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mercoledì 9 maggio 2018

Gigantomachia - Atlas

#PER CHI AMA: Epic Death Metal, Bolt Thrower
"La Tauromachia" inneggiava un De Luigi un bel po' di anni fa quando impersonava il cinico Guastardo. Perché questo incipit? Perché leggendo il monicker di questi italiani, ossia Gigantomachia, il primo assurdo pensiero che mi è venuto in mente è stato quello del comico italiano a Mai Dire Gol. Certo il significato dei due termini è piuttosto simile, nel primo caso si riferiva al combattimento tra bovini e uomini, nel secondo a quello dei Giganti contro gli Dei dell'Olimpo. Me ne rendo conto, sto digredendo e sottraendo tempo prezioso ai frusinati Gigantomachia che arrivano al loro debutto grazie al supporto dell'Agoge Records, attraverso un disco potente di death (piro)tecnico, epico e potente, volto a raccontare la rivolta dei Giganti contro gli Dei. 'Atlas' apre con un'intro che ci conduce proprio a questo tema, "Rise of Cyclop", e che prepara il terreno alla prima tempesta affidata all'oscura "Eye of the Cyclop", una traccia arrembante che mette in mostra le caratteristiche del quintetto di Alatri: ritmica pesante ma dotata di un discreto pattern melodico, la coesistenza tra growling e screaming vocals, una cupa atmosfera di fondo creata da ottimi arrangiamenti. Si passa a "Liberate the Titans", song spigolosa, complice una matrice ritmica il cui suono è assai vicino a quello del cingolato di un carro armato. La traccia è pachidermica nel suo incedere, sebbene i cambi di tempo dovrebbero aiutare a renderla più leggera, niente da fare, è solo l'assolo finale a sollevarci per una ventina di secondi dalla monoliticità di un suono davvero pesante, che per certi versi sembra richiamare quello degli inglesi Bolt Thrower. E che continua ad essere pesante e minaccioso anche nella successiva "Immortal", in cui il giro di chitarra iniziale si rivelerà piuttosto ipnotico e ridondante almeno fino a quando strali di luce nella notte (le chitarre) prendono il sopravvento e rompono ancora una volta una proposta che rischia di peccare in eccessiva coriaceità. Più convincente "Aldebaran", un po' più dinamica e carica di groove, e comunque sempre brillante in fase solistica. "Leviathan" è un'altra song che evidenzia suoni solidi e pesanti, che peccano ancora un pochino in fase costruttiva ma che nella fase solista, trovano invece ottimi spunti. La title track è decisamente più compassata, anche se il riffing "panteroso" conferisce una certa verve al brano che comunque non travalica mai in fatto di velocità. Ultimo plauso per la conclusiva "Scylla & Cariddi", ove ancora una volta, la mitologia si mette a disposizione della musica per un'ultima cavalcata di progressive death dalle tinte epico-sinfoniche che sigilla una performance più che soddisfacente da parte di questa neo band italica. (Francesco Scarci)

domenica 16 luglio 2017

New Disorder - Deception

#PER CHI AMA: Alternative Rock
La fuorviante taitoltrac "Disorder" in apertura, vi collocherà mentalmente dalle parti di un certo melodic nu-metal old-school feat. clean vs. scream più orsacchiottosi interludi growl appiccicati con l'uhu, ma mentre ve la svignate a gambe levate, percepirete la piacevole sensazione tipo di essere inseguiti da un pitbull, mentre ascoltate in cuffia un pezzo degli Hardline (uh, anche la conclusiva "A Senseless Tragedy", in un certo senso). Subito dopo, rutilanti riff death-alley-rainbow con tanto di innesti tukutuku-power ("Love Kills Anyway", eh già) e barra o repentini no-funk-gnagnagna (con tanto di "Tarjanata" conclusiva in "Straight to the Pain", già apparsa insieme ad altre sette tracce, nell'album precedente). Nel prosieguo, i suoni rimangono scolasticamente compressi, come si conviene sì, ma sottocutaneamente Frontiers-oriented, classici, rassicuranti, metallosi e trasparenti, come la custodia di un cd dei Talisman. Ci si diverte, l'avreste detto? Ci si diverte sul serio, soprattutto quando si system-of-a-gigioneggia (in "Never Too Late to Die"). Datemi retta: ascoltate questo disco, e poi riascoltatelo ancora. Perché a voi quel metal nu-riverente anniduemila incessantemente trainato dal zigzagante ma perentorio T' (ti-apostrofo) di grancassa, non lo ammettereste mai, ma vi piace un casino. Mi sbaglio forse? (Alberto Calorosi)

