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mercoledì 27 febbraio 2013

Vyrion - Vyrion

#PER CHI AMA: Black Death Progressive, Enslaved, Ne Obliviscaris
A volte mi domando come mai in Italia nessuno prenda in considerazione le ottime ma sconosciutissime band che popolano gli anfratti più oscuri del pianeta. Tanto per cambiare, la segnalazione di oggi, ci dirige verso la mia amata Australia, Brisbane per l’esattezza, la bella e intrigante città (dove ho fatto mambassa nell’acquisto di cd) da cui arriva questo quartetto dedito ad un infervorato e intelligente death black progressive. Partendo da un punto di vista estetico, come sapete, ho un debole per i digipack, quindi già visivamente, il debut del combo australiano, solletica il mio palato. Infilato poi il cd nel lettore e dopo la consueta canonica intro, fa la sua comparsa il timido sound di “Ever-Rising Platform”; guai però a farvi ipnotizzare e ingannare dal suo delicato incedere, perché ben presto là, dietro l’angolo, farà la comparsa un arrembante sound che propone la personale visione del mondo estremo, di questo giovane stravagante ensemble. E quale visione… Questa mia affermazione vuole giustificare infatti la direzione stilistica dei nostri, ossia ripercorrere, a modo proprio, le gesta dei mostruosi Enslaved, con tutte le dovute differenze del caso e quant’altro, per carità. Ma per favore, non soffermiamoci oltre e andiamo ad ascoltarli questi pezzi, che con “Mortal Frame” mette in luce un’inusuale mix tra ritmiche brutali e brillanti aperture dal flavour puramente rockeggiante, grazie all’ottimo lavoro alle sei corde del duo formato da Mark Boyce e Dale Williams. Il buon Dale coadiuvato da Chris Cox, pone in evidenza un certo ecclettismo dietro ai microfoni, ben udibile in “The Decider” o nella splendida e stralunata “Disengage”, in cui la gamma vocale della band passa dal gracchiare di Chris, (da migliorare notevolmente), alle ottime clean vocals di Dale, che invece mi hanno ricordato più da vicino, quelle dei connazionali Ne Obliviscaris. Le potenzialità ci sono e anche di una certa rilevanza, senza ombra di dubbio. Di sicuro ci sono ancora certe sbavature da limare, magari una ritmica talvolta fin troppo confusa (“The Silence” ne è un esempio) o che tende addirittura a sovrapporsi a quelle linee di chitarra che esulano completamente dalla musica estrema. La produzione poi non agevola la pulizia dei suoni e talvolta si fatica a percepire quali genialate i nostri vorrebbero trasmettere. Altri difetti che colpiscono questo album omonimo sono certi passaggi a vuoto, in cui il death brutale si incontra e scontra col black epico o atmosferico, lottando ferocemente per il dominio sulla specie ma togliendo i punti di riferimento a chi ascolta la musica dei nostri. Insomma per concludere, pur non avendo capito se siamo al cospetto di una band black o death, posso dire senza esitazione che i Vyrion siano un gruppo davvero di belle speranze, che sotto una guida esperta, potranno davvero dire la loro nel panorama metal mondiale. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75

http://www.vyrion.com/

Dies Ater - Hunger for Life

#PER CHI AMA: Black Symph., Emperor, Rotting Christ
Ad un primo superficiale ascolto ,ho pensato che i teutonici Dies Ater avessero virato il loro selvaggio black metal, verso lidi più avanguardistici, per dire più vicini alla produzione dei primi Arcturus. L’ascolto di “Blutpfad” infatti, è stato abbastanza fuorviante in tal senso, con una ritmica furente spezzata da splendide aperture sinfoniche e da delle vocals, molto vicine a quelle pulite del buon vecchio Garm. Con le successive funamboliche tracks, riemerge ahimè forte l’influenza del passato, con pezzi che già dalla traccia omonima, tornano a coniugare il black melodico, figlio del trend scandinavo capitanato da Emperor e dai primordiali Dimmu Borgir, con oscure sonorità mediterranee, anzi di Grecia per l’esattezza, un po’ come già era accaduto in occasione del precedente “Odium’s Spring”, dove forte era l’eco dei Rotting Christ. Il risultato alla fine risulta genuino un po’ come accaduto in passato, con i nostri a proporre la loro consueta ricetta berlinese, fatta di riffoni belli tirati, uniti a sinfoniche, ma mai troppo ruffiane, aperture di tastiere, parti più rallentate (si ascolti “Banisher in Times of Light” per esempio o l’enigmatica “Edge to Oblivion”), il tutto condito dalle classiche harsh vocals di Nuntius Tristis. Se poi i cinque diavoli di Berlino si mostrassero con un maggiore tocco di personalità, questo non guasterebbe di certo; avrei infatti provato a seguire la traccia segnata da “Blutpfad” anche per il resto delle song qui contenute, magari sarei qui a parlare in altri termini di un lavoro che ha la sola pecca nel fatto che verrà certamente dimenticato alla velocità della luce. Insomma della serie belle le sonorità, ma dopo un po’, il senso di già sentito rischia di diventare stucchevole. Coraggio ragazzi, avete fatto la storia nell’underground tedesco, cerchiamo di non cadere nell’apatia di un passato che fu… (Francesco Scarci)

