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mercoledì 29 gennaio 2014

Malevic - S/T

#PER CHI AMA: Post Rock, Post Grunge
È sempre bello avere tra le mani il cd di debutto di una band. Sembra di toccare un pezzo della loro anima, forgiato a dovere dopo mesi di lavoro, tra sangue e saliva, insulti e risate in faccia. Ma anche amici che si trovano e poi si perdono, ore di viaggio per rincorrere un sogno e poi finalmente ci sei. Tutto questo scorre tra le dita in pochi attimi, mentre sfioro il digipack dei Malevic. Bellissimo artwork che anticipa atmosfere cupe, ma che guardano al cielo per trovare la luce. Otto brani che raccontano un rock che si dipana tra il prog, l'alternative e un'evoluzione del grunge, dai suoni affascinanti che riportano alla mente i Tool (che tanto stiamo aspettando) e gli Isis, ma le somiglianze si fermano qua. I Malevic sono caratterizzati da una buona cura dei suoni, non lasciano nulla al caso, come gli arrangiamenti. Sempre azzeccati ed equilibrati per creare dinamicità, anche se i brani iniziano speso sommessi e poi esplodono. "Relic" è un esempio, bei riff di chitarra, un gran break di basso e batteria messo al punto giusto e il cantato che ammalia ad ogni singola parola (in inglese). Una sorta di preghiera moderna che non chiede perdono a nessuno e grida al mondo la sua presenza. Anche "Pipers of Vanity" colpisce per la sua complessità (nonchè durata), confermando la maturità dei Malevic e la loro propensione a scrivere pezzi con il massimo della cura possibile. I diversi cambi ritmici e melodici non stancano e soprattutto mostrano la flessibilità artistica di una band che non vuole fermarsi e invece produce ciò che un ascoltatore non sempre si aspetta. Probabilmente chi non ha un orecchio allenato può rimanere un po' spaesato, ma è ora di abituarsi ad altro e accogliere a braccia aperte nuove sonorità. L'album chiude con un brano tirato e aggressivo, sempre addolcito dalla linea vocale che non si lascia tentare dallo screamo o dal growl e continua per la sua strada melodica, dando maggiore spessore agli arrangiamenti. Concludendo, anche se a volte alcuni passaggi sono meno convincenti di altri, questo debut omonimo merita e lo consiglio caldamente a chi apprezza come me questo genere di sonorità. (Michele Montanari)

Cradle of Filth - Midian

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Gothic 
Una suggestiva intro di tastiere apre le porte di 'Midian', quarta release, datata 2000, della celebre band britannica. Il mondo mutante creato dalla fantasia dello scrittore Clive Barker ha ispirato non solo il titolo del cd ma anche le immagini che illustrano il booklet. Chi di voi ha letto "Cabal" o ha visto l'omonimo (e controverso) film, non potrà fare a meno di ripensare ai mostruosi Notturni nascosti nella sotterranea città di Midian... Venendo al contenuto prettamente musicale, l'unico difetto dell'album è la durata eccessiva di alcune canzoni, superiore in certi casi ai 6 minuti. Ciò non toglie che "Midian" sia, a mio avviso, un piccolo capolavoro. La produzione è impeccabile, i suoni curatissimi e nitidi, e gli strumenti sono sfruttati appieno. Da segnalare i brani "Chtulhu Dawn", "Death Magick for Adepts" e "Lord Abortion". 

(Sony - 2000)
Voto: 85 

martedì 28 gennaio 2014

Mord’A’Stigmata - Ansia

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
La Polonia nel tempo ci ha regalato gemme preziose in ambito estremo ed è la Pagan Records, stavolta, a beneficiarne. Nativi di Bochnia e formati nel 2004, i Mord’A’Stigmata riescono a fondere assieme il black più moderno con un numero considerevole di influenze tra le più disparate, tra cui spiccano psichedelia ed elettronica, elementi più dark e una spolverata di shoegaze, ma il mio invito è di lanciarvi voi stessi nella caccia al riconoscerle tutte. Il loro terzo lavoro, 'Ansia', può essere grossomodo così riassunto: sublime e proteiforme. Ottimo il connubio tra harsh vocals rauco-catarrose e parte musicale più black-oriented, una sezione ritmica precisa e mai esasperata (senza strafare, e non è poco), a supporto di un guitar working secco, essenziale, sempre ribassato, cupo ed arioso allo stesso tempo. Non paghi di tutto questo pregevolissimo lavoro, ecco che arriva il colpo di scena, laddove entra in campo l’emozionante vena più elettronica e sperimentale dei Nostri, inframezzata qua e la nelle varie canzoni. I primi tre lunghi pezzi coprono più dei tre quarti dell’intero disco, costruendo un unico movimento altalenante di luce (fioca, molto fioca) e tenebra. "Inkaust", "Shattered Vertebrae of the Zodiac" e "Pregressed" sembrano un mosaico, dove ogni tassello risulta perfettamente incastrato tra i circostanti, a formare un crudo, gelido e affascinante disegno a tinte fuligginose. La conclusione è affidata a "Praefactio pro Defunctis" (probabilmente il pezzo meno ispirato dell’intero album, ma comunque più che gradevole) e la title track, un’asfissiante rampa di lancio verso il nero, il cui unico difetto è, ahimè, la brevità. È ascoltando album come 'Ansia' che mi convinco sempre più di quanto meravigliosa sia la nostra musica preferita e dischi di tale fattura ne rappresentano solo un’ulteriore conferma. Ottima prova. (Filippo Zanotti)

