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sabato 12 maggio 2012

Algol - Complex Shapes

#PER CHI AMA: Swedish Death, Thrash, At the Gates, Dark Tranquillity
Melodic Death Metal tutto all’italiana quello degli Algol, e lo posso dire con fierezza stavolta: sono orgoglioso di essere nato nel Belpaese. Tralasciando gli ovvi paragoni-metafora riguardo al nome della band (Algol infatti oltre ad essere una stella è anche il nome di un personaggio di Soulcalibur), posso confermare la generale ermeticità del songwriting e la crescente complessità che si sviluppa durante il primo ascolto. Con un nomignolo così evocativo e un titolo estremamente ragionato, ho dovuto trovare dei momenti particolari per poter procedere all’ascolto di quest’opera senza tralasciare un secondo delle atmosfere presenti al suo interno. Facendo questo, ho solo guadagnato. Gli Algol presentano un sound tutto personale, molto caratteristico in ambito death e che sarà d’obbligo seguire nella sua evoluzione nelle prossime uscite. Alcuni passaggi di tempo e melodie vengono riprese più volte tra una canzone e l’altra, conferendo serietà e compattezza ad un genere che di questi tempi tende a imitare più che sperimentare. Degli omaggi a dei maestri del death, comunque, non si fanno mancare (credo di aver trovato alcuni stralci degli At The Gates e dei Dark Tranquillity degli albori). Non ho mai amato una recensione a pari passo con le singole tracce, preferisco citare quelle che più mi hanno influenzato e fatto riflettere musicalmente. Quindi scusate se non seguo in modo matematicamente freddo la scaletta di undici tracce. Adotto un sistema molto più emotivo. “Still in My Eyes, Burning” rappresenta forse l’unico esempio di una componente ‘sinfonica’ e gothic dell’intero album. Una voce femminile subentra improvvisa e una voce pulita domina i ritornelli. Tastiere di sottofondo risultano estremamente avvolgenti e le chitarre si lasciano coinvolgere in passaggi che sono una manna per le orecchie, decretando un puro melodic death come era da tanto che non si ascoltava. A canzoni più ‘lente’ (diciamo così) come “Gorgon” e “Empire of the Sands”, si contrappongono le rapide sfuriate influenzate apertamente da un thrash old style. “Subvert” si configura perno centrale di quest’ultima tipologia. Voci in growl e screaming duettano in un sottofondo di accecante violenza sonora, perfettamente accompagnata da una batteria che sa il fatto sua (ottima anche la produzione). E poi c’è lei, la title track. “Complex Shapes” racchiude bene o male tutti i diversi fattori che portano gli Algol ad essere quello che sono. Chitarre apertamente swedish-death style su veloci riff di alti e bassi (su questo punto di fondamentale importanza è “Hate Serenades”), grande attenzione all’aspetto tecnico (magnifiche ‘plettrate’) e melodia del ritornello coinvolgente. Necessita di più ascolti. È un lavoro decisamente complesso e ci sarebbe molto altro da dire. Questi padovani sono già all’apice. Hanno creato un album di ampie vedute in un death metal melodico con influssi progressive certamente non convenzionale. Superano i maestri del genere… Si, mi sono permesso di pensarlo a volte… (Damiano Benato)

(Punishment 18 Records)
Voto: 85
 

martedì 6 settembre 2011

Algol - Gorgonus Aura

#PER CHI AMA: Black, primi Bathory, Emperor
Nel 2001 l'italiana Twelfth Planet fece uscire una serie di album interessanti, tra questi il primo full-length degli americani Algol, black metal combo di Millersburg che, dopo i due demo "Enshroud Us In Darkness" e "Forgotten Paths", debuttò con l'album "Gorgonus Aura". Il black suonato dal quintetto statunitense è caratterizzato da un mood particolarmente selvaggio che ricorda i primi Bathory, ma la violenza non è l'unica protagonista di questo "Gorgonus Aura" e i momenti più tirati vengono alternati a brevi stacchi di chitarra acustica e da tastiere mai troppo invadenti. Le keyboards non giocano un ruolo dominante ma completano in modo sapiente ogni brano, conferendogli un'atmosfera che definirei notturna. Colpiscono nel segno anche i guitar-solos di Dalkiel e Mictian, che aiutano a mediare con la melodia la barbaria di "Abscond" e "Murmurous Screams Of Repugnance". Alquanto tediosi invece gli undici minuti strumentali di "Exodus", che rischiano di far perdere l'interesse nell'ascolto... un intermezzo più breve avrebbe sicuramente giovato al risultato finale. (Roberto Alba)

(Twelfth Planet)
Voto: 65