(Obscure Abhorrence Productions)
Voto: 65

https://www.facebook.com/diesater

Tardive Dyskinesia - Static Apathy in Fast Forward

#PER CHI AMA: Math/Djent, Meshuggah, Textures, Tesseract
Quando penso alla musica greca, mi vengono in mente piatti rotti, cembali e balli grotteschi. La sorpresa nell'ascoltare questo quintetto ellenico al loro terzo album, quindi, è stata grandissima: un mix perfetto tra la poliritmia della scuola dei Meshuggah e le atmosfere più elaborate dei Textures o dei Tesseract, con l'aggiunta di un tocco personale che ho trovato davvero interessante. C'è energia, c'è molta tecnica, c'è groove, c'è velocità, ci sono ampie parti strumentali e la produzione è di ottimo livello. Rispetto ai Meshuggah, tuttavia, ci sono delle armi in più: la maggiore varietà nelle scelte di bpm dei brani, i colori della voce dell'ottimo Manthos (che non disdegna alcuni interventi melodici e in certi cori ricorda alcuni interventi orchestrali degli Strapping Young Lad) e i suoni delle chitarre, senz'altro più caldi e meno digitali del quintetto svedese. Il disco si apre con "Empty Frames", una delle mie preferite dell'album: l'intro è un capolavoro di poliritmica, una vera dichiarazione d'intenti riguardo lo stile dell'intero disco. "The Chase Home", dopo tre minuti di pattern variopinto, chiude con un riff violentissimo. "Smells Like Fraud" lascia spazio ad un cantato più melodico, che ritroviamo anche nei ritornelli di "Time Turns Planets", sorretta però da un riffing intelligente e perfettamente costruito. "Prehistoric Man" è costruita su riff a singhiozzo che pulsano come una ferita aperta, fino all'esplosione dello splendido assolo centrale e all'evocativa parte melodica finale. C'è tempo per prendere fiato con "Indicator", dove un sax si arrampica per scale impossibili su accordi distorti di chitarra. "Circling Around the Unknown" e "We, the Cancer" giocano entrambe sul contrasto tra ritmiche veloci e progressioni melodiche. La canzone più breve del disco, "Failed Document" è un intenso esercizio ritmico costruito sulle terzine che preannuncia il gran finale con "Limiting the Universe": quasi sette minuti in cui i Tardive Dyskinesia raccontano al meglio tutto ciò che sanno fare, spaziando da parti dissonanti a riffing veloci, senza tralasciare ritornelli melodici corali e un finale ambient in stile Tesseract. Un disco ben fatto, che dimostra pienamente la lucidità e le idee chiare dei Tardive Dyskinesia, che hanno saputo prendere il meglio del math metal e colorarlo con un'ampia varietà di interventi personali. (Stefano Torregrossa)

martedì 26 febbraio 2013

Distorted - Memorial

#PER CHI AMA: Death/Progressive, The Project Hate, Dark Tranquillity
Premesso che di questa band non so praticamente nulla e in internet non sono riuscito a reperire molte informazioni, vi posso dare in breve quelle che sono state le mie sensazioni all’ascolto di questo disco. Appurato che si tratta di un combo israeliano che ha registrato l’intero lavoro in Svezia (mah...), di primo acchito mi è venuto da accostare la band agli svedesi The Project Hate, per quel loro approccio progressive fatto di musiche iper-tecniche, voci femminile contrapposte ai tipici grugniti maschili. Analizzando più in profondità l’album, si possono scorgere poi altre interessanti influenze, derivanti dallo stupendo “Mabool” dei loro conterranei Orphaned Land, con quei giri di chitarra che richiamano melodie mediorientali, le quali rendono, come dire, più esotica, la proposta dei nostri. Ma questi giovani israeliani devono amare profondamente anche lo swedish death, in particolare “The Gallery” dei Dark Tranquillity, che deve aver influenzato non poco la stesura di questo discreto “Memorial” (certo che potevano scegliere anche un altro titolo meno inflazionato), così come pure sono udibili influenze derivanti dagli Opeth. La vocalist invece deve aver preso lezioni di canto dalla nostra Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, per la similare impostazione vocale, in complesso più che discreta. Comunque sia, i Distorted nelle nove tracce ivi incluse, ci propongono un death di discreta fattura, fatto di ammiccanti aperture melodiche, eteree vocals femminili e infernali growls. Piacevole uscita, anche se la sua emivita sarà assai breve, come sempre meglio gli originali... (Francesco Scarci)