(Agoge Records - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/newdisorderband/

venerdì 1 luglio 2016

Element of Chaos - A New Dawn

#PER CHI AMA: Death Progressive, Edenshade
Alla faccia della globalizzazione, di internet e della facilità di reperire le notizie. Quando ho iniziato a scrivere la recensione degli Element of Chaos (da non confondere con gli omonimi americani), ho trovato sul loro sito l'anno di fondazione, il 2007, la città natale, Roma, e il genere che propongono, un improbabile "post-atomic avantgarde". Sicuramente starete pensando che diavolo mi servisse ancora, effettivamente poco nulla, ero curioso di sapere se avevano già fatto uscire un demo, un EP o quant'altro. Gira e rigira, ho capito che questo 'A New Dawn' segue, non proprio a stretto giro di boa, 'Utopia', quello che credo essere realmente l'album di debutto del sestetto capitolino, datato oramai 2013, che aveva riscosso pareri assai contrastanti. Freschi del contratto con la Agoge Records, i nostri si presentano con un album roboante fin dal suo incipit, affidato a "The Second Dawn of Hiroshima" che ci consegna una band che si muove con una certa disinvoltura all'interno dell'ambito thrash, death, progressive, modern metal e anche avantgarde, perchè no. Le componenti principali del disco si identificano in un corposo riffing di matrice scandinava, un'alternanza vocale tra pulito e growl, chorus catchy e una sapiente dose di synth che arricchiscono non poco la proposta dell'ensemble romano. Per certi versi, ho immediatamente associato il nome dei nostri a quello dei marchigiani Edenshade e al loro album di debutto 'Ceramic Placebo for a Faint Heart'. Man mano che vi addentrerete nell'ascolto del disco, avrete modo di scovare (e apprezzare) altre peculiarità del combo capitolino: l'uso classicheggiante del pianoforte in "Just a Ride", in una sorta di riedizione degli Angizia in salsa speed metal. Gli echi progressivi si fanno forti in "Nothing But Death", anche se il riffing chiama in causa i Meshuggah, sebbene il brano sia guidato da synth cibernetici. Una melodia quasi balcanica introduce a "Mutant Circus Manifesto", brano che poi spazia in territori più alternativi che arrivano addirittura a citare i System of a Down nella parte conclusiva (e tribale) del pezzo. Convincenti non c'è che dire, anche in chiave solistica, sebbene l'eterogeneità di fondo che permea il tessuto musicale di questo interessantissimo lavoro. "Coming Home" è ammaliante nella sua parte iniziale, quasi un omaggio ai Porcupine Tree, prima di esplodere in un death progressive e lasci spazio ad una barbara ondata di riff distorti e psichedeliche keys, che la eleggono inevitabilmente la mia song preferita. Il disco è buono, sotto tutti gli aspetti: songwriting, refrain, groove, orecchiabilità, freschezza, originalità di idee e potenza. Forse il rischio in cui possono incorrere i nostri è proprio quello di essere estremamente vari e forse nel tentativo di voler abbracciare un pubblico più vasto, rischino addirittura di non accontentare nessuno. Per fare un esempio, "Epiphany" viene proposta in chiave death/progressive, citando i Ne Obliviscaris in un paio di spunti di chitarra e poi riproposta remixata (che brutta parola remix in un disco metal) in una versione totalmente stravolta, al limite dell'Industrial/EBM. L'ultima corsa spetta invece a "The Butterfly Effect", brano che compariva già in 'Utopia', e che probabilmente farà storcere il naso al metallaro più estremo visto il tentativo di cantare in stile rappato su un tappeto ritmico un po' troppo confusionario. Una song di cui avrei fatto volentieri a meno, ma che comunque non influenza il mio giudizio finale su questo 'A New Dawn', a cui invito voi tutti a dare un oculato ascolto. (Francesco Scarci)