(Pagan Records - 2013)
Voto: 80

https://www.facebook.com/mordastigmata

lunedì 27 gennaio 2014

The Soulscape Project - The Lifeless

#PER CHI AMA: Black, ultimi Satyricon
I The Soulscape Project sono una black metal band tedesca che emerge dalle viscere con questo EP intitolato 'The Lifeless Ep'; sembra fatto apposta ma il titolo descrive a pieno la situazione. In alcune parti troppo simile ai Satyricon di “Volcano”, con qualche incursione “Opethiana”, alle volte oscuro e in altri frangenti insensato, brevissimo nei suoi 16 minuti, questo EP sembra morto. Facendo un’autopsia del cadavere, scomponendo i vari strumenti, si nota come i riff siano in molte parti troppo scontati, così come per alcune soluzioni di batteria che a mio parere poteva anche esser registrata meglio; alla fine tutto suona oltremodo già sentito, sterile e senza vita propria. Questa è una forma di black metal urbano, ispirato al periodo postumo di un black che non riesce più a trascendere nemmeno se stesso e che rimane imprigionato in regole e stilemi che lo rendono meccanico e standardizzato, l’esatto opposto di ciò che era ai suoi albori. Molti musicisti, non capiscono che oggi i capostipiti del genere sono “obbligati” a produrre schifezze da un milione di dollari, hanno contratti grossi, devono sfornare album entro un tempo prestabilito, c’è molta pressione su queste persone e irrimediabilmente hanno perso gran parte dell’ispirazione. Per quale assurdo motivo una band appena nata dovrebbe attingere dalla morte stessa del black metal? Dovrebbero invece ringraziare di essere liberi da contratti e fama invece che emulare gli ultimi dissacranti Satyricon! Se proprio ci si dovesse ispirare a qualcosa, non sarebbe meglio ispirarsi al periodo florido del black metal e dotato di una buona dose di “anima propria”? In questo caso si riuscirebbe a produrre ancora un grande album come i capolavori del passato. Per concludere, se è da anni che seguite il genere e vi siete emozionati con 'Dark Medieval Times' vi consiglio di riascoltarvelo, eviterete cosi di perder tempo. (Alessio Skogen Algiz)

Revelations of Rain - Deceptive Virtue

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus
Tornano i Откровения Дождя o per chi non masticasse il cirillico come il sottoscritto, stiamo parlando dei Revelations of Rain, che giungono al traguardo del quarto lp sotto l'egida costante della Solitude Productions, che ne accompagna i passi sin dal loro debutto. Li aspettavo al varco, dopo averne saggiato la prova, con esiti sicuramente positivi, nel precedente “Hemanation of Hatred”. In poco più di tre anni volevo capire se il quartetto moscovita, da sempre sostenitore di un death doom dalle tinte cupe e malinconiche, avesse qualche novità in serbo per i fan di un genere che sta vivendo, a mio avviso, una fase un po' calante del suo ciclo, complice una certa mancanza di idee, indispensabili ad un suo rinnovamento. C'è chi afferma che questa sia una forma musicale stantia che non potrà mai evolvere; io non sono d'accordo e rimango fiducioso di capire se almeno con il combo russo ci sono margini di miglioramento. Ebbene, non raggiungiamo le vette del passato, ma devo ammettere che 'Deceptive Virtue' ha da offrire qualcosa in più rispetto ai lavori dei propri compagni di scuderia. Ammiccando al sound di Saturnus (il top in questo campo) e ai più ruffiani Swallow the Sun, non tralasciando ovviamente gli insegnamenti dei maestri di sempre, My Dying Bride, i Revelations of Rain ci offrono sette song, una delle quali strumentali, che si dimenano tra il death doom più tradizionalista (“Chernye Teni“), a quello più straziante (“Dekabr II”) e incazzato (“Mezhdu Bezzhiznennymi Beregami” e “V Bezumii Velichie Tvojo”). Il quartetto di Podolsk sfodera un'altra notevole prova strumentale, in cui ad emergere sono i profondi vocalizzi growl dell'ospite Arsagor (Grey Heaven Fall), l'eccellente guitar work del bravo Yuriy Ryzhov e la rutilante cupezza delle sue ritmiche. Non aspettatevi tuttavia nulla di (ex)straordinario, i cinquanta minuti di 'Deceptive Virtue' rappresentano ad oggi quanto di più interessante sia lecito attendersi da questa scena funerea. Decadenti. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions – 2013)
Voto: 70

http://revelationsofrain.bandcamp.com/

sabato 25 gennaio 2014

Exhumed - Necrocracy

#FOR FANS OF: Goregrind, Autopsy, Avulsed
Having returned to glory in a big way with the stand-out 'All Guts, No Glory' a few years ago, gore-mongers Exhumed have offered up another exceptional splatter platter here with a fine mixture of their past and present. Still wringing their hands in the gore/grind trade with their propensity for intense, tightly-wound rhythms, technically-precise guitars and knack for bloody and disgusting lyrics, it feels right at home here amongst their early works but adds in an extra dimension here with a slight melodic flair in the riffing arrangement from time-to-time that breaks up the monotony slightly and brings in a newfound toy to play with despite still wanting to utilize what’s been in their toychest all these years. Bristling with stand-out drumming patterns from Deeds of Flesh skinsman Mike Hamilton who throws in a propulsive amount of double-bass lines and top-notch fills, they drive the speed that works in guitarist/vocalist/founder Matt Harvey’s wet, sloppy growl that still sounds as messy and disgusting as their heyday over a decade ago, and when it’s all wrapped together with a well-composed tendency to switch from simple thrashing to technical virtuosic displays and even the aforementioned melodic flair, there’s a lot to like here. Starting off with the spectacular "Coins Upon the Eyes," and carrying on through the title track, "Sickened," "(So Passes) The Glory of Death" and "The Rotting," it’s pretty obvious what’s going to happen throughout as we get razor-edge riffing, tight arrangements and blinding thrash-like speed merged together in one wholesale package, if anything on this release could be considered wholesome. Thankfully, there’s some fine originality to take place here as "The Shape of Deaths to Come" introduces those melodic interludes to keep the material broken up slightly, "Dysmorphic" offers a lengthy acoustic break in the middle of the track and the blistering "Carrion Call" offers something resembling a call-and-response chorus, a little-featured facet of their sound which is briefly featured for what must be the live experience. That said, the big flaw here is pretty much the fact that the band is pretty consistent in their approach and don’t really offer up much in the way of variation or really differentiating their music from each other as this gets pretty hard to really tell apart in the later half as it blends together really quickly here, but all in all this is some prime era material on this and definitely ranks high in their discography if this minor issue doesn’t matter too much. (Don Anelli)

