affidato a degli scoppiettanti riff di chitarra che, ben accompagnati da un drumming selvaggio, vanno a costituire la matrice di fondo dei nostri. “Born in Deceit” non è da meno: qui non troverete neppure il mansueto giro tastieristico a prepararvi alla tempesta, perché subito l’ensemble scandinavo attacca con il suo martellante incedere, che trova squarci di melodia in un brillante break chitarristico, con il bravo vocalist, Sebastian Gustavsson, a mietere vittime con un’ugola cavernosa e graffiante. La title track è la song più lunga, ma anche quella che si perde maggiormente in un inizio soffuso e ritmato, la cui oscurità sembra rimandare stranamente a “The Silent Enigma” degli Anathema. Ovviamente, verrò smentito a breve, con la traccia che immagino possa tornare a spingere l’acceleratore; invece no, mi sbaglio. Si tratta di un mid-tempo, in cui il vocalist propende per soluzioni vocali differenti. Notevoli gli assoli, ma d’altro canto, essendo i Visio Mortis svedesi, avevate qualche dubbio? Quando “King of Torment” attacca è il suono dei Dark Tranquillity miscelato a quello degli At the Gates, ad uscire dalle mie casse. Bel tuffo nel passato questo, un vero e proprio “back in time”, che mi fa apprezzare ulteriormente la proposta di questo giovane combo nordico, che con il pianoforte di “Where All Becomes Dust”, chiude il proprio interessante debutto, a cui dovrete dare assolutamente una chance. (Francesco Scarci)