(Frontiers Records)
Voto: 70

http://www.myspace.com/distortedband

Doomed - In My Own Abyss

#PER CHI AMA: Death Doom, Hooded Menace, Evoken
Seconda release ma esordio sotto Solitude Production per questa one man band tedesca che si affaccia sul troppo affollato e piatto mare del doom metal più estremo, con un nome poi che non è certamente d'ausilio. Al primo sguardo, l'artwork sulfureo emana un'aurea sciamanica e tribale che a contrasto con il font in stile cirillico, quasi illeggibile, rende agitato lo sguardo di quest'opera. Venendo al sound dei nostri, le tracce si salvano dalla normalità compositiva, o per meglio dire, sono normali perché sono scritte decentemente. Nonostante la musica cerchi di rispecchiare una qualsiasi tradizione old school, con tanto di vocals profonde e melodiche, l'album si regge grazie all'imponente muro sonoro innalzato dalla sezione ritmica, e qui si nota una vena personale non indifferente, grazie alle parti in pulito ed all'inserimento di una carica groove che accompagna l'ascolto abbastanza piacevolmente, anche se, per quanto mi riguarda, non ho troppo apprezzato perché ritenuto un escamotage per sorvolare certe ovvietà delle strutture compositive. Un disco che fa tuttavia trasparire qualche raggio di luce in fatto di originalità, la base c'è, bisogna solo rischiare, soffrire e immergersi un po' di più nel buio. (Kent)

lunedì 25 febbraio 2013

Amily - To All In Graves

#PER CHI AMA: Gothic Doom, Symphonic Metal, Draconian, Nox Aurea
Non c'è molto da dire riguardo il debut degli ucraini Amily, band che esordisce per la Solitude Production con un gothic doom colmo di sinfonie, una combinazione fin troppo abusata nel corso degli anni e degli ultimi tempi. Già dalle prime due tracce si capisce però che c'è qualcosa che non quadra, la musica non è ben amalgamata, si presenta il desiderio di far trasudare dolore e gotico romanticismo senza però provarci veramente, a questo si aggiungono anche delle sonorità sintetiche che fanno perdere del tutto l'atmosfera che il duo ucraino vorrebbe e dovrebbe suscitare. Nonostante la presenza di un growl notevole attiri l'attenzione, il disco si presenta tremendamente piatto ed anonimo, con le orchestrazioni operistiche che dovrebbero arricchirlo e renderlo interessante, ma che in realtà generano l'effetto contrario, raffreddando apaticamente le composizioni, che finiscono per annoiare con la loro semplicità. Suggeriamo a questa neonata band di lavorare molto nel prossimo periodo, per farsi trovare molto più preparata e con personalità, alla loro prossima release. (Kent)

(Solitude Production)
Voto: 55

http://amily.bandcamp.com/album/to-all-in-graves

sabato 23 febbraio 2013

Syd Arthur - On And On

#PER CHI AMA: Canterbury Sound, Neo Psichedelia, Progressive Pop, Folk
Ma che ci mettono nell’acqua, a Canterbury? Dopo aver ascoltato questo esordio sulla lunga distanza di questo quartetto (contrariamente a quello che avevo pensato subito, Syd Arthur è il nome del gruppo, non di un solista) proveniente proprio dalla cittadina inglese, viene proprio da chiedersi che cosa ci sia di così speciale da quelle parti, che già hanno visto il fiorire di una scena ricchissima di talenti musicali, tanto che si ricorre ancora a oggi a termini quali “Canterbury sound” per definire quell’irripetibile ibrido di rock, jazz, pop e prog declinato a cavallo tra anni 60 e 70 da gente come Soft Machine, Caravan, Hatfield and the North. E proprio lì, in quei luoghi e quelle suggestioni, sembra affondare il suono dei Syd Arthur, magnifico connubio di splendide intuizioni pop e delicati impasti vocali, stesi però su un tappeto di tempi dispari e divagazioni strumentali tutt’altro che banali senza mai essere prolisse. Ecco, il dono della sintesi sembrerebbe essere la dote migliore dei quattro, che riescono a far entrare moltissime cose in pezzi concisi e perfettamente compiuti, che mantengono sempre una loro coerenza interna e uno spiccato senso melodico. Il bello è che il loro suono (scintillante e caldo, si stenta a credere che il lavoro sia prodotto e registrato in proprio) risulta alla fine tutt’altro che datato, ricordando a volte la neo psichedelia di Tame Impala e Dungen, o ancora i Motorpsycho zuccherosi epoca Phanerothyme, come nelle magistrali “Ode to the Summer” o “Moving World”, con chitarre fuzzy e violino incalzante. La perizia strumentale è evidente, ma viene tenuta a bada senza mai sconfinare dell’autoindulgenza di un progressive deleterio, si prendano ad esempio la strumentale “Night Shaped Light” (quasi una variazione sul tema della zappiana “Peaches in Regalia”) o la conclusiva Paradise Lost, mini-suite di nove minuti che passano in un secondo. Che dire, non uno di quei dischi che ti cambiano la vita, ma davvero giù il cappello di fronte a un talento così sfacciato, per quella che è una delle cose migliori e più divertenti che ho ascoltato finora nel 2013 (anche se il disco è uscito nel 2012). Se poi ne volete ancora, allora andatevi a cercare anche il bell’ep “Moving World” del 2011. (Mauro Catena)

(Dawn Chorus Records)
Voto:80

http://sydarthur.bandcamp.com/album/on-an-on