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mercoledì 3 maggio 2017

Combat Astronomy – Symmetry Through Collapse

#PER CHI AMA: Jazz-core/Industrial/Noise/Ambient
Ogni nuovo lavoro della creatura di James Huggett è guardato da queste parti con grande attenzione e, vale la pena dirlo subito, anche questa volta l’attesa è stata pienamente ripagata da un’esperienza d’ascolto davvero intensa e appagante. A due anni e mezzo da quell’oscuro capolavoro che era 'Time Distort Nine', i Combat Astronomy tornano a riproporre il loro impossibile mix tra industrial, sludge, doom e free jazz, alzando ancora di più la posta in gioco. Accanto ad Huggett (basso, diavolerie elettroniche varie e produzione), e sempre più Deus Ex Machina del progetto, troviamo nuovamente gli straordinari Martin Archer (sax e tastiere) e Peter Fairclough (batteria), occasionalmente supportati dalla chitarra di Nick Robinson e dal violino di Wesley Ian Booth; questa volta a prendersi gran parte della ribalta è però Dalila Kayros, una ragazza sarda che i più attenti avranno già incrociato come voce dei post metallers Syk e soprattutto in quel gioiello di sperimentazione vocale che era 'Nuhk', esordio in solitaria datato 2013. Per chi non la conoscesse, Dalila ha una voce straordinaria, con una timbrica che ricorda da vicino quella di Björk, e che con il folletto islandese condivide la passione per la ricerca e l’esplorazione delle possibilità vocali, anche se il suo approccio è decisamente più trasversale e vicino a quello di altri grandi sperimentatori come Diamanda Galas, Mike Patton, Yoko Ono o Demetrio Stratos. Sono quindi le sue corde vocali a marchiare a fuoco queste sei lunghe composizioni, come sempre inafferrabili nel loro muoversi su più piani, scivolando da uno all’altro in maniera repentina quanto inaspettatamente organica. Quello che colpisce lungo l’arco di questi 56 minuti è la netta sensazione che questa sia una musica urgente e necessaria, che non lascia mai l’impressione di essere studiata a tavolino, nonostante sia allo stesso tempo evidente il grande lavoro preparatorio a cui tutti i musicisti si sono sicuramente dovuti sottoporre, soprattutto pensando che, come al solito, le tracce sono state registrate separatamente dai vari musicisti a migliaia di chilometri di distanza l'uno dall'altro. E questo è vero tanto nei brani più aggressivi e abrasivi (le iniziali "Iroke" e "Bhakta") quanto in quelli più riflessivi e dilatati, dove la componente sperimentale si fa più presente e spinta (la title track, "Collapsed" e "Kyber") e dove sembra di essere al cospetto di una versione contemporanea di 'Starsailor' di Tim Buckley, sospesi tra percussioni tribali, derive free jazz e sovrapposizioni vocali che sembrano uscire dalla penna di György Sándor Ligeti. Creatura al solito multiforme e imprendibile, i Combat Astronomy hanno realizzato un nuovo, preziosissimo tassello che impreziosisce il mosaico della musica sperimentale meno prevedibile e non per forza accademica, anzi più che mai viva e pulsante. Ascolto obbligato. (Mauro Catena)