(Relapse Records - 2013)
Score: 80

http://www.facebook.com/ExhumedOfficial

venerdì 24 gennaio 2014

Corpus Diavolis – Entheogenesis

#PER CHI AMA: Black, Immortal, Lord Belial, Belphegor
La band transalpina (Marsiglia) continua la sua decisa corsa verso il massimo della sua espressività con questo ottimo ultimo album di efferato black contornato da mirate sfumature d'avanguardia. L'album parte e procede velocissimo con una batteria al limite del potere umano e una voce molto presente, suoni ed atmosfere tesissime, oscure e demoniache all'inverosimile. Brani devastanti, carichi di pathos nero e taglienti, rasoiate letali e frustate violente che caricano l'aria di decadente elettricità. La carica cinematografica creata intorno e all'interno dei brani, con inserimenti d'atmosfera e strazianti grida stile film horror, rendono il tutto ancora più malignamente piacevole. L'effetto ricorda un po' il carisma che contraddistinse i primi Cradle of Filth, quelli dei primi album, anche se la band suona in maniera completamente diversa, decisamente meno melodica e più rude, mostrando i muscoli più che i denti finti da vampiro. Comunque una buona verve teatrale è presente in dose massiccia e il suono della band ne beneficia a dismisura. Le tematiche sono tutte rivolte alla dottrina oscura e l'artwork di copertina è curatissimo e molto bello, con un'arte grafica occulta e crepuscolare. L'album ottimamente autoprodotto è a livello sonoro di un livello superiore alla media e sfiora in taluni casi la perfezione. Strumenti in equilibrio che risaltano la capacità tecnica dei musicisti, una solista che taglia come una lama e per chiudere, il cd contiene un esaustivo booklet con le foto dei membri della band e i testi delle canzoni. "Sharp Moon Devil's Horns" racchiude in sè tutta la forza dei Corpus Diavolis: epici e violentissimi, ricchi di un substrato thrash con tanto di super assolo sparato a mille ed escursioni psichedeliche con voci di giovani donne in orgasmo demoniaco annesse che si evolvono in "Executors of God", dove la cadenza rallentata e il recitato angosciante tramano una cerchia teatrale degna del più nero dei riti occulti per poi tornare alla tempesta sonica con una ritmica incandescente alla velocità del fulmine. Degna di nota è anche la potente "Karma Convulsions". Un'opera decisamente completa, artisticamente validissima, un lavoro, e lo ricordiamo ancora una volta, autoprodotto, che può far rabbrividire certi lavori usciti su major. Da avere violentemente! (Bob Stoner)

giovedì 23 gennaio 2014

Slick Steve and the Gangsters – S/t

#PER CHI AMA: Rock’n Roll, Swing, Rhythm’n Blues, Swing, Tom Waits
Dalla biografia di questo quartetto bresciano (per tre quarti, dato che il cantante Slick Steve – al secolo Stephen Hogan – è madrelingua inglese) si legge che “il progetto è basato su una consapevole contaminazione artistica tra sonorità vintage e moderne, Swing, Rock’n Roll, Rhythm'n Blues e performance circensi, che spaziano dalla magia alla giocoleria”. A questo punto pare evidente che l’asso nella manica del gruppo debba essere la dimensione live, cosa che si intuisce anche dall’ascolto del loro cd d’esordio (molto curato, così come il loro sito web, per i quali va citata la collaborazione degli artisti di “Stilemio”), intriso di atmosfere ultra vintage, basate in particolar modo sulla personalità straripante del leader e il talento del chitarrista Alle B. Goode, in grado di mescolare blues pre-bellico, swing e rock’n roll primordiale alle parate di New Orleans e agli spettacoli circensi. La voce e lo stile di Slick Steve ricordano in più di un’occasione il primo Tom Waits, quello immerso nelle fumose notti metropolitane (si prenda ad esempio l’incalzante “Lazy Eyed Clown”), mentre i tre bresciani gli costruiscono attorno un groove di tutto rispetto, che a volte sterza verso i caraibi ("Ko Phangam Island"), il surf ("Wasted City") o il jazz dei primordi ("Small Reaction"). Si chiude con la delirante marcetta “Pink Elephants On Parade”, in cui un Tom Waits alle prese con le colonne sonore Disney si fonde al surf sporcato blues degno di Pulp Fiction. Disco molto ben suonato, ben registrato, che fa venire voglia di andare a sentire i quattro dal vivo, senza lasciarti però la spiacevole sensazione di avere a che fare con un prodotto monco quando spogliato del proprio contorno pseudo circense. Divertenti. (Mauro Catena)

Inferno - Omniabsence Filled by His Greatness

#PER CHI AMA: Black, Liturgy, Oranssi Pazuzu, Beherit, Marduk
Uscito per la Agonia Records nel 2013, l'album 'Omniabsence Filled by His Greatness' è l'ultima fatica della band Inferno proveniente dalla Repubblica Ceca. Forte del suo maestoso sound ipnotico, si offre all'ascolto come una full immersion dolorosa in un reame nerissimo e pieno d'insidie. La sua grazia occulta lo eleva dalla massa delle band black del sottosuolo, il suono è compatto e distinto, magmatico, omogeneo e mette in risalto la lunga esperienza della band, la cui prima released risale addirittura al 1996. Le chitarre sono intense e non tutto è finalizzato alla violenza bruta, anzi, possiamo dire che una forte componente melodica genera nell'ascoltatore un contatto diretto con questo album che rapisce per intensità e allucinazione. Una componente di nera psichedelia di casa Oranssi Pazuzu domina incontrastata, anche se il suono è più radicale, oltranzista e vicino ai Beherit o ai Marduk. I brani hanno tutti una lunga durata media che con "The Firstborn From Murk" supera gli undici minuti. Quest'album flirta senza nascondersi con la nuova scuola del post black metal, quella che vuole andare oltre e dare un futuro ed una evoluzione al genere. La cosa che rimane più impressa dopo l'ascolto è l'omogeneità e la compattezza dei brani, che costituiscono l'ossatura di un album da gustare nella sua interezza, che si esalta nelle parti più lente ma che non sfigura in quelle più veloci, pur mantenendo un'ipnosi sonica costante, servendosi di una voce demoniaca carica di riverberi oltre tombali. Un lavoro decisamente ben ragionato, intelligente. Una buona ricerca melodica delle chitarre, una scrittura musicale di tutto rispetto e una sensibilità psichedelica oltre misura, permettono a questa band di toccare vertici di eccellenza introducendo gli Inferno tra le grandi formazioni di psichedelia black, dai Liturgy agli Oranssi Pazuzu. Album consigliato, da non perdere! (Bob Stoner)

