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domenica 22 gennaio 2012

Frailty - Lost Lifeless Lights

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus
Ed eccomi stavolta, a parlare di una band, i Frailty, in circolazione da otto anni, nella lontana (ma non tanto) Lettonia: l'album che mi accingo ad illustrare risale al 2008, il loro primo full-lenght. Le tematiche sono concentrate prevalentemente sulla morte e spiritualità, con qualche accenno alla mitologia. L'intro sembra preparare l'ascoltatore ad un viaggio nelle profondità dell'animo umano, avvalendosi di suoni distorti e caotici: “I Know Your Pain” e “The River of Serpents” ricalcano perfettamente il sound del doom/death, con suoni pesanti e lenti, esprimendo al meglio il messaggio di dolore e malinconia che traspare dai testi. Batteria e chitarra ripetono lo stesso motivo, mentre verso la fine lasciano spazio a note di pianoforte, in modo tale da accrescere il pathos. “Ariadne” è più veloce e meno pesante, mentre Martins viene accompagnato da Edmunds nei ritornelli, dando così l'impressione di solennità per questa ode ad una fanciulla perduta; persino l'assolo di chitarra illustra molto bene il peso della perdita, aiutata anche da note di tastiera appena percettibili. Si torna alle atmosfere cupe ed introverse con “Graphics in Ebony”, dove il growl si alterna ad una voce melodica e grave, con un'atmosfera, oserei dire, magica ed eterea: è solo dalla metà in poi che il tono diventa più sul demoniaco andante (oserei dire pseudo-isterico), ma senza mai perdere la vena doom/death che li caratterizza. “The Fall of Eve” segue lo stile della precedente, ma con un timbro più melodico, rendendo il tutto di più facile ascolto. È con “A Summer to Die” che le cose cambiano: il cantato ricalca quello precedente di “Graphics in Ebony”, avendo cura di curare il ritornello in modo tale da renderlo anche canticchiabile ed orecchiabile (senza mai cadere nel commerciale più blando). La malinconia più nera fa da sfondo per “The Scorn”, il brano più longevo di tutto l'album; note di pianoforte introducono una chitarra distorta e una batteria pacata, con la voce più grave che Martins possa mai trovare. Sebbene all'inizio il motivo sia lento, soltanto poi inizia ad essere più accelerato, con la voce demoniaca (di cui sopra) e un loop di chitarra unito alla batteria che si ripete, sottolineando la solennità della morte; si torna poi alla lentezza dell'inizio, come una sorta di mare scuro con le onde inerti che si ripetono ogni volta. Chicca del brano: un momento di totale tristezza e fatica, in cui persino il cantante pare fatichi a parlare. Il brano prosegue e si conclude con un assolo di chitarra molto tranquillo, quasi ad aver esaurito tutte le forze. Con la cover dei Monro di “Lugsana” si conclude l'album: un ottimo brano per finire in bellezza un viaggio all'interno del doom/death lettone, che nulla ha da invidiare ad altre band maggiori o più conosciute. Per chi ha voglia di esplorare il metal proveniente da stati “neonati”, questa è un'occasione da non perdere. (Samantha Pigozzo)
 
(Solitude Productions)
Voto: 70