(Agoge Records - 2016)
Voto: 75

https://www.facebook.com/elementofchaos/

sabato 2 aprile 2016

Dancing Crap - Cut It Out

#PER CHI AMA: Alternative Electro Rock/Punk
Eccoci a parlare di una delle ultime produzioni targate Agoge Records, ovvero i funanbolici Dancing Crap. La band nasce intorno al 2012 dopo che il fondatore Ronnie ha concluso l'esperienza con il suo precedente progetto. Il quintetto laziale voce-chitarre-basso-batteria mette in mostra un rock intriso di contaminazioni in un album di debutto composto da dieci brani eclettici e che abbracciano influenze molteplici e ben definite. Grunge nostalgico e punk oltreoceano si insinuano negli arrangiamenti con una spruzzata di elettronica qua e la, mentre lo charme del vocalist cerca di ipnotizzare l'ascoltatore con la sua cadenza sensuale e irriverente alla Axl Rose. Le trovate iper tecniche sono lasciate da parte, infatti ogni singolo strumento punta ad amalgamarsi al meglio con gli altri, il basso è sempre ben presente e piacevole all'ascolto, come i pattern di batteria. La chitarra si prende il proprio spazio con riff semplici ma efficaci, sempre a conferma che i Dancing Crap puntano molto sul risultato complessivo. "Burned Down City Soul" è l'esempio lampante di una composizione dall'appeal sbruffone e scanzonato, compreso il fischiettare di Ronnie e i suoi vocalizzi a mo' di filastrocca. Un brano rock piacevole che fila via liscio senza sbalordire. "Sam" ricorda la scuola Ramstein per quanto riguarda il lead synth utilizzato per tutta la traccia che risulta ben sviluppata anche se qualche bpm in più l'avrebbe resa decisamente più incisiva e trascinante. Personalmente avrei scelto suoni di tastiere diversi, puntando sull'acidità della psichedelia o la morbidezza dell'ambient. La timbrica dance lascia un po' perplessi mettendo sul tavolo altre influenze che cozzano con l'incedere rockeggiante del brano. "Needless" è un'altra prova di forza del quintetto che non ha paura di mischiare nuovamente suoni electro con il rock, mentre la timbrica di Ronnie si arrichisce della drammaticità sofferente di Brian Molko. Verso i tre quarti di brano c'è un breve break, simil monologo teatrale, che permette alla branda di riprendere il riff principale e portare a conclusione la canzone. I Dancing Crap sono un buon progetto che mette in atto delle sperimentazioni credibili e tutto sommato piacevoli, forse una botta di vita in più renderebbe merito alla fiamma del rock che comunque imperversa nelle vene di questi ragazzi. Stiamo a vedere come evolverà il progetto, a questo punto sono veramente curioso. (Michele Montanari)