(Agonia Records - 2013)
Voto: 75

http://www.facebook.com/pages/Inferno

mercoledì 22 gennaio 2014

Jurica – Distant Memories

#PER CHI AMA: jazz/ambient/experimental, Karlheinz Stockhausen, Brian Eno
Jurica (Jelic) compositrice croata con numerosi lavori alle spalle, ha partorito questo album nel 2012 sotto l'ala protettrice della Alrealon musique. La cosa che più colpisce di questo lavoro è l'affinità compositiva con il jazz d'avanguardia pur parlando di computer music ed elettronica d'ambiente. Il suono è caldo, dilatato, aperto a mille rappresentazioni, ombre ed evoluzioni degne del miglior Eno in sede sinfonica che si uniscono al noise d'ambiente. La fantasia trova spazio e si cela su di un tappeto dal gusto jazz, come se stessimo ascoltando i Weather Report o i Soft Machine risuonati dai Kraftwerk con i suoni di 'Tabula Rasa' degli Einsturzende Neubauten. Il suono è profondo pregno di avanguardia, stravagante, improbabile, non si riesce mai a capire quale sia la direzione intrapresa ed alla fine il computer risulta avere un'anima, gentile, introspettiva e delicata, un robot dalle sembianze umane. Un album che infonde calore, dedicato alle persone che vogliono un suono ricercato ed intimista, quello intellettuale e creativo, vitale, un suono che stimola la psiche con le atmosfere calde della fusion più morbida, della ambient music più esotica e l'allucinazione del dub etnico più estremo. Quasi cinquanta minuti di viaggio interstellare di sola andata sulla luna, la psichedelia funge da astronave e la nostra mente è il passeggero... riusciremo a rientrare alla base sani e salvi? (Bob Stoner)

Oiseaux-Tempête - S/t

#PER CHI AMA: Experimental, Post-Rock strumentale, Ambient
Avevo già avuto modo di entusiasmarmi su queste pagine (virtuali) per l’esordio dei transalpini Les Reveil Des Tropiques, e non appena ho appreso di questo progetto, che vede Frédéric D. Oberland e Stéphane Pigneul – rispettivamente chitarra e basso dei LRDT - collaborare col batterista Ben McConnell, mi ci sono buttato a capofitto, devo dire con aspettative molto alte. E dico subito che le aspettative non sono state affatto tradite, tutt’altro. Da quanto si apprende dalle note biografiche, i tre hanno collaborato con la fotografa e filmaker Stephane C. autrice di fotografie e video che sono stati proiettati in studio durante le registrazioni del disco e in reazione ai quali è nata la musica. Il risultato è un imprevedibile e spiazzante monolite (per un’ora e un quarto di musica) oscuro, in cui flussi post-rock convivono con oasi ambient, field recordings e sfuriate rumoriste in grado di catturare immediatamente l’ascoltatore e proiettarlo in un altro tempo e spazio. Arrivati al termine di “Opening Theme” si è già completamente avvinti e catturati da un suono che sembra quello di un temporale che si avvicina da lontano, esplode e improvvisamente cessa, lasciando tutto nuovo, tutto più pulito. La sensazione che si ricava dall’ascolto è che ognuno dei tre musicisti abbia contribuito alla creazione di quello che stava avvenendo nel momento stesso in cui tutto stava nascendo, plasmando letteralmente una materia che sotto le loro mani diveniva solida, plastica. Le chitarre, di quando in quando liriche e pulite oppure usate per erigere un muro invalicabile (“Call John Carcone"), il basso rotondo, le percussioni potenti e allo stesso modo di stampo free, tutto sembra aver concorso in egual misura alla tempesta perfetta. Il centro focale del lavoro è "Ouroboros": 18 minuti drammatici, solenni, scurissimi; una trama quasi scarnificata per la prima metà, che si fa poi minacciosa nella seconda parte. Il centro di un buco nero che tutto inghiotte. Ma tutto qui è degno di nota, da “Buy Gold – Beat Song”, pulsante di suggestioni wave, al lento incedere cinematico di “La Traversée” e “La Nuage Noir”, che ricordano una versione più rarefatta, ma non meno inquieta dei Dirty Three, fino alle percussioni free di “Kyrie Eleison” E così si giunge al termine, dopo i 12 minuti della spettrale litania ambient “L’ile”, a volerne ancora, mai sazi, di questa energia scura, potente, vitale. Nel caso non si fosse capito, una delle cose migliori uscite nel 2013, senza dubbio alcuno. (Mauro Catena)

(Sub Rosa - 2013)
Voto: 85

http://www.oiseaux-tempete.com/

Sama Dams – No Vengeance

#PER CHI AMA: Indie, Post Rock, Jeff Buckley, Elliott Smith, Radiohead
I Sama Dams sono una band di Portland dedita ad un experimental, avant, indie, noise, post rock come citano sulla loro pagina bandcamp, tanto tanto indie e tanto post rock. I canoni non convenzionali delle strutture dei brani sono supportati da una voce incantevole. Un miscuglio di tonalità tra quella di Jay Aston dei Gene Loves Jezebel, Tom Yorke dei Radiohead e Jeff Buckley. Altra nota positiva è che sono ben raffigurati da una copertina molto indicativa per il genere musicale della band. Anche musicalmente i nostri curano molto l'aspetto emozionale e minimale del suono, una sorta di White Stripes ridotti all'osso e pesantemente riflessivi, senza mai abbandonarsi alla furia rock, restando puri ad una forma intellettuale e astratta di rock lunare, ritmato, ricco di suoni e destrutturazioni. Potremmo giudicare questo loro nuovo secondo lavoro, azzardando l'ipotesi di paragonare 'No Vengeance' all'album che i Radiohead avrebbero potuto fare dopo 'The Bends', se non avessero optato per una svolta più elettronica. Comunque, i tre giovani musicisti statunitensi suonano bene e sfoderano idee originali anche se a volte un po' bizzarre, allucinate e informali. La triade di brani iniziale è assassina, sicuramente da evitare per i troppo emotivi! Progressivamente si toccano lidi che sfiorano il pop d'alto rango e quello a sfondo pastorale, con un vocalist dalle potenzialità eccezionali, una voce irrequieta e affascinante, figlia del già citato Jeff Buckley all'ennesima potenza, velate sfumature jazz rock disossate e carica da musical, suoni di batteria super indie, distorsioni secche e ruvide, il soft noise e le visioni alternative country, l'ipnosi rubata alla musica di Nick Drake ed Elliott Smith. Questo album per i fan dell'indie supera ogni aspettativa e regala emozioni a raffica! Da avere! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 70

