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martedì 21 maggio 2013

65daysofstatic - The Destruction of Small Ideas

#PER CHI AMA: Post-Rock, Tortoise, Mogwai
Tempo di ripescaggi, per il Pozzo. L’occasione ci viene dall’australiana Bird’s Robe, che sul finire dello scorso anno ha ristampato in versione deluxe (affiancando cioè all’album originale un secondo cd di rarità varie) l’intera discografia dei 65daysofstatic, il combo di Sheffield che, a cavallo della metà degli anni zero era stato capace di infondere nuova linfa ed energia al post-rock strumentale, con una manciata di lavori da stropicciarsi le orecchie. Dato per assodato che i primi due album del quartetto (Fall of the Math e One Time for All Time) sono pressoché imperdibili, occupiamoci oggi del loro terzo lavoro, quello più contradditorio in termini di accoglienza, prima del nuovamente acclamato “We Are Exploding Anyway” (forte della sponsorizzazione dei Cure), e forse quello che più ha bisogno di una riscoperta, a sei anni dalla sua pubblicazione. La formula vincente degli inglesi consisteva, tra le altre cose, nell’aver iniettato discrete dosi di elettronica all’interno di un suono ormai piuttosto codificato come quello del post-rock, nella sua alternanza di pianissimi e fortissimi, suonando questi ultimi con un furore incendiario per un risultato finale davvero esaltante. “The Destruction of Small Ideas” mantiene queste caratteristiche senza riproporre una fotocopia dei primi due lavori, anzi cercando una qualche evoluzione. L’approccio sembra essere un po’ più live, forte dell’esperienza acquisita sui palchi, con l’elettronica che perde quel ruolo quasi centrale che aveva acquisito nel secondo album, per essere tenuta decisamente più sullo sfondo. Quello che si nota subito, e che forse rimane il vero punto debole del disco, rispetto ai precedenti, è un suono meno devastante, nonostante il piede sia spesso ben pigiato sul pedale dell’acceleratore, forse una pecca del mastering o forse una scelta deliberata della band. Altro appunto relativamente al minutaggio, oltre l’ora, che rivela forse un piccolo peccato di presunzione o un eccesso di ambizione, soprattutto alla luce della presenza di un paio di pezzi che hanno il retrogusto amarognolo del riempitivo. Fatte salve queste pecche, ci troviamo di fronte a un signor disco, fatto di brani lunghi ed elaborati senza essere inutilmente arzigogolati, con cambi di atmosfere repentini e di grande impatto (su tutti la splendida “Don’t Go Down to Sorrow”, pianoforte in partenza, impennate vorticose e chiusura in una marea di filamenti electro-glitch), sempre in equilibrio tra dolcezza e furore (si prenda la conclusiva “The Conspiracy of Seeds”, che ospita gli scream dei vocalist dei Circles Take the Square). In sostanza il disco più classicamente post-rock dei 65dos, nell’approccio e nella strumentazione, ma anche quello forse meno d’impatto sul piano della “botta” sonora. Molto interessante il secondo dischetto, che allinea rarità e pezzi inediti, e che spinge decisamente sul versante più sperimentale, dove l’elettronica torna prepotente e spesso la fa da padrone, come nella spiazzante “Dance Parties” (il titolo è quanto mai programmatico), o in “Goodbye, 2007”, che suona come un carillon dimenticato in uno stabilimento Toyota ultra-robotizzato. È notizia di queste settimane che i 65daysofstatic sono tornati in studio per registrare un nuovo album. Li aspettiamo con ansia e nel frattempo ripassiamo la loro discografia adeguatamente “rincicciata” i queste belle deluxe edition. (Mauro Catena)