(Agoge Records - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/DANCINGCRAP/

sabato 25 luglio 2015

Aether Drop - Mannequins

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Nu Metal
Gli Aether Drop sono un quintetto romano nato nel 2012 e con all'attivo un EP uscito un anno dopo la loro formazione. Recentemente la band ha prodotto il full length 'Mannequins', distribuito dalla Agoge Recors, e contenente undici tracce pregne di sonorità alternative/nu metal cantate in inglese. La traccia che apre il cd è strutturata su voce, tappeto di synth e un loop di batteria, il tutto per fare da intro ad "Attitude", un brano potente e viscerale. I riff di chitarra sono ben fatti, mutevoli sia nell'arrangiamento che nella metrica, merito soprattutto della struttura ritmica sapientemente creata da basso e batteria. I suoni sono quelli che ci si aspetta dal genere, quindi moderni, compressi e per certi versi un po' piatti, comunque il brano è godibilissimo per tutti i quattro minuti di durata. Cambi di ritmo, break, accelerazioni e quant'altro richiamano i fautori del genere, ma non disdegnano qualche digressione prog metal. "Tyranny Child" mette in evidenza la grinta del vocalist che ha una timbrica squillante e doti non indifferenti, riuscendo a creare linee vocali ben strutturate e varie. L'assolo di chitarra a metà brano scarica la tensione del pezzo con un leggero rallentamento e il successivo break di chitarra acustica ci catapulta in una ballata rock per qualche secondo. Non si ha neanche il tempo di pensarci su se ci piace o no, che il brano cresce e torna alle sonorità metal. "Anger Grows" è probabilmente il pezzo più aggressivo e d'impatto, con ritmiche che s'intrecciano a suon di doppio pedale, cori e muri di chitarre che non lasciano alcun scampo all'ascoltatore. Un concentrato di rabbia, ben interpretata anche dal frontman che vela di oscurità il proprio timbro vocale per meglio adattarsi al mood del pezzo. A mio avviso alla fine da considerarsi come miglior traccia del disco che vede gli Aether Drop al top del proprio agio. Chiudiamo con "Made of Tears", dove ricompaiono i synth che avevamo incontrato nella traccia d'apertura, ma che sono stati poi messi da parte per tutto l'album (peccato). Un brano più disteso, introspettivo e carico, dove si apprezzano sempre le ritmiche ben studiate e gli arrangiamenti che mutano vicendevolmente durante tutta la durata del pezzo. Dopo qualche settimana di ascolto del nuovo album degli Aether Drop, posso dire che 'Mannequins' è un lavoro ben scritto, registrato e mixato. Anche i testi sono piacevoli, trattano tematiche attuali e non sono banali. La band romana vive delle grosse influenze del genere, ma può vantare una solida identità musicale che potrebbe sfociare in qualcosa di ancor più ricercato e intimo. Alcuni passaggi nei brani sono poco personali e legati forse alla voglia di piacere a tutti i costi agli ascoltatori, questa però è una scelta di percorso che lasciamo agli Aether Drop che intanto ci hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per fare buona musica. (Michele Montanari)
 