http://sama-dams.com/

lunedì 20 gennaio 2014

Dragonhammer - The X Experiment

#FOR FANS OF: Power Metal, Rhapsody, Timeless Miracle
Even though flowery Italian power metal tends to be scoffed at a lot by purveyors of more extreme music within metal, I actually kind of like it as a concept. Because it is referred to as "heavy" metal, some may be under the misconception that anything on the lighter spectrum of things within metal should be excluded due to the lack of the same grit or intensity metal is (apparently) SUPPOSED to have. However, I don't really have this preconception coming into music in general, in fact, I seek out the most delicate and beautiful sounding moments in music I can find most of the time. For this reason, I can listen to Rhapsody (of fire?), Balflare and Timeless Miracle among a few select others from time to time and they don't sound nearly as out of place in their poppy, saccharine splendor as they might for someone who primarily listens to black, death and heavier doom. It's also for this reason that my eventual problem with 'The X Experiment' isn't necessarily that it's too syrupy and flowery; no, my issue is actually that the album isn't quite flowery enough. The underlying structure of the album is well-crafted in its own right. The songwriting isn't anything revolutionary, but it makes sense, and that's probably a little more preferable for me when it comes to power metal. The guitars come out in a clean and clear tone and the bass is actually present, although it never comes into its own enough to be overtly recognized either way. The drums are a tad dry and clinical, but it never gets to the point where it really starts to annoy you. On the whole, this album is well put together; sure, there are a lot of references to common songwriting tropes of Italian power metal but, well, this is Italian power metal. What exactly were you expecting? This stuff is about refining and perfecting what's already there, not reinventing the wheel. The cliched nature of the album only becomes a hindrance to its quality when there's no speed and overblown energy to supplement the riffing, and Dragonhammer will only play something of a significantly faster tempo to either provide an enticing (and misleading) introduction, close out a song, or segue into a solo. The riffs frequently sound as if they're struggling to keep up with the drums and/or keyboards and often seem to have to resort to more simplistic riffing measures as a result. A good deal of the meat riffing in the verses is comprised of monotone tremolo with no extra dimensions to it. I'd like to say to say the melodically pleasing but sometimes trite and cliched guitar leads are just the result of an older guitarist comfortably playing below his skill level, but having not heard any of this band's previous albums, These songs don't make me very confident he has the chops to perform anything more intricately composed than 'The X Experiment' to begin with. The extensive focus on slower balladry and ominous, thorough intros by the keyboards into the choruses and solos makes the idea that this album is guitar-based come into question. When you stop making riffs the main feature of my metal, you're gonna start to run into some problems. Fortunately, the keyboards are handled well enough that Dragonhammer can get away with the guitars residing more in the shadows than a listener of this style might be accustomed to. They often provide much more to grasp at in terms of melodies with texture than the guitars do; just examine the beginning of "Escape" to see an example of this. The keyboards will often play the primary melody while the guitars become the rhythmic base. The reliance on the keyboards to carry the songs was a good decision to make, because the verses they craft are much more listenable and memorable than anything the guitars can put out. It's because of these keyboards that some of the choruses on 'The X Experiment' do get stuck in my head from time to time, although saying that they're the only thing making the album catchy would be giving not nearly enough credit to the vocalist. Over the time I've listened to this album, I've gone from thinking he has some good qualities to considering him outright awful to having some sort of weird fascination with his vocals to finally just considering him quirky and interesting but with a few really evident flaws. The natural rasp and vibrato that comes with his voice gives him a bit of character, but he's also really noticeably flat, especially when he goes into his higher register and lets out a wail that necessarily has to be at proper pitch to have its proper effect. Being consistently a half-step underneath the note he's trying to hit, a lot of Max Aguzzi's "big moments" on this album can fall flat as a result. The fact that I know they're supposed to be big moments is a result of good songwriting, but the choruses that get stuck in my head aren't always memorable for the right reasons. Sometimes the vocals stand out because his tone was significantly off, or perhaps it's because of his thick accent and odd lyricism. If we were being true to the pronunciation of the title in the actual song, this album would be titled 'The Sperimen Hex'. It's part of the reason Aguzzi has a somewhat adorable personality as a vocalist, but it also makes it much more difficult to take this album seriously. It's hard not to endlessly flip-flop when it comes to my enjoyment of this album. It's quite the infectious little bugger, but there's just not enough skill and personality present in the music to make it last and the honest enjoyment of the album can be somewhat deterred by how cheesy it is. If you can't get enough sappy ballads and galloping chugs in your life, you'll find 'The X Experiment' quite satisfying as it's a very professionally done album, but I can't bring myself to wholeheartedly recommend this to any group of people other than that. (RapeTheDead)

(My Kingdom Music - 2013)
Score: 50

https://www.facebook.com/dragonhammer

Ashes of Chaos – Eye

#PER CHI AMA: Progressive Avantgarde, Ihsanh, Pain of Salvation, Devin Townsend
Bella la prima prova della band riminese che esordisce con questo full lenght intitolato 'Eye', uscito per la logic(il)logic records nel 2013. La band irrompe di peso negli ambienti prog metal con buona verve, idee giustamente ricorrenti nel genere e con qualche velo di novità, tanti variegati innesti che toccano anche il funk ("Ashesh of Chaos"), tempi reggae e astratta opera cabarettistica ("Atmosfear part II") fino ad entrare in alcune parti nel black metal melodico e sinfonico. Sarebbe riduttivo accostarli solo al filone dei Dream Theater, poiché nella band coesistono anime di diversa natura e non tutto è votato al virtuosismo, anzi possiamo dire che la band punta dritto al cuore con fantasia e destrezza utilizzando una tecnica sopraffina. L'anima metallica è riconducibile ai Megadeth per pulizia nei riff più thrashy e per la velocità, oltre che per la straordinaria somiglianza vocale del cantante nelle parti aggressive, mentre quella melodica, con sonorità più malinconiche e space derivate dal prog di certi Marillion e dai gloriosi Goblin che rendono tutto oscuramente affascinante. Altro fattore notevole, la buona prova del vocalist sul pulito, un concentrato di Rush e Leprous, la cui performance amplia di molto gli orizzonti canonici verso nuove idee in stile Pain of Salvation e Leprous stessi. Comunque a far la differenza è il lato melodico/tecnico/compositivo che si eleva per epicità, teatralità, corposità e magnificenza sonora con evoluzioni tastieristiche/chitarristiche che non verranno disdegnate dagli amanti di Planet X, Transatlantic o Devin Townsend Project, ovviamente tutto da immaginare con un' attitudine molto molto più heavy. La parte più violenta di questa sfera magica è data da iniezioni di melodico black metal sulla scia di band dal carattere aperto e sperimentale sulla scia di Ihsanh (vedi l'album 'The Adversary') o Die Apokalyptischen Reiter ed evoluzioni prog/ power sulla falsa riga dei Symphony x o Balance of Power oppure le cose più recenti degli Helloween. L'album nella sua totalità è fluidissimo e variegato con disseminati momenti di calma apparente dominati da un gran cantante. Tanta e tanta carne al fuoco, preparata con perizia e professionalità e una lucida capacità compositiva che va oltre i normali standard (nel brano di chiusura dal titolo "Rinascita" la band si cimenta nel cantato in madre lingua con un risultato decisamente inferiore alla media dovuto al difficile uso dell' italiano, ma ciò non compromette la bellezza dell'intero lavoro). Tassativo non farsi scappare questo ottimo lavoro! (Bob Stoner)