(Agoge Records - 2015)
Voto: 75
 

giovedì 9 aprile 2015

New Disorder - Straight to the Pain

#PER CHI AMA: Alternative, System of  a Down
Oops, è successo di nuovo, per fortuna. Non quello che cantava Britney Spears qualche lustro fa, ma di infilare un cd nel lettore e perdersi nel vortice della musica di una band che non conoscevo. I New Disorder sono di Roma, nascono nel 2009, e vantano tra le loro fila musicista di ottimo calibro e attivi da anni nella scena capitolina. Dopo due album, escono con 'Straight to the Pain' , un lavoro pensato, eseguito e registrato con cura quasi maniacale da una band che dimostra buone capacità e anche un pizzico di estrosità, che non guasta mai. Il genere è un alternative metal cantato in inglese, dove si percepiscono alcune influenze chiare, ma i nostri sparigliano le carte spesso e volentieri riuscendo a dare un tocco di personalità. Il livello tecnico è alto, la sezione ritmica spinge bene e sostiene melodie ed arrangiamenti con convinzione, mentre le chitarre si dilettano in riff potenti e assoli al fulmicotone. Ascoltando attentamente il vocalist si nota una complessità non comune, inoltre il supporto del bassista rende ancora più vari gli arrangiamenti vocali. "Never Too Late to Die" è una cavalcata veloce e possente, fatta di riff classic metal, ma dai suoni decisamente più moderni. La struttura cambia di continuo e si stacca dal solito cliché strofa-ritornello, mentre il vocalist punta su un cantato dalla timbrica simile a Brian Molko (ma anche ai System of a Down/nd Franz), il che rende il brano ancora più interessante e godibile. Un breve stacco a metà ci concede il tempo di riordinare le idee, ma subito riparte e si viene travolti da una valanga sonora precisa e senza sbavature. Poi tocca al brano che regala il nome all'album e qua i New Disorder diventano più oscuri, con una strofa sostenuta da basso, batteria e voce che passa da un simil growl al tono fin qui ascoltato. In aggiunta troviamo anche una seconda voce femminile dal registro alto, che non risulta ben amalgamata con il resto. Probabilmente la voglia di abbellire il brano ha superato di poco il limite dell'eccessivo e se speravamo in un pezzo inquieto e oscuro, dobbiamo rimandare. "The Beholder" è a mio avviso la main track dell'album, il brano più completo in assoluto. Il brano, il più lungo del cd, racchiude l'essenza dei New Disorder, metallari duri e implacabili, ma dal cuore d'oro che riescono a tirare fuori anche delle ballate emozionanti (ascoltatevi "Lost in London" e "The Perfect Time"). Dopo un breve arpeggio pulito di chitarra, la band torna a scaricare la sua potenza fatta di riff chirurgici optando per una velocità di esecuzione altalenante. Si passa dalla quiete iniziale alla tempesta che si scatena nella seconda parte della canzone, sempre con arrangiamenti convincenti e ben eseguiti. Concludendo ci troviamo di fronte ad una band che merita i successi raccolti fino ad'ora e a cui auguriamo lunga vita, anche perché mi aspetto un'ulteriore evoluzione nel prossimo album. (Michele Montanari)

(Agoge Records - 2015)
Voto: 75

giovedì 11 settembre 2014

Ushas - Verso Est

#PER CHI AMA: Classic Rock, Deep Purple, Led Zeppelin
Questo cd sembra essere arrivato dal passato, direttamente dal cruscotto di una Delorean munito di flusso canalizzatore che va a whisky e sigarette. Dico questo perché 'Verso Est' è un concentrato di hard rock inglese vecchia scuola, senza tanti fronzoli a livello di post-produzione, ma basato esclusivamente su chitarre, ritmica e voce che sale senza timore. A questo bisogna aggiungere del sano rispetto per la cultura orientale, come il titolo dell'album suggerisce e tanti anni passati tra fumosi locali con gentili donzelle che danzano sui tavoli e bicilindrici che rombano nel parcheggio. Il quartetto romano ripercorre il meglio dei Deep Purple e Frank Zappa, cantando in italiano e stando ben lontani da stilismi moderni. I suoni sono molto classic rock, come si può capire già dalla prima traccia "Fuorilegge" che scorre veloce con bei riff di chitarra e il cantato che domina ovunque. La voce è matura, ma raggiunge tonalità alte e si diverte a giocare con arrangiamenti in continua metamorfosi. Anche l'assolo conferma le doti tecniche del chitarrista e la sezione ritmica corre a perdi fiato, sostenendo il gioco. Intro e outro con un bel rombo di bicilindrico, a conferma del legame che unisce la band e il mondo delle due ruote. "Io Non Sono Qui" ci va giù pesante con una batteria lineare, ma che batte a più non posso e chitarre a profusione per un altro brano classico negli schemi e nello sviluppo. I cori arricchiscono un testo leggermente ripetitivo, ma dopotutto non bisogna sempre infarcire le canzoni con tematiche filosofiche. "La Via della Seta" è una ballad che ripercorre un ipotetico viaggio da occidente fino alla Cina, cullando l'ascoltatore con suoni delicati e riff ricchi. Un'altra bella prova che mette in luce le doti poliedriche dei nostri quattro musicisti capaci di mettersi in gioco anche con brani meno energetici, ma comunque godibili. "Maledetta Notte" torna a scuotere i nostri timpani con riff distorti che viaggiano a fil di rasoio con batteria e basso, mentre la voce vibra e urla furente per tutti i tre minuti abbondanti della traccia. Breve break centrale che permette all'ensemble di riprendere la struttura iniziale e chiudere dopo poco. Indubbiamente una band che potrebbe insegnare molto a livello tecnico e sonoro, anche se non si sposta molto da quei gruppi che hanno fatto la storia del rock anni '70. Brani ben suonati e allo stesso semplici, senza pretese e desiderio di lanciarsi in qualcosa di nuovo seguendo le mode del momento. (Michele Montanari)