(Logic(il)logic - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/pages/Ashes-of-Chaos

Alice Tambourine Lover – Star Rovers

#PER CHI AMA: PJ Harvey, Alternative, Blues
Ma quanto erano bravi gli Alix? Per gli orfani dell’ottima psych rock band bolognese, e anche per tutti coloro sempre alla ricerca di musica pulsante di vita, arriva il secondo lavoro degli Alice Tambourine Lover, duo composta da Alice Albertazzi e Gianfranco Romanelli, che degli Alix erano rispettivamente voce e basso. 'Star Rovers' è un album scarno nella strumentazione quanto ricco di suggestioni, che basa tutto su pochi, granitici elementi: una voce splendida, un solido songwriting e un suono caldo, avvolgente, pastoso. E cominciamo proprio dal suono, scarnificato, ripulito, alleggerito, ma mai “povero”. Le atmosfere elettroacustiche sostenute da eleganti chitarre bluesy e un onnipresente tamburello a scandire il tempo, rimandano spesso e volentieri, soprattutto per il modo di cantare di Alice, alla PJ Harvey meno arrabbiata e più roots, come nell’iniziale “Digging This Song”, che potrebbe essere una outtake di "To Bring You My Love", oppure nella sognante “Dreams Slip Away”. Altre volte a emergere è l’anima blues della calda slide di Romanelli, come quando sporca appena i delicati intrecci acustici della splendida “Falling Deep Inside”, impreziosita da un Ukulele che sembra un violino pizzicato, o quando punteggia “Gipsy Mind”, cantato assieme al tedesco Conny Ochs, o la sostenuta “Temptation”. Proprio in pezzi come questo, o “Between the Cup and Lips”, si avverte forse la mancanza di percussioni un po’ più “presenti” del solito tamburello, marchio distintivo del suono del duo (che d’altronde ne decreta l’amore già dal nome), ma che rischia di suonare un po’ ripetitivo. Comunque ci troviamo di fronte ad un lavoro notevole e godibilissimo, in grado di confrontarsi con nomi ben più altisonanti nel panorama internazionale. Un unico commento: sarei davvero tanto curioso di sentire Alice Albertazzi alle prese con testi in italiano. Chissà che i due non lo prendano in considerazione, in futuro. (Mauro Catena)

Round7 - United Kids

#PER CHI AMA: Hardcore Newyorkese
I Round7 tornano un mini EP a due tracce, praticamente 1 euro ciascuna per far fronte alla crisi globale e della musica. Autoprodotto e registrato in sale prove, 'United Kids' arriva probabilmente per non far passare troppo tempo dal precedente 'Dedicated to Nyhc' e il prossimo full lenght. I cinque minuti abbondanti di contenuti sono ovviamente pochi per una recensione a 360 gradi, ma permettono di apprezzare la band e il loro lavoro che non si è fatto fermato, anzi. Viene confermato il sound in puro vecchio stile hardcore newyorkese con tutta la sua violenza e velocità che lo contraddistingue e la registrazione volutamente fai da te enfatizza lo stile di questo genere. Sanguigno, senza tanti fronzoli. Il brano che da il nome all'EP è una corsa forsennata fatta di riff di chitarra ultra carichi, batteria fulminea e basso che fa scintille per star dietro a così tanta energia. L'evoluzione a livello compositivo è evidente e dimostra che il progetto Round7 non è nato per perdere tempo in sala prove, ma per produrre qualcosa di concreto e mirato, nonostante un concept HC sia difficile da proporre, soprattutto in Italia. "2013" dura il tempo di un respiro, ma preannuncia una sperimentazione più ardita nel settore chitarre, che prende da generi come il metal e impreziosisce gli arrangiamenti, dando carattere e personalità al brano. Last but not least, la collaborazione del nuovo batterista porta linfa vitale e da quello che si può intuire, i Round7 non si vogliono fermare. Manco per sogno. (Michele Montanari)

(Self - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Round7hc

domenica 19 gennaio 2014

Lifewoven - Dreadnought

#FOR FANS OF: Black Jazz Progressive
Dreadnought is a Denver (CO) band that can best be described as psychedelic jazz/prog-metal fusion. Between frequent drum rim shots and ride cymbal, odd time signatures, clear vocal harmonies that at first hearken to Jon Anderson and Chris Squire in Yes which in the next second they morph into something far more tense and foreboding. Classic rock influences poke their heads though occasionally and briefly--with organ textures reminiscent of Keith Emerson and Jon Lord (Hammond B3) making furtive cameos. Flute melodies on top of power chords meld into sections with black metal vocals which segue into instrumentals leaning into prog-rock territory when suddenly, trumpet solos erupt. Lifewoven can be reflective and jazzy with rock undercurrents one moment and with demonic vocal howls overlaying the song the next. For listeners who like progressive and jazzy elements mixed with rock and metal, I suggest you give this a try. I've yet to find anything quite like this, but it does grow on you. The musicianship is top notch, as the members of Dreadnought take you on emotional and mental voyage, as they explore elements of multiple genres with each song movement, while making the synthesis and evolution of each song somehow sound natural. There are five songs on this release, each with a single-word title: "Nascence", "Lift", "Deluge", "Utopia", "Immolate" and "Renaissance". The shortest song, "Immolate" clocks in at just under five minutes, the longest, "Deluge" at almost thirteen-and-a-half. A lot of emotions and feelings are explored on "Lifewoven". It's a musical journey that is well worth taking. (Bob Szekely)

The Pit of the Damned Vol. 1


Online, the first compilation of The Pit of the Damned: 80 minutes of stoner/punk/post sounds

giovedì 16 gennaio 2014

Mournful Gust - For All the Sins

#PER CHI AMA: Death Doom Gothic, Tristania
A distanza di tre anni (ma allora si trattava di una compilation), ritroviamo sulle nostre pagine il granitico impasto sonoro degli ucraini Mournful Gust, band dedita ad un death doom stillato di venature gotiche. Come da copione per il roster BadMoonMan Music e Solitude Productions, è d'obbligo trovarsi fra le mani un esempio di musica che faccia di riff pesanti e growling da orco, il suo verbo. I Mournful Gust provano a togliersi di dosso questa insulsa e grigiastra patina di grigio e ci offrono un qualcosa che prova a prendere le distanze da quanto descritto sopra. Diciamo che alcuni degli elementi appena citati, ancora permangono nel sound evoluto di 'For All the Sins': "Sleeping With My Name" è la lunga opening track in cui ritroviamo il growling cattivo, qualche bel riffone pesante, ma anche splendide ariose aperture melodiche che scongiurano la possibilità di stroncare immediatamente il disco causa carenza di idee. Il ruolo fondamentale, per evitare questo spiacevole epilogo, è svolto dalle tastiere di Stanislav Mischenko e dal flauto di Inna Esina, che ci consentono di godere di suoni più raffinati e meno scontati. Certo che se poi vi faccessi ascoltare "Keep Me Safe From The Emptiness", senza dirvi di quale band si tratti, vi sfido, offrendovi 50 possibilità per indovinare quale band stiamo ascoltando. Eccolo forte quel senso frustrante di già sentito e risentito, prima che una serie di effettistica cibernetica e una voce pulita, mostrino una via d'uscita ai nostri che si stavano cacciando nell'ennesimo vicolo cieco. Ecco diciamo pure che 'For All the Sins" soffre di questa grave mancanza; mi spiego meglio. I suoi lunghi brani (meglio se la prossima volta stringiamo un po' i tempi) soffrono di palesi limiti di voler o dover stare all'interno di un tracciato sonoro dettato dal genere. Questo mi sfianca e innervosisce facendomi talvolta annoiare. Fortunatamente in soccorso dei nostri arrivano delle intuizioni che rendono molto più gradevole, addirittura entusiasmante il suo ascolto. Un break di basso (ascoltare "Falling in Hope" per capire meglio), l'utilizzo quasi pop rock delle sensuali vocals pulite, delle eteree voci femminili ("Until I'm Bright" o "Your White Dress"), un magistrale assolo o un break di violino, partecipano in coro alla buona riuscita di un lavoro che per un attimo ho temuto di dover stroncare ingiustamente. Buon come back discografico, anche se dopo cinque anni era forse lecito aspettarsi qualcosina in più. (Francesco Scarci)

Deprecated - Deriding His Creation

REISSUE:

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal, Suffocation, Broken Hope
One of the most legendary and important releases in the history of brutal death metal, this four-song EP is still held in high regard by the majority of old-school metallers from the scene’s birth. The most glaring option about this album is that it’s far more technical than expected, as there’s a slew of complex rhythms and patterns at play within this, not just from the blazingly-fast guitars but the bass as well which has a few dynamic areas within the music to showcase it’s chops effectively. Of course, the drumming is the real key here as there’s just absolute devastation left after this one gets going, filled not just with complex patterns and blastbeats but also managing to roll throughout the different tracks with a reckless disregard for the number of hits being played on the kit, giving the music an extra intensity and speed that doesn’t come naturally in the genre. Top it off with the ever-familiar gorilla-grunting and pig-squeal vocals that permeate the genre and this is a rather impressive outing in the genre. The opening title track absolutely slays with dynamic waves of technical drumming, tight riff-work and a dedication to pummel all who stand in the way that there’s no let-up at all in the pace or tempo here as it just flat-out rips with ruthless aggression throughout. Follow-up "Mentally Deprived" is just as good with even more dynamic technicality displayed with some absolutely ferocious break-downs as the tight, swirling guitars buzzing in complex variations throughout with absolutely pummeling drum-work. "Realization of Betrayal" and "Induced Deception" really flow together in much the same way, dazzling technicality for the genre matched with devastating drumming, tight patterns and vicious rhythms that don’t really match the speed or urgency of their counterparts on the first half of the disc, but the brutality within still holds up to this day and they remain one of the more important acts in the genre as this one release attests to. (Don Anelli)

(Unique Leader Records - 2013)
Score: 75

https://www.facebook.com/DeprecatedUSA

lunedì 13 gennaio 2014

Ludovik Material – Passion For Red

#PER CHI AMA: Elettronica/Alternative
Non è mai un buon segno quando, dopo aver finito di ascoltare un cd, l’unico brano che ti va di riascoltare è quello intitolato “Intro”. Non è un brutto disco, quello licenziato da questo trio sloveno. Non in termini assoluti, almeno. Lavoro curato, tanto nei suoni, quanto nella sua presentazione (è sempre un piacere avere tra le mani un cd dal libretto “ciccione”), ma quello che non riesco a capire è dove i tre vogliano andare a parare. Quello di mescolare la musica elettronica e punk-rock è un gioco non più nuovo da una ventina d’anni, e tali e tante se ne sono sentite nel frattempo, da rendere davvero difficile rimanere impressionati da operazioni del genere, soprattutto se gran parte della scaletta ha un retrogusto piuttosto stantio. Ecco quindi che, dopo la Intro strumentale che fa il verso, senza da fastidio, a Stone Roses e Primal Scream, arrivano brani come “Passion for Red”, “Made In”, “Vecérni Program”… , un tantino ingenui e grossolani nell’accostare ritmiche dance e voci femminili pseudo sexy e un po’ caricaturali (avete presente la Gerini nei panni di Iris Blond?), starebbero bene in un film ambientato nella Berlino del 1990, ma sinceramente sono difficilmente digeribili oggi. Gli episodi migliori e più convincenti arrivano da metà disco in poi: sono quelli in cui la ritmica rallenta, la voce si fa meno enfatica e le chitarre si sporcano di feedback e riverberi, come nella malsana “Gun” o la sinuosa “Come”, trovando il vertice nel crescendo poderoso di “Heart for Sale”. Lavoro buono per metà e voto che è la media tra una prima parte fiacca e deludente e una seconda decisamente più interessante. Curioso (senza particolari patemi, però) di seguire le evoluzioni future. (Mauro Catena)