(Agoge Records - 2013)
Voto: 70

venerdì 8 agosto 2014

Dogmate - Hate

#PER CHI AMA: Stoner/Grunge
I Dogmate sono un quartetto metal romano, nato nel 2012 e che in breve ha registrato due album, lanciato un paio di video e firmato pure per la Agoge Records. Ottimi risultati quindi ottenuti relativamente in poco tempo, questo a dimostrazione della determinazione dei quattro musicisti che non si sono certamente fatti intimidire dal difficile settore musicale del metal. Ascoltando 'Hate' ci si accorge subito dell'elevato livello tecnico generale della band e della qualità sonora della registrazione, dentro quest'album si trova tutta la scuola degli ultimi vent'anni e i Dogmate scelgono suoni moderni e classici facendo tesoro degli insegnamenti acquisiti con gli anni. La chitarra è corposa (si, una sola ed è devastante a sufficienza) con la giusta equalizzazione e guida i dieci brani dell'album, ma nulla avrebbe potuto senza una sezione ritmica di batteria/basso che viaggia sputando fuoco e vapore a più non posso. Il cantato è potente, mai oppressivo e pesante, il che rende l'ascolto piacevole e dinamico, permettendo di apprezzare i vari arrangiamenti. Nelle parti scream ricorda i Linkin Park, ma ha anche una buona dose di sfumature southern/grunge nei restanti frangenti. "Dark in the Eyes" è caratterizzata da una strofa ipnotica che veleggia su una ritmica altrettanto raffinata, in stile Tool/A Perfect Circle che anticipa il cambio rabbioso dove i riff accelerano e scaricano violenza a profusione. Un brano dalla doppia indole, prima soave e allusivo, poi dispensatore di inaudita cattiveria. Molto bello. Per lo stesso motivo, "World War III" si fa apprezzare per la complessa struttura, che elargisce riff e arrangiamenti in continua evoluzione, senza dare il tempo all'ascoltatore di abituarsi ad un fraseggio che tutto cambia di nuovo. Ribadisco che la sezione ritmica è potente e variegata, doti indiscusse che sottolineano ancora il duro lavoro di produzione delle tracce. Chiudiamo con "Black Swan", ballata guidata da una grande chitarra acustica che crea un tappeto pieno di melodia e sfumature per la voce che duetta all'unisono con le sei corde, il tutto accompagnato da archi che regalano profumi di un luogo epico e senza tempo. Altra prova di tecnica e flessibilità artistica da parte dei Dogmate, che in questo modo abbracciano ancora di più quello che altre grande band hanno fatto in passato. 'Hate' è un disco godibilissimo, ben fatto, che non aggiunge grosse novità alla scena metal nostrana, ma ribadiscono il fatto che ne fanno parte occupando una posizione di rilievo a livello nazionale. Vedremo cosa faranno in altri due anni, a questo punto le aspettative sono alte. (Michele Montanari)

(Agoge Records - 2013)
Voto: 80