domenica 12 gennaio 2014

Poema Arcanus - Transient Chronicles

#PER CHI AMA: Death Doom Dark, My Dying Bride, Type o Negative
I cileni Poema Arcanus sono dei veterani del death doom e questo 'Transient Chronicles' rappresenta ormai il quinto album per la band sudamericana, che seguo sin dai loro esordi, che risalgono addirittura al 1992. Dopo tanto peregrinare tra un'etichetta e l'altra, i nostri (spero) posssano aver trovato una certa stabilità con la regina delle label dedite a questo genere, la Solitude Production, che ha il merito di ristampare un lavoro originariamente uscito nel 2012. Forti di una distribuzione mondiale, speriamo che i nostri possano godere anche di un palcoscenico più ampio per farsi conoscere. La proposta del quartetto di Santiago non si scosta così palesemente dal passato, continuando a tenere nel proprio mirino i soliti nomi, i primi My Dying Bride e i Novembers Doom, su tutti. La voce è cavernosa (ma spesso anche pulita) sin dall'iniziale "Us, Those Half Dead", con un rifferama non troppo monolitico; mi sembra di aver percepito infatti un desiderio recondito di provare ad uscire dagli schemi di un genere che, giorno dopo giorno, si sta attorcigliando su se stesso, causando una sua progressiva e irreversibile involuzione. La seconda "Stream Of Debris" è melodica e il suo lento ed epico incedere strizza l'occhiolino anche ai Candlemass. Tuttavia anche quando la voce di Claudio prevale nella sua veste più brutale, la musica dei Poema Arcanus, non sembra essere cosi granitica come in passato, preferendo una serie di suoni che si muovono nell'ombra; provate voi ad immaginare una danza di una debole fiammella dietro ad un paralume e avrete una minima idea della linea sonora dei Poema Arcanus. Vi dirò che la cosa non mi dispiace, perchè, seppur il sound mantenga ancora delle ingenue e talvolta scontate linee di chitarra, il suo ascolto rischia talvolta di rendere 'Transient Chronicles' un più che valido lavoro; se poi considerate che in certi frangenti la musica ha rievocato nella mia mente, udite udite, i Type o Negative, potrete certamente capire la mia positività. Belle le melodie di "Fugitive" o l'ispirata tribalità di "Inquilinos", song che rischiano di diventare noiose esclusivamente quando l'act sudamericano prova a pestare maggiormente sul pedale dell'acceleratore, nel tentativo di aumentare la pesantezza della loro proposta. Non so se i Poema Arcanus abbiano trovato una nuova formula, fatto sta che 'Transient Chronicles', pur non inventando nulla di nuovo, ha suonato per un po' (e con piacere) nel mio hi-fi, segno del tentativo forte dei nostri di tirarsi fuori dalle sabbie mobili putrescenti del death doom. Un piccolo ma apprezzabile passo in avanti. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PoemaArcanvs

sabato 11 gennaio 2014

Pas Musique - Abandoned Bird Egg

#PER CHI AMA: Elettronica Sperimentale, Gary Newman, Throbbing Gristle
Pas Musique è un collettivo musicale inventato e guidato dalla mente di Robert L. Pepper, nato nel 1995 ed 'Abandoned Bird Egg' è la loro ultima fatica licenziata ovviamente dalla Alrealonmusique, etichetta che cura tutta una serie di musiche e progetti legati all'elettronica più sperimentale e alla ricerca espressiva alternativa. La band di Brooklyn si divide tra sonorità esotiche e suoni tratti dalla rumoristica/elettronica d'avanguardia più ricercata e destrutturata. In alcuni momenti sembra di ascoltare gli Ozric Tentacles più commerciali, slavati e trattati in acido mischiati ai Banco de Gaia con una collocazione etnica rivolta allo spazio infinito. Non è facile introdurre questo lavoro, la musica è una sorta di chill out per outsider bionici, misantropi virtuali amanti di un'elettronica di confine con ritmiche appena sussurrate e umori/ rumori che incalzano ovunque, rendendo introspettivo e impegnativo il viaggio. A volte surreale, a volte tanto minimale che potrebbe essere una colonna sonora di un monolitico film di Kubrik... Così, fantasmi, mostri, cure psichiatriche e delizie afrodisiache si materializzano progressivamente durante l'ascolto del cd. La difficoltà nel definire questa esternazione elettronica di umori umani è paralizzante ma nulla ci toglie il piacere di esserne delicatamente attratti e sedotti. Dieci brani da inserire nella vostra giornata più astratta e inconsistente, un non senso sonoro che nasconde un fulcro legato ad una forma d'arte primordiale, l'arte di esternare radicalmente i propri sentimenti tramite rumori e suoni... "Dark Canopy" è una chicca, ricca di tanti suoni rubati alla new wave, al dub di Jah wobble, alla Trance music, al Drone/ambient/rumoristica rivista e trasportata in ambienti ultraterreni. Il suono di 'Abbandoned Bird Egg' è come uno stralunato Gary Newman dopo una sbronza, torturato da una macchina extraterrestre fanatica di Throbbing Gristle, oppure, una versione candida e minimale di Wolf Eyes senza la vena maligna... (Bob Stoner)

(Alrealonmusique - 2013)
Voto: 65

Vos – Remaining

#PER CHI AMA: Ambient Black sperimentale, Khanate, Sun o)))
Questo album autoprodotto della band denominata Vos di cui non abbiamo notizie, è la forma più raccapricciante e oscura dell'allucinazione perfetta. Un nero viaggio sul confine della paranoia più nera, un'evasione depravata dalle regole umane, una contorta dimostrazione di come si possa spingere il concetto di avanguardia black metal senza remore o paura di nuocere agli altri. Rumori provenienti dall'oltretomba, una chitarra costantemente e deliziosamente in feedback e una voce devastante e infernale niente di più. Sei brani dove il metal d'avanguardia dei Khanate e le sperimentazioni super doom di Sun O))) si scarnificano fino alla privazione della sezione ritmica. L'uso costante del feedback estremo, memore dei primi rumorosissimi Jesus and the Mary Chain, serve a creare brani al limite della sopportazione, al limite dell'accettazione sonora da parte della nostra morale. Un parto assassino che per i più risulterà indigesto ma che comunque mostra una virilità musicale estremamente convincente. I tre minuti e mezzo circa di "A Spider Bites the Thief" ci offrono una tregua con una solitaria chitarra limpida e notturna, pulita, coinvolgente e drammatica per ricadere nel brano a seguire, in una catarsi sonica composta da un'unica chitarra in preda alla misantropia. Screaming atroci e malati in lontananza, una lugubre colonna sonora perversa. Diciannove minuti di oltretomba sonico. Sicuramente inconcepibile ma estremamente affascinante! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/VosUSBM